• GIOVEDì 19 GIUGNO 2025
Festival

Nameless Festival e i suoi insegnamenti

In attesa della doppia edizione prevista per il prossimo anno, ecco il nostro racconto dei tre giorni del 2025

Foto: Instagram @namelessfestival

Lo scorso weekend siamo stati a Nameless Festival, un appuntamento ormai immancabile per tutti gli amanti della musica elettronica (e non solo, almeno per ora) che da anni corrono in migliaia sia dall’Italia, che da tutta Europa e America. Quest’anno sono state registrate circa 90mila presenze nell’arco dei tre giorni tra le esibizioni di più di 100 artisti che si sono alternati su 4 palchi (+1).

Quest’anno la direzione artistica è stata chiara, bastava leggere la line up: come sempre tanta musica elettronica, ma la scena urban (che si è esibita al Fructis Arena) è passata definitivamente in secondo piano (che sia un segnale chiaro per le prossime edizioni?) segnando un po’ un ritorno all’origine di un festival che negli ultimi anni era stato caratterizzato da nomi estremamente eterogenei.

Il Tent, palco da sempre dedicato al genere cardine, è stato costruito con le dimensioni utilizzate prima che il mainstage venisse introdotto, il 40% più grande rispetto agli ultimi anni. Il palco principale, invece, era più piccolo dello scorso, meno imponente, e a primo impatto l’impressione era che mancasse qualcosa. Una volta calato il sole però la resa è stata degna di nota grazie anche ai meravigliosi spettacoli pirotecnici (durante il set di Martin Garrix in particolare).

Le rinnovate collaborazioni con Defected, WAH e Glitterbox hanno regalato valore aggiunto con artisti di rilievo, quella con Heineken che ha permesso di inserire un open stage in cui il pubblico, dopo l’iscrizione, poteva essere selezionato per suonare uno slot durante la giornata. Il Red Bull Stage, con una conformazione simile allo scorso anno, ha perso, a parere nostro, un po’ di appeal a causa della posizione della consolle, quasi nascosta e non in bella vista e rialzata come ci eravamo abituati nel ’24.

 

 
 
 
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Come anticipato, gli artisti sono stati tantissimi, alcuni set sono stati eccellenti, altri meno. Tra i migliori non possiamo non menzionare Sub Focus, e i Nero (‘Promises’ sotto la pioggia è stata qualcosa di poetico). Tchami e Malaa hanno riportato la bass house di qualche anno fa. Bunt si è divertito talmente tanto da scendere a ballare scatenato con il pubblico, AnD e Luca Agnelli sono stati energia pura. Nimda e Sullivan King con la sua chitarra hanno fatto pogare. Le mosse di Stella Bossi hanno intrattenuto.

I tre headliner sono stati straordinari con un Armin Van Buuren sempre più trasversale, un Martin Garrix che, al di là degli eventuali gusti musicali, ha proposto uno show di caratura internazionale e i The Chainsmokers in netta ripresa dall’ultima volta che li avevamo visti e che, nonostante la pioggia, sono riusciti a essere coinvolgenti al massimo.

Foto: Instagram @namelessfestival

Le considerazioni da fare al termine di questi tre giorni riguardano tutto ciò che Nameless Festival è riuscito a insegnarci negli anni e anche in questa edizione 2025.

Innanzitutto da un punto di vista musicale, perchè è stato sempre uno specchio dei tempi che cambiano (a volte persino anticipandoli) e protagonista di quella ciclicità che caratterizza i generi musicali. Al di là dello zoccolo duro di pubblico, fan della scena riddim e dubstep che ha invaso il Tent durante la prima giornata o, per esempio, l’Heineken Stage con un takeover di Cripta, collettivo con base a Milano di cui vi abbiamo già parlato, si può ragionare su altre due situazioni.

La prima riguarda la drum and bass, genere che sempre più si sta riconquistando uno spazio sui palchi più importanti del mondo: grazie alla collaborazione con Worried About Henry è stato rappresentato alla grande anche a Nameless Festival con artisti, come raccontavamo prima, del calibro di Sota e Sub Focus.

