Il 23 ottobre è uscito il nuovo album firmato Major Lazer, il titolo è ‘Music Is The Weapon’, che riprende e prosegue il precedente ‘Love Is The Mission’. E “riprende” è il termine giusto, perché i origine i due dischi sarebbero dovuti uscire a breve distanza l’uno dall’altro. Poi si sa, il successo, i tour, le necessarie pause, la dipartita di Jillionaire e l’ingresso in squadra del producer Ape Drums, le voci di scioglimento. Insomma, dal 2015 ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti di Major Lazer. Che di fatto, sono un collettivo in divenire, in cui intorno al nucleo rappresentato da Diplo (che c’è fin dall’inizio) e da Walshy Fire (arrivato nel 2011 quando se ne andò Switch) ruotano numerosissimi ospiti, e qualche membro fisso. Al momento, appunto, Ape e Walshy. Proprio loro abbiamo intervistato in una session su Zoom. Per parlare del nuovo album, della musica (anche della musica in Italia), di cosa significa vivere un 2020 così anomalo e di come si lavora l’intento di uno dei gruppi di maggior successo e più chiacchierati degli ultimi dieci anni.
Siete davanti a un nuovo album di Major Lazer: per uno di voi è la prima volta, per l’altro è ormai una consuetudine da veterano. Mi raccontate le vostre emozioni di fronte l’uscita di ‘Music Is The Weapon’?
Walshy Fire: È sempre figo come la prima volta, la sensazione non è mai quella di pensare “oh, rieccoci”, ma c’è sempre una bella elettricità nell’aria. Sono felice della musica e sono felice di essere qui con te a parlare di questo disco.
Ape Drums: Anche per me è lo stesso, certo per me è una grande emozione perché è la mia prima volta, come dici, ma tutti siamo emozionati di fronte a ogni nuovo album o nuovo pezzo del progetto.
Seguo Major Lazer dal giorno uno: che cos’è diventato oggi questo progetto, dopo le hit planetarie, dopo un successo come ‘Lean On’, che ha definito il suono degli anni ’10, dopo i concerti record a Cuba, dopo i remix, le collaborazioni con centinaia di artisti?
W: Non è molto diverso da com’era, c’è Ape che è nuovo, ed è un grande producer e un grande dj. Il suo arrivo si è fatto sentire, ci ha dato nuova energia. Il nostro approccio è quello di un soundsystem, quindi tanti input, tante idee, nessun paletto a prescindere, l’energia è quella di un grande show. E questo deve arrivare a tutti, che tu ci conosca già o che sia la prima volta che ascolti qualcosa di Major Lazer.
In questi anni avete mai avuto l’impressione di ripetere una formula che vi ha portato al successo? Avete mai avvertito la stanchezza di essere Major Lazer?
W: Non capisco nemmeno questa domanda… al 100% no. Se mi stai chiedendo se ho dei rimpianti, se sono stufo, beh, no!
Oggi un certo melting pot sonoro è consuetudine, è famigliare anche alle orecchie di ogni ascoltatore di musica in ogni anglo del globo, basti pensare che in Italia molti dei brani più passati dalle radio arrivano dai Caraibi o dal Sudamerica… ma dieci anni fa, quando Major Lazer stava nascendo, non era così. Pensate di aver in qualche modo contribuito a spostare il baricentro della musica mondiale verso aree in passato meno rappresentate?
A: Al 100%. E te lo dico essendo stato fuori da questo progetto per buona parte degli scorsi dieci anni, quindi non sono di parte perché ero uno spettatore, non ero direttamente coinvolto.
W: Io non lo direi mai di mia iniziativa, ma se me lo chiedi, ti dico che lo abbiamo fatto. Però non devo essere io a dire una cosa del genere, deve dirlo la gente, devono pensarlo e scriverlo i giornalisti, quelli che hanno il polso di questa situazione era vedono da fuori rispetto a noi. Mi parlavi dell’Italia: beh, la prima volta che sono venuto nel tuo Paese sentivo solo della musica imbarazzante in radio, e l’ultima volta in Salento c’erano 5mila persone a ballare dancehall. Alla radio tutto suona reggaeton, non capisco nemmeno se sono in Italia o in Spagna.
