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Pepsy Romanoff, nonostante il nome, non è russo, è campano. “Peppe Romano era troppo italiano, tipo Mario Rossi”. Serviva un nickname che facesse bella figura in una presentazione da parte di Alioscia dei Casinò Royale a Pharrell Williams e che potesse rendere onore ad una carriera che lo ha visto collaborare dietro la telecamera con stelle della musica tra cui i N.E.R.D di Pharrell, Busta Rhymes, i Club Dogo, Marracash, Clementino, Salmo, Guè Pequeno e troppi altri per citarli tutti. Il tutto passando dal leggendario Modena Park di Vasco Rossi al giro del mondo insieme a Sfera Ebbasta per ‘FAMOSO’, il music film disponibile su Amazon Prime Video che racconta gli ultimi tempi del trapper di Cinisello Balsamo che ha conquistato il globo. Da una rockstar all’altra, Peppe Romano è l’eccellenza italiana dei music film, un regista che di hip hop ne sa qualcosa già da molto prima di Sfera: “Io so’ nato coi graffiti e col rap, quella è la musica mia“. Il rap si mescola con l’arte di Chris Cunningham, Spike Jonze, Floria Sigismondi, Spike Lee. Il risultato è la volontà di raccontare la musica contemporanea e le storie dei suoi protagonisti con una lente d’ingrandimento diversa, lontana dalla temporaneità dei social media e dalle sue favole dissolventi. Abbiamo parlato al telefono con Pepsy a pochi giorni dall’uscita di ‘FAMOSO’, un documentario che percorre il backstage della vita sotto i riflettori di Sfera Ebbasta, concentrandosi minuziosamente su tutti i dettagli – dall’estetica al suo formidabile team – che ne hanno permesso un’ascesa così veloce e pirotecnica.

Foto: Sha Ribeiro
I documentari più intimi e dettagliati consistono in lunghe e studiatissime interviste tra il protagonista e il suo regista, e quelli meglio riusciti hanno questa forza che mi affascina tantissimo che è quella del fartelo dimenticare. Il risultato sembra un racconto lineare e perfetto, ma dietro ci sono mesi di fatica e tanto, tantissimo materiale.
Non solo, quello che non si sa è che molto spesso queste interviste partono da un punto ben preciso e arrivano in un altro a caso, che non ti saresti mai aspettato e che non avresti potuto prevedere. Mi è capitato spesso di concepire una mia idea di un tipo di documentario che voglio realizzare e poi rendermi conto, conoscendo il soggetto in questione, che invece la direzione da prendere sia un’altra, magari totalmente opposta. È stato così con molte delle persone con cui ho collaborato, compreso Sfera Ebbasta. Con lui era da tempo che pensavamo di fare un film, ben prima del Forum e qualche album fa. La prima intervista che gli ho fatto è stata molto semplice: lui, un registratore audio e nessuna telecamera. Era il 2014, il periodo di ‘Mercedes Nero’. Niente menate estetiche, un lavoro libero e rilassato. Quella è diventata da subito la traccia a cui ispirarci per la costruzione di una narrazione, ed è stata anche inclusa nel fim insieme ai tantissimi altri filmati presi da un archivio che copre anni di riprese. Prassi comune per tutti i music film, tra l’altro. Poi nell’era dei social media questi archivi assumono un valore storico sempre più grande.
Quando avete capito che fosse giunto il momento di un film?
Ci sono voluti sei anni, precisamente dopo il Forum di Assago, per convincerci che fosse arrivato il momento di mettere nero su bianco la sua storia. È nato tutto da un confronto con Shablo e Jacopo Pesce (presidente di Island Records, ndr.): non c’era stato solo il Forum, ma anche aver vinto X-Factor e aver trasformato in oro praticamente qualsiasi cosa avesse toccato nel suo percorso. Abbiamo preso il materiale del 2014 e buttato giù le basi per proseguire la narrazione, dallo studio di Charlie Charles agli Stati Uniti, dal palco del MAMACITA con J Balvin al featuring che ne è nato, per un totale di coperture video che sarebbero bastate per quattro documentari. Sono soddisfatto del risultato, che secondo me farà da apripista a lavori simili. Il lavoro finale è l’unione di tanti tasselli che poi è il tempo ad allineare. Dalla nostra intervista del 2014 ad oggi sono cambiate tantissime cose per Sfera Ebbasta, che ha avuto un’evoluzione impressionante.
