Il video di Martin Garrix, ospite di BBC Radio 1 Lounge insieme a Bebe Rexha e alla band con cui ha suonato un set live (un concerto), ha riacceso le opinioni contrastanti di fan e detrattori della nuova versione “2.0” del Garrix con la chitarra in mano. Già in agosto, dopo l’ospitata del giovane Martin da Jimmy Fallon, ci eravamo concentrati su questa nuova esigenza di presentarsi come qualcosa dall’immagine più vicina alla popstar e meno a quella del dj da parte degli artisti dance, indicando come una possibile via quella della band, e lasciando tuttavia molti dubbi sull’effettiva qualità della mossa, se fatta in quei modi (leggete tutto QUI). Martin Garrix sembra particolarmente motivato a stare sul palco con la chitarra, con una voce (in questo periodo Bebe Rexha, cantante della sua ultima hit ‘In the name of love’, purtroppo per lui non proprio intonatissima dal vivo) e con alcuni musicisti.
EDM o pop?
In poco tempo si sono aggiunte nuove carte al tavolo: The Chainsmokers, che stanno spopolando in tutto il mondo con una delle hit dell’anno, la loro ‘Closer’ con Halsey, brano che ha dalla sua una semplicità di scrittura eccezionalmente funzionale e un riff killer, si sono esibiti live ai VMA, scatenando critiche per la pessima forma vocale di Andrew Taggart; più in generale, si sta delineando in modo sempre più netto il bisogno, per una certa dance, di avere anche una “facciata live presentabile”, perchè i suoni stanno cambiando, tanti artisti virano ormai smaccatamente verso produzioni che abbandonano la cassa in quattro quarti per puntare in modo dichiarato alle radio e alle classifiche, e quindi il salto definitivo dell’EDM (che già sta diventando un termine desueto, avete notato?) verso il mainstream pop si sta compiendo. Non è un male, intendiamoci, tutt’altro. Era nell’aria, visti i successi incredibili di artisti come Major Lazer, David Guetta, Avicii, Alesso, Calvin Harris. Ma naturalmente affacciarsi a un pubblico ancora più ampio, uscire dalla comfort zone della consolle a favore di telecamere e TV (e dei festival non propriamente dance), comporta alcuni aggiustamenti nel modo di porsi on stage, e – va da sè – della percezione che si vuole dare della propria musica e immagine.
La pompa inaudita e i dj davanti alle telecamere
Non è un discorso totalmente nuovo, da parecchi anni artisti di estrazione dance o elettronica si sono confrontati con il passo importante di portare dal vivo album o semplici successi in modo credibile; ciò che è cambiato è il modo in cui questa trasformazione avviene. In passato la dance rappresentava sicuramente una rottura con il rock, il pop, e con tutta la musica ormai “acquisita” e digerita dal grande pubblico. E gli artisti (fossero dj, cantanti o producer) erano molto legati alle proprie radici culturali, tentavano perciò in ogni modo di restare ancorati al tipo di performance del proprio ambiente naturale. Un esempio calzante è quello di Lory D e Leo Anibaldi nel celebre (e ormai virale) clip de L’Istruttoria di Giuliano Ferrara (era il 1989 e la TV italiana generalista era più lungimirante di oggi); un altro è Mauro Picotto, che intorno al 2000, all’apice del successo, si esibisce in un dj set live a Top Of The Pops UK. Moby e The Prodigy sono stati tra i primi ad essere chiamati sui palchi dei grandi fesival internazionali con dei live.
Oggi è cambiato quasi tutto, lo showbiz è meno ingenuo e più attento ai dettagli. Ma come un bellissimo prodotto di design – passatemi il paragone – serve una forma fantastica che racchiuda però una sostanza di altrettanta qualità. Ricordo che per un periodo Jovanotti ripeteva “la forma è sostanza”, ma io ci credo a metà. Perchè l’intuizione fotografa il presente, di sicuro: la forma è più che mai parte della sostanza, un live è fatto anche dei visual, dei costumi, degli effetti pirotecnici di scena. Ma se in questa cornica fantastica manca una performance che lasci un segno, ben studiata, ben progettata, allora l’involucro rischia di restare vuoto. Il problema è che negli ultimi anni ci stiamo spostando passo passo in questa direzione, e se a molti sta bene, io lo trovo avvilente e credo sia una mancanza di rispetto assoluta verso chi paga un biglietto: vanno benissimo i laser al concerto di Flume, ma vedere qualche interazione live in più e non solo un play sui brani sarebbe ancora meglio; vanno benissimo le ballerine e l’animazione di Diplo allo show di Major Lazer, ma sentire Mo dal vivo porterebbe lo show su un altro livello (accade ogni tanto, a onor del vero, ma non tutto il tour prevede le voci live).
Consolle o chitarre?
Dall’altro lato, ci sono tentativi come quello dei Disclosure che si portano appresso Lorde e Sam Smith, due signore voci; o quelli meno riusciti dei già citati Chainsmokers e Martin Garrix. I pacchi dal vivo li abbiamo sempre presi (la celebre foto dei Justice con le macchine staccate), e allestire uno spettacolo davvero live è probabilmente il passo che dovrebbe compiersi per un mondo che sta avendo così tanto successo da dover andare per forza di cose nei palazzetti, negli stadi, nei grandi templi della musica dal vivo. Da qui si potrbbe aprire un lungo capitolo sulle differenze tra i dj set e i live, sull’eredità del solco lasciato dai pionieri di questa modlità “pop” come Tiesto, Paul Van Dyk e Armin Van Buuren (tutti ancora felicemente in attività, peraltro). Ma limitandoci a fare qualche previsione, è bello pensare – o almenoi sperare – che vedremo meno live “tasto play” e più interazione vera. Che bello sarebbe vedere un tour di Guetta con ‘Titanium’, ‘Dangerous’ e ‘When love takes over’ dal vivo? Intanto, prepariamoci a un tour in cui Justin Bieber (a proposito, dopo i sorrisini ironici sul suo switch da teen idol a personaggio super cool, vi siete ricreduti? Il disco è bellissimo e le sue ultime colaborazioni eccezionali, c’è poco da dire) sarà accompagnato da Martin Garrix come “special guest” (che immagino significhi artista di apertura). Sarà live? Sarà dj set? Lì Garrix si gioca una bella fetta di credibilità con un pubblico ampio.
04.10.2016