È buffo perché fino a pochi anni fa questa musica veniva rimbalzata ovunque, e ora anche gli artisti pop cercano di inseguire i suoni dancehall, reggaeton.
W: Beh, è una trasformazione in atto. C’è questo rapper italiano, fortissimo, non ricordo il nome ma è uno che va davvero forte…
Sfera Ebbasta?
W: Credo di sì, ma onestamente non sono sicuro, non voglio dire una stupidaggine. Comunque, mi ricordo le prime volte che sentivo i suoi pezzi, molto hip hop, roba vecchia, e poi invece l’ho risentito ultimamente con cose molto più upbeat, e sono perfette per lui, infatti sta spaccando.
Io credo che in Italia, al netto di tutti i gusti personali, abbiamo imitato la musica anglosassone per sessant’anni, e invece adesso stiamo riscoprendo di essere latini, mediterranei, di avere nel nostro DNA un’altra grammatica musicale.
W: Ma certo! Io ho sempre visto questo Paese che ne sta lì appena sopra l’Africa ed è un puzzle di tanti stati più piccoli, con una diversità incredibile in tutti gli aspetti della vita sociale e culturale, e mi sembra normale pensare che sia più simile a un Paese caraibico che a uno anglosassone.

In ‘Music Is The Weapon’ avete una pletora di ospiti di altissimo livello, ma c’è un grande assente che avreste fortemente voluto?
W: Tantissimi, sempre.
A: C’è sempre qualcuno che vorremmo invitare, qualcuno per cui non abbiamo trovato il pezzo giusto, qualcuno con cui non si sono allineati i tempi… abbiamo molti ospiti nel nuovo album ma parecchi sono anche già prenotati per il futuro.
In tanti anni ho visto, letto, ascoltato tantissimo su di voi, ma una cosa sempre un po’ misteriosa: come funziona il processo creativo all’interno del gruppo?
A: Ci rimbalziamo le idee a distanza, perché non siamo insieme per tutto il tempo, ciascuno di noi si occupa di tante cose e ha tanti progetti, quindi ogni giorno, ma letteralmente ogni giorno, ci palleggiamo idee, mp3, note vocali, file, e poi contattiamo artisti, ci sentiamo… c’è uno scambio continuo. Non seguiamo un vero iter, non esiste una routine. E questo è un aspetto molto intrigante del modo in cui lavoriamo ai nostri dischi, credo.
Siete un progetto che dà il meglio di sé dal vivo, avete sconvolto i canoni con cui la dance viene messa in scena live. Vi sentivate degli outsider all’inizio? Cosa pensate di aver cambiato nel modo in cui la musica da ballo viene portata sul palco?
W: Come prima: non lo dico, ma penso di sì. Quando gli altri artisti, i manager, il pubblico, vedono che portiamo sul palco ballerine, tosate, ospiti, dj, mc, effetti speciali, coreografie, pensano “wow! È una figata!”. E il passo successivo è quello di inserire nei loro show degli elementi che vanno in quella direzione.
Vi manca esibirvi live?
W: Maledettamente.
Dj set o concerto?
W: Entrambi.
A: Entrambi. Tutto ciò che è musica e sta sul palco è una bomba.
Cosa c’è nel futuro di Major Lazer?
W. La cosa migliore è focalizzarsi su cosa succede giorno dopo giorno. Non mi va di pensare a cosa faremo in un futuro se ci toglie la possibilità di goderci il presente. Già viviamo in una centrifuga, se non ci focalizziamo su ciò che stiamo vivendo diventa un inferno. È appena uscito ‘Music Is The Weapon’, per noi è un disco importante, direi che già ascoltarlo e parlarne è sufficiente per definirci nel presente e nel futuro prossimo.
E nel vostro futuro personale, invece? Voglio dire, come va in America con la pandemia? Siete liberi di spostarvi? Potete fare concerti?
W: Possiamo muoverci, sì.
A: Possiamo spostarci, non possiamo suonare o fare concerti. La nostra vita è quella di ogni giorno: se dobbiamo andare a Los Angeles o Las Vegas per lavoro, si va. Con tante precauzioni ma si cerca di mantenere una parvenza di normalità.
29.10.2020