Foto di Luca Guadagnini / Lineematiche
La musica techno è un osservatorio privilegiato delle dinamiche sociali attuali? Una prospettiva alla quale la mostra TECHNO – in programma al Museion di Bolzano sino al 16 marzo dell’anno prossimo – fornisce una serie di interpretazioni e chiavi di lettura che affrontano ecologia, tecnologia, economia e tanto altro. Un’iniziativa meritoria, il primo capitolo del progetto TECHNO HUMANITIES, accompagnata da un’antologia ad hoc con testi focalizzati su techno e globalizzazione e da una playlist e podcast su Spotify. Per capirne qualcosa in più, la parola a Bart van der Heide, direttore di Museion e curatore di TECHNO.
Come è nata l’idea di questa mostra e di questo percorso?
Avevo in mente da tempo di realizzare una mostra dedicata alla techno, ma doveva avere un significato ben preciso. Non il risultato di un approccio alla techno come un fenomeno storico, ma qualcosa di connesso alle realtà sociale e a quella politica dei giorni nostri, niente di legato alla cultura giovanile o all’esposizione di copertine di dischi. Per me la techno è intrinsecamente anonima, non tracciabile, nel suo complesso fluida; al tempo stesso continua a plasmare il mondo che ci circonda.
Si tratta della vostra prima iniziativa dedicata alla techno?
È la nostra prima esposizione in materia. Con il consueto approccio che mi e ci contraddistingue: unire fashion, desing, performance, arti visuali, letteratura e teoria. In un’unica parola: multidisciplinarietà.
Quanto è importante in TECHNO la… musica techno?
Si punta in primis ad identificare la techno al di fuori dai suoi ambiti subculturali, per collocarla in un contesto legato alla globalizzazione ed al libero scambio. Non dimentichiamo che la techno è diventata una realtà mainstream dalla metà degli anni ottanta, mentre la globalizzazione si faceva largo in una realtà post-industriale; la techno è diventata la colonna sonora dell’automazione, è frutto esclusivo della tecnologia ed ha svincolato le sette note dalla dipendenza dagli strumenti musicali e dai musicisti. La prospettiva iniziale dalla quale osservare il tutto resta ovviamente la musica, ma deve essere anche il punto di partenza per analizzare la vita delle persone.

Quali aspetti caratterizzano la mostra?
Uno dei punti fermi della mostra consiste nell’evidenziare alcuni aspetti fondamentali che contrassegnano la techno, la cui experience non è totalizzante come altre sottoculture quali il punk. Un punk è tale 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, in ogni momento della sua vita; la techno la si vive esclusivamente in alcuni momenti della propria giornata o al massimo per un week-end, per poi tornare alla quotidianità per il resto della settimana. Un altro aspetto da sottolineare è legato alla pandemia, che ha avuto un effetto fortissimo sullo stato mentale della community techno e di chi – come me – lavora come freelance. Alla fine ci si è ritrovati un loop nel quale si è diventati produttivi 24 ore al giorno, senza alcun momento di pausa, con stati d’ansia crescenti. E su questo fronte si può considerare come la techno sia molto legata alle dinamiche economiche attuali ed all’uso sempre più esasperato della tecnologia.
Nel programma della mostra si fa riferimento ad un rave diurno. Ovvero?
Il progetto Day Rave dell’artista e coreografa Isabel Lewis ha presentato la danza come esperienza del movimento, basandosi su componenti quali architettura, luce, ritmo, rumore, suono e techno; Day Rave ha portato TECHNO nell’ex centrale elettrica Alperia St. Anton, in una una sala macchine, a suo modo uno spazio techno.

Musica techno per esaminare la condizione umana e l’ordine sociale contemporanei. L’esito di questa analisi qual è?
Ci siamo creati un’esistenza solitaria, alimentata da una produttività sempre più elevata: la techno è una forma di resistenza a tutto questo ed anche un modo per ricaricarsi, per quanto faccia parte di un meccanismo capitalistico che non si ferma mai.
TECHNO è il primo dei tre capitoli. Il prossimo?
Stiamo lavorando a Techno and Health.
22.10.2021