• SABATO 03 GIUGNO 2023
Interviste

Nziria porta la tradizione napoletana nel futuro con la sua ibridazione tra neomelodico ed elettronica

Un progetto che pesca a piene mani dalla tradizione napoletana e dal canto neomelodico ma lo trasporta altrove, in un territorio elettronico estremo, quello vicino alla gabber, a un certo tipo di trance, e oltre

Un progetto assolutamente unico, che pesca a piene mani dalla tradizione napoletana e dal canto neomelodico ma lo trasporta altrove, in un territorio elettronico estremo, quello vicino alla gabber, a un certo tipo di trance, e oltre. Un ossimoro musicale estremamente intrigante e interessante, sorretto poi da una figura magnetica. Tutto questo è Nziria, cantante che di questa fusione si fa alfiere, con produzione curata da quel geniaccio di Gabber Eleganza, ormai un nome acclamato e consolidato a livello internazionale. E in questa intervista, Nziria ci racconta il suo album ‘XXYIBRID’, appena pubblicato (dalla Never Sleep di Gabber Eleganza, naturalmente) e di cosa significa avere un legame profondo con Napoli, con la sua tradizione, ma guardare anche al futuro, e ancora tutto un mondo che si schiude, sempre flirtando con un la cultura partenopea, anche rispetto alla non-binarietà di genere, a un certo modo di intendere le tradizioni, la città, e il suo mondo.

 

Chi sei? Da dove nasce il nome Nziria?
Queste sono due domande in una… inizio dalla prima: mi chiamo Tullia Benedicta, nasco a Ravenna nel 1990 da famiglia napoletana emigrata al nord negli anni ’80. Ho un passato da musicista industrial techno, e con il mio nome ho pubblicato due album. E poi ora ho questo nuovo progetto, Nziria per l’appunto. È una parola napoletana che uno stato emotivo, significa la lagna, il capriccio dei bambini, quando sono assonnati o infastiditi. E ho pensato che si potesse riconnettere al mio progetto perchè la “lagna” si può assimilare al capriccio del cantato neomelodico, no? Un modo di cantare molto sofferto, molto sentito, con tanto trasporto emotivo che può essere anche stucchevole oltre un certo limite.

Già c’è un manto di suggestione e fascino in tutto questo. Ma presentaci meglio il tuo progetto, anche nei dettagli…
Nziria era nella mia testa da tanti anni, avevo questa idea di cantare in napoletano perché la considero una lingua estremamente musicale e molto adattabile alla musica, e quindi in un periodo in cui ero ferma con il resto dei miei progetti mi sono presa il tempo di immergermi in questa nuova avventura.

E come l’hai sviluppata questa avventura?
La prima volta che ho pensato di portare a compimento questo progetto è stato quando sentii ‘Never Sleep’ di Gabber Eleganza, nella mia testa era una tarantella, ma una tarantella gabber, e mi ha aperto una porta. Mi ha fatto pensare che potessi sperimentare su questo. Non avevo mai esplorato l’hardcore gabber prima di allora, ma è un genere che conosco discretamente bene per ascolti e legami di frequentazioni anche nei club. Da questa scintilla sono partit* con un progetto di cover napoletane che proposi a Gabber Eleganza e da lì è un po’ partito tutto.

Quindi c’è stato un “pre” Nziria?
Sì, io a un certo punto decisi di immedesimarmi in Nico Felice, un alter ego che usavo per cantare ai matrimoni di napoletani emigrati al nord. Che è la mia condizione: la mia famiglia è napoletana ma io sono cresciut* in Emilia Romagna, ho sempre amato il canto napoletano e la lingua ma solo dopo un’infanzia a rinnegare le mie radici ho abbracciato la cultura partenopea. Cantare ai matrimoni degli emigrati in napoletano significava entrare in un certo spirito, e di fatto è stato un primo passo verso questo progetto. Poi ho voluto incidere della cover con un progetto che si chiamava Positano Noise e da lì è arrivata l’idea di scrivere pezzi originali e di dare vita a Nziria.

Ci racconti questo album?
Il disco l’ho concepito come un full lenght fin dall’inizio, volevo che fossero almeno 8 tracce, mi piace concepire un disco e metterci dentro tutta una storia. Quello che volevo fare era esplorare delle sonorità e delle corde che non avevo mai toccato, né troppo pop né troppo sperimentali, infatti 3/4 tracce sono cantate e poi le altre sono strumentali, ci sono scelte stilistiche trance, gabber, e tanta sperimentazione, però anche la forma canzone, volevo proprio stare su questo crinale. Ed è un disco pieno di storie, ad esempio la prima traccia, ’E Riavule’, “i diavoli” in italiano, è ispirata alla Smorfia napoletana. Contiene un sample di un femminiello che sta estraendo dei numeri alla tombola scostumata.

