Come è nata l’idea al dj Mauro Picotto di scrivere libro? Lo ha spiegato lui stesso, attraverso le pagine di “Vita da DJ – From Heart To Techno” (Arcana Edizioni), tra un dj set e l’altro, in giro per il mondo. In sintesi, cosa racconta nel suo libro, il dj piemontese? Tutto. Da quando ha iniziato, dalla gavetta, alla sua storia, i suoi gusti, gli episodi che gli hanno cambiato la vita, sino a oggi.
Mauro, come è nato, il tutto? Come è nato “Vita da DJ – From Heart To Techno”?
Mia moglie Laura ha insistito e il mio editore ha pensato fosse una buona idea. Sono soddisfatto, è un libro illustrativo autobiografico ma lascio ai lettori l’ultima parola.
Cosa racconti nel tuo libro?
Da quando è iniziato, la gavetta, la mia storia, i miei gusti. I primi insuccessi e successivamente i successi. L’incontro con Jovanotti, l’essere diventato socio di Bortolotti e infine il vero successo, quello che ti rende davvero felice.
Quali sono le tue aspettative dal libro? Verrà tradotto per l’ADE?
Il libro è stato tradotto in inglese. Sì, con buona probabilità omaggiato a ottobre all’Amsterdam Dance Event, se riusciamo con le tempistiche.
Nel libro dici: uno non può dichiararsi un vero dj se almeno non ha suonato una volta dei dischi in vinili? Spiega meglio.
Si, il vero dj ha suonato almeno una volta con i vinili ed i giradischi. Faccio una netta differenza tra cd jockey, laptop jockey e disc jockey.
Hai provato di nuovo a vivere a Cavour. Come è andata?
Sono venuto in Italia perché volevo provare a portare la mia famiglia nel luogo in cui sono nato. Appena ho visto come funzionavano le cose in Italia, ho convinto la mia famiglia a fare di nuovo le valigie per l’Inghilterra.
L’Italia è in una condizione irreversibile?
No. Solo la morte lo è. In Italia non vedo opportunità per il futuro dei miei figli. La situazione socioeconomica mi fa paura e riflettere.
Quali sono i tuoi collaboratori oggi?
Ne ho avuti tanti, quelli storici. Soprattutto Riccardo Ferri e Cristian Piccinelli. Mi sono rimesso a seguire bene le produzioni. Non ho più tanta voglia di fare le serate per via dei lunghi viaggi e mi è tornata una grande voglia di stare in studio. Sto rifiutando quelle che ho sempre considerato come marchette. La musica si è persa un po’ e mi sembra giusto provarci ora. Sono tornato sulle melodie cinematiche.
Molti dicono ancora: Picotto è un dj trance, pensando ai vecchi successi. La trance per te in realtà cosa è?
La trance non è mai morta, le melodie che fanno emozionare non hanno una scadenza, mai. È quella che suonava anche Sven Vath una ventina di anni fa. Per tanti la trance è da sfigati e invece sono certi personaggi che l’hanno snaturata. I dischi techno più belli degli ultimi 15 anni mantengono questa leadership proprio perché hanno delle melodie “trance”.
Ci sono due Mauro Picotto: uno pop e uno underground?
Oggi ce n’è uno solo, perché in passato cercavo me stesso. Voglio sempre percorrere delle strade nuove, comunque. Dopo la BXR abbiamo centrato un genere molto innovativo con Alchemy, ricordate New Time New Place che viene puntualmente suonato molto ancora oggi. Quelli che fanno i dischi uguali da una vita io non li capisco. Ecco perché il nuovo album è slegato da tanti cliché. Sono vicino alle canzoni, alle strutture molto varie, lontano da un un loop esclusivamente club. Voglio fare quello che mi piacerebbe ascoltare in un club.
Pochi rischiano, ultimamente, in questo settore. Perché?
Non saprei. So cosa faccio e farò io: sperimentazione e percorso verso le melodie.
Cosa pensi della nuova leva di produttori? Chi puoi segnalare?
Dai contest di Alchemy sono usciti nomi davvero interessanti: Sangiuliano, Gorrie, Flug, Frankyeffe. Ma io non ho un ruolo da imprenditore.
Che consiglio daresti ai giovani produttori, dall’alto della tua esperienza?
Darci dentro, provare, vivere esperienze. Il tempo è dalla loro parte. E basta fare remix di cose che sono sempre funzionate: non vi servirà a nulla, al massimo a gonfiare il portafogli del produttore iniziale.
Cosa non va nella cultura italiana? Perché questo essere comunque contro le discoteche?
Io ho una visione diversa da tanti: per me è sbagliato chiudere e scagliarsi contro le discoteche. Non è una soluzione e non lo sarà mai, anzi toglie lavoro a molti comprese le nostre istituzioni che “chiudendo i locali” non fanno altro che dimostrare di lavarsene le mani senza affrontare il problema le ragioni e le soluzioni. Bisogna limitare i danni, punto. Se uno chiude una discoteca, l’altro va a drogarsi da un’altra parte. Bisogna sensibilizzare chi fa uso di sostanze, come fanno per l’alcol, e fare prevenzione in modo intelligente ed accurato.
Ora Vinai e Merk & Kremont. Ma prima ancora Benassi, Crookers, Bloody Beetroots e… Picotto. Perché così pochi italiani davvero conosciuti all’estero? Siamo così scarsi?
Mi sembrano già tanti anche se alcuni che menzioni non so chi siano. Vent’anni fa erano anche di meno, gli artisti italiani nel mondo. Questa comunque è una cosa positiva.
BXR e Mark Sherry: tornerà quel suono, comunque rivisto, rivisitato? Cosa può sostituire la big room nei festival EDM?
BXR è rimasto il ricordo come è giusto che fosse, l’alternativa giusta è qualcosa di più completo nelle produzioni. Io faccio il nome di Mark Sherry perché è bravo sulle produzioni big room, ma se anche lui cade nel tranello di fare un pezzo a settimana e tralascia la qualità, allora non si andrà da nessuna parte. Sherry mi ha detto che sta evolvendo la sua etichetta Outburst ispirandosi al sottoscritto e mi fa piacere. Lui è tra la big room e la radio, quella da programmi club, la radio… meno radiofonica.
Perché le produzioni italiane non si distinguono più dal resto del mondo?
La qualità. Parte tutto da lì. Dipende dal genere, poi, quindi dal circuito. Siamo forse fermi a “Satisfaction” di Benassi. Da allora nessun italiano ha più sfornato una hit nata nel club poi diventata pop.
Come si fa una hit?
Col cuore. Come “Bakerloo Symphony”. Oggi fare le hit è più difficile, gli A&R seguono dei parametri, non ascoltano più con l’istinto guidato dalle emozioni che fanno la differenza.
Si è passati a una finta qualità e una immensa quantità?
Sicuramente. Troppa gente che vuole produrre musica. Tutti pensano che fare musica sia una passeggiata e una miniera d’oro.
Cosa hai in cantiere?
Ho una ventina di singoli pronti e che continuo a fare perché mi diverto soprattutto perché faccio senza seguire il mercato. Come detto, mi piace stare in studio.
I tuoi figli possono essere i tuoi eredi musicali, un domani?
Non ho idea. I miei? Devono ancora diventare grandi. Assecondo le loro scelte completamente. Mia figlia vuole fare la ginnasta e ben venga. Devono fare comunque una cosa che gli piace. Ma il loro papà tuttavia nella vita ha fatto quello che sognava di fare. E senza che nessuno lo fermasse.
10.10.2015