Dal teatro ai rave, dalle orchestre ai dj. Dalla classica all’elettronica. L’apoteosi viene raggiunta dagli incontri insospettabili e memorabili. Non è una sorpresa vedere Nathan Fake volteggiare tra sessioni orchestrali dal vivo o ancora ascoltare gli album degli Above & Beyond privi di ritmica e carichi di composizioni. Né Carl Craig tenere il tempo della Orchestre Le Siecle all’Alcatraz di Milano (era il 2009). Tra l’altro chi segue la musica trance non è nuovo a questo genere di incontri, di scambi e collaborazioni. Lo fanno in pochi ma bene, questo lavoro di condivisione, questo scambio culturale. Anche i più modaioli.
Jeff Mills, spesso circondato da archi e ottoni, è davvero il primo uomo che ha messo il piede sul pianeta sinfonico. Quando ha tenuto il suo show al Barbican Hall a Londra, si è capita la portata e il valore di quello che è il capostipite della techno nel mondo: le quasi due ore del suo show con la BBC Orchestra, risalenti al 2015, sono state memorabili. Le macchine come estensione dell’anima e l’uomo Mills a pilotare il tutto fondendo techno e jazz, stile libero e groove, elettronica e classica. Quando la ritmica è scandita da una drum machine, lo scheletro cerca i muscoli fatti dalle armonie. Che è un po’ quello che fanno gli Archie Pelago, gruppo di Brooklyn, New York, formatosi nel 2010 dalla testa di Hirshi (dj ai fiati), Cosmo D (cello e Live Ableton) e Kroba (sax e Live Ableton), che mettono insieme jazz e classica a ritmi dance.

Senza contare quando, il 13 febbraio del 2009, Paul van Dyk, con otto elementi della hr-Sinfonieorchester di Francoforte presentati da Gustav Holst, e il fondamentale apporto di Paavo Järvi, ha avvicinato la classica a un target di giovanissimi. “Ho voluto elaborare connessioni musicali a quelle culturali. La musica che sentiamo più vicina, come il pop, il soul ma anche la techno, risalgono alla classica”, ha ricordato il dj berlinese ritratto nell’immagine di apertura di questo speciale. Il quartetto inglese dei Clean Bandit ha varcato più volte il confine tra classica ed elettronica utilizzando chitarra, basso, tastiere, batteria, violoncelli, violini e cori in ciascuna delle loro tracce.
Hans Zimmer parla di armonie epiche alla Sergej Sergeevic Prokof’ev, quando viene interpellato sul tema. “Ci sono pochi posti come il Tomorrowland che risultano perfetti per certe riproduzioni. Il tono e l’atmosfera epica correlati a un’esperienza culturale sono una grande lezione per tutti, non solo per i giovanissimi”, dice il compositore tedesco. Quello che è successo domenica 26 luglio 2015 è stato sensazionale e unico: il primo headliner dello stage all’ombra della grande ruota, al parco dei divertimenti di Boom, è stata l’Orchestra Nazionale del Belgio: ottanta elementi diretti dal maestro Stefan Blunier a eseguire “The Simphony of Unit”, composizione appositamente ideata per l’appuntamento belga. “Grazie a Tomorrowland, il Belgio è diventato un riferimento mondiale assoluto e la nostra orchestra si è detta entusiasta di aver dato il proprio contributo artistico in un contesto vicino ai giovani di tutto il mondo”, ha sottolineato Blunier.

Se al Tomorrowland (del 2015) Marcel Khalife e la Belgian National Orchestra aprono con ‘Children’ di Robert Miles in chiave sinfonica, allora abbiamo detto (quasi) tutto. In Inghilterra, la musica che rese celebre la discoteca Haçienda, casa della acid house di fine anni Ottanta e inizio Novanta, è stata eseguita dai settanta componenti della Manchester Camerata Orchestra in “FAC 51 The Hacienda and Manchester Carmerata”. Dalla Germania, per il loro album “III”, i Moderat hanno suonato tutto l’album come una vera band, usando diversi strumenti tradizionali e adottando dinamiche di una vera e propria orchestra. Gernot Bronsert, spalleggiato da Sebastian Szary, ha spiegato che le cose più stravaganti e interessanti spesso nascono quando si fanno delle jam session in studio.