Per i profani: che cos’è la tombola scostumata?
È una tradizione napoletana, si chiama “scostumata” perché chiamano i femminielli a condurla e a raccontare aneddoti legati al numero estratto, e si tratta di aneddoti molto spesso di natura sessuale. È un modo per omaggiare Napoli, le mie origini, ma anche con la voglia di portarlo fuori dai confini italiani. Oppure, ‘Hard Tarantella’ è una traccia ballabile, l’unica, la prima forma di ibridazione tra gabber e tarantella. Me la vivo come un rituale propiziatorio. Un momento magico di energia in cui celebro le mie origini e la mia identità. Queste sono le storie dentro i pezzi del disco.

Napoli in questi anni è tornata ad essere un centro musicale importante, ancora una volta, non solo per la musica italiana ma anche nelle sue forme più innovative, dalla techno di Capriati e Carola alla nu disco dei Nu Genea fino al pop di Tropico, alla trap, al rap di J Lord e Luché, e ancora a progetti “laterali” rispetto al mainstream, come Liberato, La Nina, e ora arrivi tu che sposti ancora l’asticella da un’altra parte. Come vivi Napoli da questo punto di vista?
Sono felice che Napoli stia vivendo un riscatto culturale perché ha davvero un sacco di talenti ed è bello che emergano. Sono felice che tutto questo possa uscire dai confini italiani e che venga conosciuta da fuori. Chiaramente, l’altro lato della medaglia è il rischio che tutto diventi “turistico”, proprio come modalità, e quindi gentrificazione culturale, oltre che territoriale, e su quel versante purtroppo già ci siamo: le file chilometriche davanti a certe pizzerie famose, i quartieri visitati per via dei film… è un bene che tutto questo acquisisca notorietà, ma inevitabilmente finisce per far perdere sincerità a certi aspetti della vita e della città.

 

Il titolo dell’album mi piace molto: ‘XXYBRID’. Lo trovo significativo.
Beh, innanzitutto ci ho messo tantissimo tempo a trovarlo, volevo fosse una sola parola e che fosse internazionale. Alla fine ho capito che il nucleo di tutto il disco era l’ibridazione, e poi ho deciso di chiamarlo così anche per sottolineare la non binarietà di genere ma anche la mescolanza tra nord e sud e quella di genere.

Che cosa significa invece hard neomelodic?
È un termine che ho coniato perché volevo racchiudere in maniera semplice quello che volevo fare, in maniera molto precisa per esprimere questo nuovo genre che porta il neomelodico oltre i suoi limiti e i suoi confini tradizionali. Vorrei che arrivasse alla pancia della persone, e hard e neomelodico sono due generi molto passionali, sanguigni. Un’esperienza estetica che supera i limiti per sua natura.

Mi racconti del tuo rapporto con Gabber Eleganza?
Alberto è un personaggio unico nel panorama musicale contemporaneo, e ci seguivamo da un po’. Era un rapporto da social e poi si è evoluto negli ultimi due anni, ci siamo trovati a Berlino per caso e abbiamo iniziato a pensare a questo progetto, prima con Positano Noise che era una sorta di “1.0” di quello che sto facendo ora, e poi siamo andati avanti e la sua label Never Sleep è la prima e unica che ha ricevuto il promo, volevo lavorare con loro e sono felice sia andata così. Lui mi ha sempre spinto e sostenuto molto: “Parla di questo, del fatto che non sei napoletan*”.

 

A livello estetico da dove arrivano le idee di portare in scena un immaginario così preciso?
Qui entra in gioco la mente geniale di Bianca Peruzzi, fiorentina di base ad Amburgo, che ho conosciuto anni fa a un festival che si chiamava Bologna Elettrica, mi faceva le luci a un concerto e ci siamo trovat*, a fine serata ci scambiammo idee e feedback e abbiamo capito di essere sulla stessa lunghezza d’onda. Da lì partì questa collaborazione con lei. Bianca ha portato molto della sua estetica nel video di ‘Amam Ancor’. Abbiamo deciso di ambientare il video durante un matrimonio perché è lo spazio perfetto per rappresentare un cantante neomelodico e perché era intrigante ragionare sul brano, che parla di un amore non corrisposto. E poi era imprescindibile che ci fossero persone della comunità queer perché è la mia comunità di appartenenza. Bianca ha avuto l’intuizione di rappresentare alcune scene con dei tableau vivant, perché il senso di vicinanza e compassione verso questa persona che soffre fosse rappresentato anche in modo molto fisico e quasi religioso. Fino alla fuga insieme alla maschera della Hard Pulcinella. Ed è solo l’inizio di molte idee che abbiamo in cantiere, anche per i live.

 

 

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Albi Scotti
Giornalista di DJ Mag Italia e responsabile dei contenuti web della rivista. DJ. Speaker e autore radiofonico.

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