La seconda, forse la più clamorosa, riguarda l’EDM: quest’anno più che mai viene da porsi una domanda: sta tornando veramente? È sempre stato complesso analizzare che cosa sia stata, sia e sarà l’EDM, quell’insieme di generi che ha avuto il suo massimo splendore dal 2010 fin verso i tre/quattro anni successivi. Per diverso tempo è stata bollata come vecchia e quasi “disprezzata” dai puristi della consolle. Tolti alcuni eventi che possiamo definire come “più indirizzati” in cui vengono esplorati sì diversi sotto generi, ma bene o male riconducibili a un solo filone, sono tantissimi gli stage su cui sono ancora i dj “che andavano forte anni fa” ad infiammare le folle. Sarà la nostalgia di un pubblico cresciuto con quella musica? Saranno le melodie e i vocali che fanno emozionare? Il successo anche a Nameless Festival ne è un esempio lampante.

 

 
 
 
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Nameless Festival ci ha insegnato l’importanza del percorso e che il cambiamento fa parte dell’evoluzione e non sempre è un male. I cambi di location sono stati tanti, i tentativi nelle varie line up molti di più: alcuni vincenti, altri per nulla. È giusto, ed è umano. La strada verso il successo e la crescita è, ed è stata lenta, ma costante e ha permesso al festival di diventare uno degli eventi cruciali dell’estate italiana e non solo.

Nameless Festival ci ha insegnato l’umiltà. Non è mai facile abbassare la testa, e ammettere i propri errori, soprattuto per eventi di tale portata. Eppure ogni anno il giorno successivo ala conclusione viene pubblicato un form che chiunque ha la possibilità di compilare con critiche e consigli su come migliorare determinate situazioni. E l’edizione successiva riesce a introdurre novità cercando di eliminare alcuni disservizi e risolvere problemi spiacevoli che ci sono stati e che (purtroppo, ma com’è normale che sia, la perfezione non credo esista) si sono presentati anche quest’anno, ma con la perseveranza di non smettere mai di impegnarsi.

Foto: Instagram @namelessfestival

L’ultima e forse la più importante cosa che Nameless Festival ci ha insegnato è proprio quell’umanità di cui parlavamo prima. Lo scorso anno avevamo raccontato di come l’evento venisse considerato come una seconda casa, espressione che abbiamo ritrovato nelle storie, nella nostalgia dei post e soprattutto nei discorsi veri, onesti e sinceri di ragazzi e ragazze sempre più affezionati a quei tre giorni dell’anno. L’evento è ormai un ritrovo essenziale per tanti, tantissimi. La fidelizzazione verso il proprio pubblico non è cosa scontata e il festival è stato maestro nel consolidarla, edizione dopo edizione, evento dopo evento. Basti pensare anche al format Less Names in cui la no phone policy e l’incognita sull’identità del guest non ha mai impedito a Nameless di riscuotere successo. Tutto ciò è dato dal fatto che in un modo o nell’altro, critiche o meno, la credibilità e la fiducia verso il progetto sono palpabili: un team unito che lavora giorno dopo giorno per migliorarsi e, citando le parole del founder Alberto Fumagalli durante la conferenza pre evento, “creare il Nameless Festival più bello di sempre, non il più grande”. Ed è proprio questo team e questo pubblico spensierato e gioioso che creano il legame più importante e che rendono Nameless Festival un’unica grossa famiglia.

Nameless Festival è ormai pronto a cambiare casa e “siccome si torna sempre dove si è stati bene” vale proprio per tutti, l’evento tornerà nelle città che lo hanno già ospitato durante il suo percorso di crescita: Barzio e Lecco. Nella seconda andrà in scena l’evento che abbiamo imparato ad apprezzare negli anni, dal 30 maggio a 1 giugno 2026. A Barzio invece si svolgerà la prima edizione di Nameless Festival Winter Edition il 14 e il 15 febbraio 2026. Le info, i biglietti e gli abbonamenti sono già disponibili sul sito dell’evento.

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