Foto: Charlie Davoli
A volte capita di ascoltare un brano sconosciuto e di restarne ammaliati, affascinati, di finire nella sua orbita come un pianeta può finire in un buco nero. Ce ne innamoriamo e non c’è possibilità di scelta, non c’è via di scampo. È una sensazione bellissima, e capita soprattutto da ragazzi, quando siamo ancora vergini rispetto all’ascolto della musica e ci sono milioni di canzoni che ancora non conosciamo. Da adulti, specialmente se la musica fa parte della nostra vita in modo quotidiano, massiccio, ingombrante, è naturale che quella meravigliosa sensazione di scoperta, di disorientamento, sia più rara da provare: tendiamo ad essere più analitici, e molto ci pare già sentito. Ma quando capita che un brano ci investa in maniera così assoluta, allora davvero qualcosa si muove dentro le nostre anime. A me è successo, di recente, con un pezzo davvero sorprendente e inatteso, per molte ragioni. Si chiama ‘Il Coraggio Di Provare’ ed è un’acqua tiepida in cui immergerci dolcemente fino a farci cullare.
L’autrice è Matilde Davoli, cantante, producer, sound engineer e musicista pugliese che arriva in questi giorni a pubblicare il suo secondo album da solista, ‘Home’, dopo il precedente lavoro ‘I’m Calling You From My Dreams’ del 2015 (entrambi pubblicati attraverso la label Loyal To Your Dreams, di cui Davoli è co-fondatrice) e dopo le avventure con il gruppo Studio Davoli e con il progetto Girl With The Gun, senza contare le numerose collaborazioni con artisti come Populous, Indian Wells, Laetitia Sadier di Stereolab per citare qualche nome.
‘Home’ rappresenta una svolta nella carriera di Matilde Davoli: il nome è tutto un programma, e prende ispirazione dal ritorno dell’artista in Salento, terra delle origini, dopo gli anni londinesi; ma è anche l’approdo a suoni e stili che le sono famigliari fin dall’infanzia. Infine, la “casa” del titolo è anche quella linguisitca, perché ‘Il Coraggio Di Provare’, singolo che anticipa il disco dopo i precedenti ‘Sine’ e ‘Glitch At Dark’, è una “prima volta” importante per Matilde, quella di confrontarsi con la lingua italiana. Un’ottima serie di ragioni per intervistare Matilde Davoli, che ha sollevato il sipario su ‘Home’ e su tanto altro.
‘Il Coraggio Di Provare’ è il tuo primo brano in italiano in una carriera ormai lunga e ricca di lavori. È l’inizio di una svolta, una decisione presa con progettualità, oppure un episodio estemporaneo?
È nato in maniera spontanea e inaspettata, perché con Gigi Chord, che mi ha aiutata nella lavorazione dell’album, ho iniziato a lavorare su un loop strumentale che lui aveva ideato e che voleva far diventare una canzone. Quando l’ho sentito sono rimasta folgorata perché ho subito pensato di cantarla in italiano, cosa che non è da me. Ma mi ha sintetizzato immediatamente l’Italia degli anni ’60, ad esempio certi dischi di Battisti, a cui sono molto legata, e quindi la canzone è fiorita da sé, seguendo questo istinto. Sono convinta che ogni genere musicale abbia la sua lingua, non tutto funziona per tutto, quindi per quel beat “era la morte sua”, come si dice, l’italiano, e così ho strutturato le parti del brano, iniziando dalla linea vocale che volevo fissare come primo elemento intorno a cui costruire tutto il resto.
Invece la scelta dell’inglese nel croso della tua carriera ti è venuta naturale oppure è una ricerca, o ancora un modo per tentare di essere universale e di non metterti completamente a nudo nei testi, come succede per molti artisti?