Il connubio tra elettronica, anche mainstream, e musica orchestrale può portare a sviluppare nuovi linguaggi. Le strade sono molteplici. C’è chi preferisce agire su composizioni prettamente orchestrali come fonte su cui elaborare nuove texture (giusto per fare due esempi mi viene in mente l’‘Adagio’ di Barber riarrangiato da Tiësto o un set di Villalobos in cui ha rieditato brani di Michael Nyman in stile neobarocco) oppure chi interviene in maniera contraria. L’avere a che fare con strumenti veri, e così con un’orchestra (che poi, come diceva Seiji Ozawa, noto direttore d’orchestra giapponese) non è altro che possedere e gestire un grande e unico strumento.
Si arriva al concetto di Cucina Sonora, idea di Pietro Spinelli, pianista di formazione classica, in procinto (col batterista Gabriele Guidi) di suonare a Bucarest prossimamente. Pietro desidera scoprire cosa porti un artista legato alla musica elettronica a… spogliare la musica stessa lasciandola nuda. O rivestendola nelle sue molteplici forme. “L’uomo ha sempre avuto la curiosità di scoprire l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, anche nella musica. Non che poi ci si arrivi davvero, però mi piace l’idea di continuare a provarci all’infinito; e io cerco ogni volta ne di stravolgerla, la musica, o quanto meno di cercare una nuova strada”.
Rinnovare e rinnovarsi dovrebbe essere un’esigenza in tutti gli ambiti, non disdegnando necessariamente quello che c’era o quello che è il sistema. “Dipende anche molto dal ‘sistema’ in cui si è. Alla fine se molti si allontanano dal sistema in un certo senso prima o poi creeranno un altro sistema parallelo, quindi per quanto si cerchi di essere alternativi è davvero difficile definire chi veramente va contro il sistema”.
Il suono acustico, a volte unplugged, spesso sinfonico, è aperto al dialogo con la musica elettronica. “Non ci deve mai essere limitazione all’incontro tra generi. Il confronto è sempre necessario, sperimentare ci tiene vivi, altrimenti si alzano barriere e non ci miglioreremo mai. E poi timbricamente parlando per me è un sodalizio sublime, si completano perfettamente, oppure possono lottare tra sé come in un incontro di pugilato (il che è comunque uno spettacolo da vedere, anche se non per tutti)”.
Prima erano pochissimi quelli che progettavano uno strumento e quindi un suono. “Oggi chiunque con un PC e una DAW crackata può creare il proprio strumento e quindi il proprio suono. Prima quasi tutti suonavano almeno uno strumento, oggi in pochissimi sanno come si costruisce una scala lidia (quella su cui gira una delle sigle più celebri al mondo, quella dei Simpson). Ecco, pensate se si unissero questi due mondi: un popolo di supereroi; sarebbe come fondere due arti in una, saper costruire il proprio strumento con i mezzi e le tecnologie di oggi e saperlo suonare con lo studio e la tecnica di qualche tempo fa, finché non ci hanno messo un mouse e uno smartphone in mano”.

La classica, e altri generi da essa nati dopo, potrebbero dare al terzo millennio nuove melodie e incastri. “E l’elettronica potrebbe rivestirle con le sue infinite timbriche. Le combinazioni possibili sono quasi infinite. Senza considerare che il mondo dell’elettronica è in continua crescita. Sono due mondi contrari nella concezione, ma non necessariamente nella pratica. Per fare una metafora: da un lato costruisco il quaderno (che, se ha un design particolare, già mi racconta qualcosa), dall’altra parte scrivo una storia. Niente vieta che quella storia venga scritta su un particolare quaderno. La classica è il racconto che voglio dire, l’elettronica è la voce con cui la dico e io sono il corpo. E può succedere anche il contrario”.
In uscita su Memory Recordings con l’album ‘Past and Present’, Alessandro Martinelli , che molti conoscono come Alex Mine, vive il flusso emotivo, produttivo e creativo in modo intenso. I suoni minimali sono un omaggio agli anni passati dietro alla consolle e all’amore per il pianoforte. “Questo mio nuovo album è una congiunzione astrale, da circa tre anni avevo iniziato a registrare dei brani ma è stato proprio il momento storico che viviamo a portarmi a dedicarmici appieno. Per realizzarlo mi sono privato di ogni filtro che probabilmente avevo inserito in tanti anni nella scena techno. E ho messo al centro le mie emozioni”.
Per lui, il pianoforte è lo strumento più completo che ci sia. Puoi creare qualsiasi tipo di registro, atmosfera. “Dipendentemente dal tocco, dall’intensità. Lo stesso brano, suonato in maniera differente può provocare sensazioni totalmente opposte. Tutto è interamente gestito dalle tue emozioni. Nessun altro strumento dà questa opportunità: rapportarsi con esso. Noto che la maggior parte degli artisti, volutamente, intraprende un percorso musicale diverso dal precedente. Molti magari sono esausti dal genere in cui hanno investito molto tempo e risorse. Diversi sono passati da una house cantata in stile Defected, tanto per intendersi, a una techno più scura e acida, e solo perché vedevano più mercato”.

Nell’album di Martinelli ci sono melodie, momenti enfatizzati dall’inserimento di synth e texture melodiche. “Creano quella sorta di momento cinematografico che vanno a valorizzare la parte del pianoforte. Spesso, per scrivere un brano, parto proprio da questi synth e pad per creare la giusta atmosfera e il giusto mood per lasciarmi andare suonandoci sopra il piano. Un connubio perfetto. L’elettronica dovrebbe imparare dalla classica che la musica è fatta di emozioni. Spesso sento cose suonare divinamente, suoni spaventosamente fighi, ricchi, dinamici ma troppo perfetti. Una noia. Non sento umanità né emozioni, tantomeno vibrare qualcosa dentro”.
Quando un artista suona uno strumento classico invece, si percepiscono fragilità, ansia, paure e determinazione, rabbia. “Una cosa magnifica. La musica classica invece dovrebbe al contrario vivere gli strumenti elettronici come una risorsa, non una minaccia. Se c’è una scuola più rigida, sicuramente è quella classica, che proviene dal conservatorio e ancora limitata da qualche barriera, non ancora propensa a fusioni. La musica classica è un po’ la matrice di tutto”.
25.02.2021