Dopo quasi quattro anni, The Chemical Brothers pubblicano un nuovo album. Ci eravamo lasciati con il discreto ‘Born In The Echoes’, che aveva un singolo molto forte, ‘Go’ con Q-Tip, alcuni brani notevoli, e stava in bilico tra la psichedelia esplicita che aveva caratterizzato la fase più recente della produzione dei Chems e quella old school fatta di acidità e potenza allo stato grezzo. Una potenza che negli anni si era via via affievolita per lasciare spazio a una scrittura più compiuta e a una produzione smussata e consapevole. Meno irruenza, più mestiere. Un andazzo che con il senno di poi ha giovato allo sviluppo di una carriera lunga e che ha saputo dimostrare di andare molto oltre alla rivoluzione big/break beat degli anni ’90. Anche se ha mostrato il fiato corto e una certa risacca in alcuni episodi meno riusciti della discografia di Ed Simons e Tom Rowlands, che comunque negli ultimi anni si sono barcamenati alla grande grazie a una meritata fama nei live e a un repertorio diventato classico per i ravers, i clubbers, i rockers e per chiunque ami andare ai concerti per divertirsi. Sono uno di quei gruppi che ce l’hanno fatta, sono emersi dall’underground per diventare istituzione. Mantenendo standard qualitativi sempre molto alti. E così, arriviamo al 2019.
Cosa aspettarsi da questi due, che sono in giro da quasi trent’anni e hanno detto e fatto ogni cosa possibile? Nella migliore delle ipotesi, è lecito sperare in un album che mantenga il livello senza cali eccessivi. Invece i Fratelli se ne escono con uno dei loro dischi migliori, certamente il più riuscito degli ultimi dodici anni. ‘No Geography’ (che ha un titolo bellissimo, ma i Chemical Brothers sono campioni di titoli bellissimi, fin dal loro nome) ci aveva già fatto intuire dei presagi molto positivi con i singoli che l’hanno preceduto. Ma la realtà super di molto le aspettative. Ci sono gli stilemi che sono diventati nel tempo il vero marchio di fabbrica di Tom e Ed: i break di batteria funk, i synth acidi, i giri di basso che flirtano con la disco (semplicemente irresistibili), i tagli di voce e i cambi repentini che non fanno mai calare l’attenzione. E c’è pure quella psichedelia dell’ultimo decennio, qui più diluita e mascherata, e molto efficace quando compare. Ma non è un effetto nostalgia né un “già sentito”. Suona comunque bene, nuovo, accattivante. Già l’uno-due iniziale è sufficiente a stenderci, con ‘Bango’ che sembra il perfetto proseguimento del discorso iniziato con ‘Eve Of Destruction’ e allo stesso tempo il suo contraltare. Un feeling che ritroviamo sparso in buona parte dell’album, con punte di accelerazione netta (‘Free Yourself’, ‘MAH’). L’altra faccia della medaglia è quella di riuscitissimi pezzi onirici, notturni, come ‘No Geography’, ‘The Universe Sent Me’ e la chiusura di ‘Catch me Im Falling’ che è già storia. Epica, profonda, perfetta per essere cantata al concerto con i lacrimoni negli occhi.
‘No Geography’ non è un album rivoluzionario, ma solo perché i Chemical Brothers ci hanno già abituati a queste vette. Se fosse il disco di due produttori medio-bravi, non dico esordienti, sarebbe una rivoluzione. Se lo mettiamo a paragone di buona parte di ciò che il panorama mainstream dance e dintorni ha offerto in questi anni, ‘No Geography’ si mangia tutti a colazione. Nella scrittura, nella produzione, nella quantità di idee messe in campo e nel modo in cui sono realizzate. Nella ricerca della qualità e non della hit immediata. Certo, come loro ce ne sono pochissimi. Giocano un campionato a parte. Non resta che vederli, ancora una volta, dal vivo, per godere appieno di queste nuove favolose tracce.
12.04.2019