Io sono dell’opinione che cantare in una lingua così poco parlata nel resto del mondo come l’italiano, possa essere riduttivo perché ci si rivolge a un pubblico ristretto, quando invece è possibile comunicare con il resto del mondo se si canta in una lingua più universale, no? E poi il genere che faccio si sposa meglio con l’inglese, quindi è una scelta naturale proprio come ‘Il Coraggio Di Provare’ è “naturalmente” venuta in italiano. Anzi mi sono sentita vulnerabile, nuda, a cantare in italiano, quindi anche la barriera della comprensione, forse anche in maniera inconscia, ho sempre un poco voluto ergerla.
Quale posto chiami ‘Home’, oggi?
Lecce è la mia casa a 360 gradi, sono salentina, e le mie radici sono qui. Però i miei anni di vita a Londra mi hanno fatto capire che ci possono essere tante altre case, e lasciandola ho sentito tanto la mancanza di quella città, che pure è culturalmente, ma – banalmente – anche meteorologicamente distante dal luogo dove sono nata. La casa è dentro di noi, nelle persone che amiamo, nel compagno, nella famiglia, nelle situazioni che ci fanno sentire protetti, confortati, sicuri, dove abbiamo qualcosa che ci lega in modo profondo.
Se dovessi analizzarti, quali evoluzioni e trasformazioni ci sono nel tuo nuovo album rispetto a tutto ciò che hai prodotto finora?
Io ho avuto un percorso piuttosto cangiante, partendo dagli Studio Davoli, band in cui erano piuttosto esplicite certe influenze anni’60, passando poi attraverso il progetto Girl With A Gun con Populous, dove invece avevamo un forte elemento di folktronica, e poi con il mio progetto solista che definirei dreampop con un uso massiccio di synth. Ora con questo disco ho provato ad andare verso il jazz, anche se è una parola grossa, perché nonostante alcuni arrangiamenti e la concezione di alcuni brani abbia in mente proprio quel mondo, non si può certo dire che sia un disco jazz. Ma ho sempre adorato il jazz, fin da ragazzina, ed è una delle mie radici. Mio padre è un audiofilo e un appassionato di classica e di jazz, perciò sicuramente ci sono quei semi dentro di me. Poi ho scoperto il pop, gli Stereolab, e sono impazzita, quindi questa commistione tra generi colti e musica leggera nei miei ascolti mi ha aiutato a metabolizzare meglio tutto, e mi permette di cogliere sfumature che magari non avrei saputo cogliere senza questo mio background. Quindi ho cercato di gettare dei ponti di influenza jazz nel mio nuovo disco, pur senza perdere di vista il focus sulla canzone intesa a modo mio, e sull’elettronica che di base è il mondo sonoro a cui appartengo.
Visto che l’hai citato in un modo che mi pare centrale per il tuo sviluppo di ascoltatrice e poi di artista, ti faccio una domanda un poco personale: tuo padre che ne pensa della tua musica?
Mio padre è molto contento perché ha due figli musicisti professionisti, ed è pieno di consigli da un punto di vista tecnico perché è davvero un audiofilo di quelli da impianto pazzesco, con la sedia al centro della stanza misurata per cogliere il miglior punto d’ascolto, e poi i guanti per maneggiare i dischi, tutte le cure e le premure di un verio audiofilo con la A maiuscola.
Pensiamo al futuro prossimo: concerti. Come li vedi?
Li vedo bene al momento, teniamo le dita incrociate, però pare che il peggio sia passato, ecco. Non si faranno tantissime date al chiuso durante l’inverno anche perché parecchi club sono in difficoltà, quindi se il peggio sembra passato da un punto di vista sanitario, da quello strettamente commerciale e organizzativo si fatica ancora tanto, soprattutto pensando alle capienze dei locali al chiuso e a quante sale da concerto, club, circoli sono ancora molto incerti sul futuro che li attende, a fare i conti per capire se c’è margine per ripartire oppure no. Tutto questo è davvero triste. D’altro canto, però, spero di suonare tanto e di poter suonare alla grande la prossima estate senza problemi.
08.11.2021