Co-autore di ‘Alone’, brano di Marnik & KSHMR, uscito a novembre per Spinnin’ Records, voce di ‘I Feel Love’, il promo dell’ultima edizione di X-Factor, produttore e direttore artistico di ‘Settimana Bianca’ del Pagante, una delle hit del 2019 (oltre 15 milioni di play su Spotify). Sono soltanto alcune delle collaborazioni recenti del bresciano Marco Sissa, personaggio discografico trasversale come pochi altri, capace di proporsi in veste di songwriter e di lavorare anche con Rovazzi, Benji & Fede, Il Mates, Roshelle, Martina Attili e Mr. Rain. Lo abbiamo intervistato sia per conoscerlo meglio, sia per farci raccontare qualche trucco del mestiere.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica elettronica?
Grazie ad un amico con la passione per il djing ho scoperto i programmi dei computer in grado di produrre musica. All’epoca ascoltavo solamente Claude Debussy, Michel Petrucciani, Stevie Wonder: l’impatto con l’elettronica è stato abbastanza traumatico. Abbiamo provato a produrre qualche brano house/dance insieme e ho capito che era un ambito nel quale mi sarei trovato molto a mio agio, grazie alle mie nozioni di musicista e all’orecchio che posseggo. Non dico sia diventato il mio genere preferito in assoluto, ma di certo ha avuto la sua importanza per arrivare anche ad altro.
Come inquadrare il tuo ruolo nelle produzioni musicali?
Mi vedo come un capitano che tiene ben saldo il timone e porta il suo equipaggio verso lidi lontani e soprattutto inaspettati. Una meta da non intendersi soltanto come il successo, ma come una visione d’insieme: il problema non è tanto creare la hit, ma convincere i propri interlocutori che la strada che si stia percorrendo sia quella giusta. Non ho un ruolo preciso né uno schema fisso quando sono in studio: amo intervenire qua e là, come scrittore, arrangiatore, produttore, talvolta come cantante. A volte si deve ribaltare tutto, a volte bastano due note.
Lavori sia con realtà straniere che italiane. Quali le differenze più sostanziali?
Trovo tantissime differenze riguardo l’approccio professionale degli addetti ai lavori, per non parlare della sensazione che lavorare nella musica in Italia non sia considerato un lavoro vero e proprio; personalmente ho trovato terreno fertile a Londra per la scrittura pop internazionale, mentre l’Italia è ancora lontana dall’essere competitiva su questo fronte, mentre recupera col sound di talenti come Meduza o Marnik. Credo sia soltanto una differenza culturale, che però pian piano inizia a limarsi. Non resta che marciare nella stessa direzione e far cambiare idea al panorama internazionale.
È possibile descrivere il tuo processo creativo e produttivo?
Lo definirei un flusso di coscienza continuo. Durante la composizione creo nella mia testa sia la top line di un brano (la melodia del canto e della voce); ogni volta che si crea un blocco armonico interessante è come se la base si componesse da sola, allacciandosi al blocco precedente, in modo da formare la canzone nella sua interezza, per poi sviluppare in tempo reale gli arrangiamenti congeniali. A questo punto non resta che andare in studio di registrazione e tradurre tutto quanto in elementi concreti: come fare un sogno molto preciso, ricordarselo e raccontarlo in ogni dettaglio.
Come si ottiene il giusto equilibro tra le esigenze di un artista e quelle di un produttore?
Ogni volta è un terno al lotto, in quanto la spinta creativa o visionaria dell’artista può risultare molto forte e condizionare completamente l’intera produzione, così come molti preferiscono affidarsi al 100% al produttore; servono equilibrio, bilanciamento delle rispettive esigenze e personalità. Il rischio più ricorrente? Le resistenze dell’artista, che spesso non vuole abbandonare la sua comfort zone, quando invece si rende necessario cambiare completamente prospettiva per avere successo.
Successo. Parola magica. Nel 2020 dove lo ottiene sul serio? Spotify, YouTube, Tik Tok?
I portali e i social network sono necessari ma non sufficienti: serve una sintesi tra i riscontri discografici tradizionali e quelli digitali. Come fare? Difficile saperlo, dirlo, spiegarlo, anche perché certe dinamiche cambiano di continuo senza nemmeno essere state ancora definite. Credo sia importante suscitare da subito interesse, affidandosi ad una casa discografica agguerrita; la promozione radio ha sempre la sua importanza, così come le succitate piattaforme hanno un ruolo fondamentale per rendere una traccia virale, senza ovviamente dimenticare come essere inseriti in playlist importanti di Spotify. Sin da bambino sento la frase ‘il treno passa una sola volta nella vita’. Verissimo! Basta farsi trovare pronti, invece troppo spesso non si va nemmeno in stazione. Fuori di metafora: molti si lamentano di non ottenere niente dalla musica. E loro che cosa hanno dato alla musica?
Molti affermano che le hit ormai servano soltanto per andare a suonare nei festival.
Amo le provocazioni e quindi rispondo a tono; le hit non si creano, succedono. Se bastasse un meccanismo astratto saremmo tutti in prima pagina; ovviamente una hit ha risvolti commerciali, che si traducono nei live e nei dj set, ma devono essere una conseguenza, non il risultato finale. Anche perché un successo è soltanto la punta di un iceberg, un caso isolato magari dopo anni di tentativi, frustrazioni, fallimenti, denaro e tempo persi. Bisogna credere nella propria visione; ognuno sa dove può arrivare, ed è meglio che ognuno decida per se stesso, prima che siano gli altri a farlo per lui.
È un bene o un male il fatto che basti un computer per produrre dischi?
È un bene o un male che basti una penna per scrivere un racconto?
15.01.2020