Si chiama North Of Loreto ed è il progetto musicale elettronico di Bassi Maestro uscito su Com Era Records lo scorso 17 luglio. A segnare la consacrazione di questo side project c’è ‘M’, un album per il quale è stata realizzata una limitatissima versione in vinile: 15 copie stampate personalmente a mano dall’artista nel suo Press Rewind Studios e andate tutte a ruba in prevendita.
A poco più di un anno di distanza dall’album di debutto, North Of Loreto insiste sulle sonorità marcatamente anni Ottanta, Brit wave ed electro funk, anzi, divaga nella acid, nelle sequenze matte della TB-303. Un omaggio alla house music di quel periodo e ai maestri del genere, strizzando l’occhio al sound old skool di città come New York e Chicago. Solo che ‘M’ fiorisce nelle aiuole di Milano, a nord della grigia e cementificata piazzale Loreto.
La cover realizzata da Enrico Dalla Vecchia fa riferimento ai lavori di negativo-positivo di Bruno Munari rivisitandoli in una nuova veste grafica. In supporto a Davide (Bassi), in studio, Fabio ‘Veezo’ Visocchi, già presente nel primo lavoro. Il suo, in due brani, è un tocco funk e jazz; il cantante Paul Astro ci ha messo l’ugola in ‘Take me Home’. C’è da chiedersi cosa possa emergere dalla testa di una figura di riferimento dell’hip-hop italiano degli ultimi 25 anni, come quella di Bassi, in fatto di house. L’abbiamo chiesto a lui.

Cosa succede davvero a nord di piazzale Loreto, a NOLO, quartiere milanese ormai indipendente e in piena ascesa a livello di popolarità?
Io sono lì da 12 anni, con lo studio, è una zona che conosco molto bene. C’è stata una rivalutazione naturale, sono nati molti locali, come il Ghe Pensi Mi, frequentati dal mondo artistico. Noi abbiamo iniziato a fare dei dj set solo con dischi in vinile circa tre anni fa. Il quartiere mi ha spalleggiato molto e siamo così alla seconda puntata di North Of Loreto.
Il titolo ‘M’ significa Milano?
Non solo. Un mix di cose. Sì, Milano ma anche Musica, metropolitana intesa come underground musicale e, ultimo, (Bruno) Munari, figura di riferimento personale da anni a livello artistico sulla scena cittadina. Milano ricalca e rivive nello spirito dell’album grazie al funky, l’hip-hop, il soul, la Italo disco e ti permette di lavorare in un certo modo.

Quanta Milano c’è in te, oggi?
Dico solo che io, se posso, cerco di muovermi. L’ho fatto tempo fa andando in Giappone. Oggi che non puoi viaggiare come prima gli stimoli li devi andare a cercare sotto casa. Sennò online: mi sto costruendo una mia comunità su Twitch, un canale con un forte spirito di gruppo, aperto a suoni eterogenei. I ragazzini sono stanchi di ascoltare tutta la melma che arriva via playlist.
North of Loreto potrebbe diventare un ensemble?
Io parto sempre da solo. Nella mia zona c’è molto indie. Dovesse saltare fuori una collaborazione, le porte saranno aperte.
Perché si fanno i side projet? Per mostrare più anime artistiche? Se sì, qual è la tua?
Nella mia testa non ci sono distinzioni. E poi questo non è un vero side project bensì un progetto vero e proprio. Sono trasversale. Non ho più appartenenze.
A riprendere i suoni del passato non c’è il rischio di perdere l’occasione di poter sperimentare? Come hai trattato le tracce, la produzione, hai usato strumenti vecchia scuola?
L’intenzione non deve essere il ricreare quello che esisteva già, e in un certo verso un lato sperimentale nell’album c’è. Le programmazioni e i suoni sono pensati in modo contemporaneo. La pre-produzione l’ho fatta con diverse macchine vintage. Diciamo che la pre produzione è quasi interamente analogica e la post produzione maggiormente digitale.
Misceliamo la tua house con il tuo rap: quanto c’è di hip-house inesplosa in te?
L’hip-house è un sottogenere arduo da far capire al pubblico. Molte volte nei miei set suono cose come Fast Eddie o Tyree ma, ripeto, sono artisti e pezzi difficili.
Invece, è facile fare un progetto dance oggi con i locali chiusi?
Non lo so, la musica troverà sempre il modo di sopravvivere. La musica non si ferma. Per questo sto lavorando tanto online.
Fish è uscito con un libro sul mondo della produzione e i suoi dintorni. Ne scriverai uno anche tu?
I libri e i vinili sono cose che restano, se non messi su una bacheca. Mi piacciono. Certo, col digitale, con Shazam, è tutto monitorabile, tracciabile, riconoscibile: è il primo passo per la conoscenza. Poi, se uno vuole, fa la sua approfondita ricerca. Magari non mi metterò mai in cattedra con un racconto autoreferenziale, ecco, non è da me. Vedremo.
31.07.2020