Mimmo Falcone è MoBlack, uno che ha creduto subito nella afro house tanto da diventarne discepolo. È partito da Sant’Antonio Abate, comune a una mezz’ora di viaggio dalla città di Napoli, con l’intenzione di conquistare il mondo. Lo ha fatto con la sua house, i suoi groove, la sua esperienza. Lo ha fatto soprattutto con passione, spavalderia e cazzimma che solo quelli che vivono all’ombra del Vesuvio possono vantare.
Eppure, vent’anni fa Mimmo viveva in Ghana. Dirigeva un impianto di trasformazione del pomodoro. La laurea a pieni voti in Lingue Orientali era rimasta nel cassetto, come appartenente a una parentesi temporale. Mimmo in Africa ha iniziato a interessarsi a sonorità sempre più ancestrali africane producendo brani di un genere che ancora non trovava collocazione nelle playlist e nella lista dei desideri dei colleghi dj. Dieci anni dopo Mimmo dà vita al progetto MoBlack e alla sua etichetta discografica MoBlack Records. Il resto è storia, fatta di dj che lo adorano e addetti ai lavori che se lo contendono. Ne abbiamo parlato a lungo insieme a lui.

La afro house per te rappresenta il materializzarsi di un’idea di suono che avevi già in mente ben prima del 2013.
Con il passare del tempo il sound si è modellato sino a diventare afro melodic. Serve sempre tempo per abituare le persone alle novità e far cambiare i loro gusti musicali: adesso siamo in una fase storica nella quale questo genere sta prendendo il sopravvento anche perché la sua matrice etnica crea un linguaggio comune con i giovani di tutto il mondo. Così si riesce a creare lo stesso vibe in un party in Europa, nelle Americhe, in Africa, in tutto il mondo.
Come produttore e come gestore di un’etichetta dedichi più tempo agli artisti della label o a te stesso?
Più agli altri. Ogni settimana usciamo con nuove release e siamo sempre attivi nella creazione e nello sviluppo di nuovi progetti musicali. Ad agosto uscirà una produzione in collaborazione con Africanism (Bob Sinclar): si intitolerà Africanism & MoBlack present DJ Gregory ‘Tourment d’Amour’ (remixes) ed include un remix di Afrotech e Amapiano del classico di DJ Gregory.
Produrre musica resta il miglior biglietto da visita per un dj?
Sì. Credo sia così in quanto le produzioni sono ritenute il modo più veloce per farsi strada: si producono dischi per diventare dj e suonare in giro per il mondo. Pochi amano davvero chiudersi in studio a produrre, soprattutto d’estate.
Ci sono skill precise per fare la differenza tra dj?
Personalità, un proprio stile o profilo che dir si voglia e una visione. Mixare e produrre musica sta diventando sempre più facile e più accessibile a tutti, quindi soltanto personalità e un proprio stile musicale, da intendersi come raffinato gusto nelle selezioni, possono fare la differenza nel settore.
Le emittenti radiofoniche oggi che potenzialità hanno a livello di comunicazione e in piena era social?
La radio ha sempre il potere di influenzare i gusti musicali dei più giovani, per quanto oggi esistano tantissimi altri sistemi per ascoltare musica, basti pensare a social come TikTok. Penso che offrire più generi dance sia la chiave per fidelizzare gli ascoltatori. Soprattutto da parte di quelle radio specializzate in musica elettronica.
Come proporre attraverso le emittenti radiofoniche un suono come quello afro house?
Sono convinto che la buona musica arrivi a tutti e in qualsiasi momento, a prescindere dal genere musicale. Discorso valido quindi anche la afro house: se le radio sanno proporre tracce di qualità, otterranno sicuramente ottimi ascolti. Tutto sta nel saper scegliere una selezione adeguata a seconda della fascia oraria: la afro house più di qualsiasi altro genere ha tantissime sfumature che vanno dalla soulful alla techno, passando per la deep, la progressive e la melodic.
Intanto, la musica da club dagli anni Novanta ad oggi è fortemente cambiata. Come?
Negli anni Novanta c’era una netta distinzione tra la musica underground e quella commerciale. Oggi non più, per due motivi: i giovani d’oggi sono più aperti e predisposti a ascoltare di tutto ed a trovare divertimento in diverse modalità e situazioni, una tendenza che si è imposta sempre più dopo il Covid; sul fronte strettamente musicale questa barriera è caduta proprio grazie al nostro stile afro house e melodic, che è proprio un punto d’incontro tra commerciale ed underground. Un genere che si colloca in questa fascia intermedia ed è in grado di accontentare tutti. Adesso la musica da club è meno underground rispetto agli anni novanta: è un dato di fatto.
Dobbiamo ancora avere paura di ciò che vende o è meglio stare rintanati nella comfort zone dell’underground e del clubbing?
Non dobbiamo più avere paura di ciò che vende. Tutta la musica elettronica sta subendo una crescita esponenziale, quindi anche restando nella comfort zone dell’underground si riesce a vendere. E viceversa.

Di cosa avrebbe bisogno, invece, oggi, a livello gestionale e creativo, il mercato discografico?
Sicuramente di innovarsi, mentre in altri paesi si è sempre all’avanguardia. Tutto questo si riflette anche sugli artisti italiani: troviamo sempre più spazio all’estero e non nel nostro paese.
Il concetto di estate per un dj internazionale cambia di paese in paese. Come la pensi?
In qualsiasi momento dell’anno è estate da qualche parte nel mondo, con tanti beach club che stanno sempre più prendendo il sopravvento rispetto ad altre venue. Ibiza inclusa. Questa estate suonerò in Grecia, Albania, Libano, Marocco, Egitto, in Belgio al Tomorrowland e tornerò negli Stati Uniti, in particolare a Denver e a Miami.
E anche il tuo autunno sarà bollente, come un’estate che non finisce mai. Cosa bollirà in pentola?
Le mie release e quelle della mia etichetta, gli showcase per i primi dieci anni della MoBlack Records e le mie serate personali. Sarò presente come tutti gli anni all’Amsterdam Dance Event con il mio temporary club, come da tanti anni a questa parte.
21.07.2023