Abbiamo speso parole entusiaste la scorsa estate per Kappa FuturFestival, e ora spendiamo lo stesso parere più che positivo per il festival “gemello” invernale: Movement Torino. Che ovviamente arriva direttamente dal mitologico Movement di Detroit, come dire la terra promessa della techno. Torino è una città dalla vocazione incredibile quando si parla di festival. C’è un humus particolare che porta al successo le iniziative festivaliere nel capoluogo piemontese, dal Traffic al Club TO Club, da Jazz Re:Found a Movement, la ricettività di questa città quando parliamo di festival non ha uguali in Italia. Un merito da riconoscere alle realtà che negli anni hanno saputo coltivare un terreno fertile ed educare la città.

Addentrandoci invece nel Movement, cioè nei padiglioni del Lingotto che hanno ospitato l’attesissima serata conclusiva del festival (iniziato con vari party il 27 ottobre e proseguito fino al 31 appunto), è difficile scegliere da dove iniziare a raccontare l’evento. Arriviamo al Lingotto mentre sta suonano Sven Vath, papa Sven, che si è preso una slot importante (tre ore) in un orario dove ci si aspetta solo i dj da warm up. Dalle 21 a mezzanotte. Tanto ne ho parlato bene a luglio, tanto ripeto l’opinione positiva sul set di uno dei santoni della techno, ormai al di là del bene e del male con il suo carisma e il suo stile inimitabile. Sven è stato uno degli anelli di coingiunzione tra la techno in America e la sua diffusione in Europa, negli anni ’90 (e già dai tardi ’80). Ha fondato l’Omen di Francoforte nel 1988, è il fondatore di Cocoon, label e brand di clubnight e festival di assoluto rilievo mondiale. Ed è una leggenda vivente. Ma una di quelle leggende che non si adagiano sugli allori, e continuano invece a macinare serate e progetti con spirito curioso e fresco e un approccio sempre aggiornato sulla musica. Così è il suo set, granitico, in crescendo, che culmina con una mezz’ora ad alta velocità (secondo me saremo stati sui 135-138 bpm) e altissima energia.
Mentre avveniva tutto questo sul Jaegermeister Stage, sul Kappa Stage (l’altro mainstage, diciamo, l’altro palco grande) prima Lollino dava un’ottima conferma del suo periodo ispirato e felice con un ottimo set, e poi arrivava KiNK. E qui ci prendiamo il tempo necessario a descrivere un set semplicemente pazzesco. Il produttore bulgaro inventa i suoi live davvero dal vivo, non si limita a suonare qualche nota o a spippolare un filtro ogni tanto su una traccia già assemblata. Si porta le macchine: campionatori, drum machine, bassline, sintetizzatori, modulari, e dà vita a uno show ogni volta unico. Già questo sarebbe da Oscar, ma KiNK riesce a costruire dei set che fanno ballare tutti in un vero viaggione in cui flirta continuamente con il dancefloor, oscillando tra house e techno e prendendo il meglio da entrambi i mondi: la sensualità della house e il rigore della techno. Una vera esperienza.
L’impianto adeguato e l’uscita molto potente dle suo suono ci fanno godere ancora di più. Il miglior set della serata, e siamo in mezzo a un vero fiorire di set convincenti. Non deludono infatti Adam Beyer, Gary Beck, Ilario Alicante e il b2b tra Ben Klock e Marcel Dettmann (come dire, un bombardamento senza pietà, che tutti aspettavano e che faceva urlare il pubblico come un goal aallo stadio). E pure Jeff Mills e Phuture, nello stage Detroit, appaiono in forma. Sorprendente lo stage curato da Apollonia, il sound qui è molto meno aggressivo che nelle altre sale, e lo si gode davvero alla grande nonostante una temperatura proibitiva (la sala è piccola e la gente parecchia).
Se la musica è ottima, forse ancora meglio è l’allestimento: i due palchi grandi (Kappa e Jaegermeister) hanno una produzione di altissimo livello, con strutture e luci curate molto bene e i led a costruire i visual alle spalle dei dj. Il Detroit Stage è un poco più ristretto ed essenziale, perfetto per accogliere la techno purista di Mills, Derrick May e compagnia bella. Apollonia invece ha gestito lo spazio della sala gialla del Lingotto trasformandola in un club, ed è stata un’altra mossa azzeccata vista l’atmosfera del sound. La disposizione dei palchi ha creato un percorso armonioso dentro cui il numeroso pubblico (le stime dicono circa 20mila spettatori, non proprio due gatti…) poteva muoversi senza dover accalcarsi in fila o senza dover percorrere mezzo Lingotto in corridoi o sale vuote prima di ptrovare altra musica.
Il pubblico della techno in Italia è sempre parecchio, questo è un fatto. Probabilmente è il genere più seguito, nonostante spesso non se ne abbia la percezione, perlomeno da un punto di vista mediatico. Ma è così. Un fiume di appassionati che ha abitudini ben precise, talvolta considerato un po’ hooligano ma tutto sommato, almeno stando a quanto visto al movement, gestibile senza complicazioni. Il bilancio della nostra esperienza è quindi più che positivo. Per numeri, prestigio della line up, qualità della produzione, Movement Torino è il gran galà della techno.
03.11.2016