L’imprevedibilità del punto di arrivo dell’opera rispetto all’idea iniziale, di cui parlavi prima, finisce in qualche modo col renderti spettatore del tuo stesso racconto?
Sì un po’ è così, ad esempio a me ha colpito molto la persona dietro il personaggio di Sfera Ebbasta. Nel momento in cui ho conosciuto il suo percorso sono rimasto molto sorpreso e ho capito che fosse una storia genuinamente bella da raccontare. È un ragazzo partito da zero che ha inseguito un sogno e ha ottenuto tutto ciò che voleva con la sua sola forza di volontà. Che ti piaccia o meno la sua musica, non c’è dubbio che la storia sia davvero bella. In Italia dobbiamo andar fieri del fatto che qualcuno stia “espatriando” la nostra lingua, dopo anni in cui l’italiano è stato tradotto in spagnolo per poter arrivare al pubblico internazionale.

Foto: Lory BHMG
L’importanza della comunicazione visiva nella carriera di un artista oggi è un’esigenza irrinunciabile, e il film lo racconta in piccoli ma essenziali dettagli: il suo fotografo, la pettinatura, la scelta dell’outfit, gli scatti perfetti…
Per un artista affermato essere curati è la “nuova normalità”. Noi tenevamo molto a trasferire questa mentalità nel racconto e infatti anche il film segue lo stesso processo. Avrai notato che è molto elaborato dal punto di vista artistico, tra color correction, soluzioni di post produzione, ambientazioni, ritmi di montaggio e stacchi artistici. La palette di colori utilizzati rispecchia il mondo arcobaleno di Sfera Ebbasta ed è stato un lavoro nel lavoro, realizzato da un team molto ampio in un arco di tempo notevole. C’è da fare, rifare, sbagliare, ripartire. La mia casa di produzione, Except, è stata essenziale nell’assecondare le mie scelte e sperimentazioni così come tutto il mio team di lavoro, dal mio autore Rido al mio socio Maurizio Vassallo e al montatore e videomaker Dario Garignani, che in due anni è venuto in giro con me ovunque.
Una cosa che mi sono sempre chiesto è come si fa a diventare “invisibili” nel riprendere qualsiasi momento della vita sia privata che pubblica di un artista.
Devi avere enorme pazienza, e infatti ci si ritrova sempre con un’infinità di ore di filmati da ripercorrere alla ricerca di un momento, una parola, un’inquadratura perfetta. Non sai mai quando potrebbe esserci un guizzo interessante. Magari pensavi di staccare, ma poi il soggetto fa qualcosa di inaspettato che devi essere bravo a immortalare subito.
Poco tempo fa mi è capitato di rivedere il documentario Netflix ‘Diego Armando Maradona’, e dopo la sua scomparsa ha tutto un altro significato rispetto alla prima volta che l’ho visto. Un documentario non è mai davvero finito, finché la storia va avanti. Dal punto di vista del regista, come si vive questa cosa?
Da una parte bene, perchè il film una volta finito per un regista è come fosse un figlio. Da un’altra male, perchè inevitabilmente ti affezioni alla storia e vorresti restare aggiornato per sempre per sapere come va avanti, ma è chiaramente impossibile. A meno che non parti da subito con l’idea di realizzare un lavoro che vada avanti a tempo indeterminato. Posso dirti che già un paio di mesi dopo la fine del film a Sfera Ebbasta sono accadute cose molto importanti, come la piazza a Cinisello Balsamo. Sono fiero di aver scritto il primo capitolo, se poi ci sarà la possibilità di andare avanti sarò felicissimo di farlo. Aver girato anche il video di ‘Bottiglie Privè’ mi ha permesso di aggiungere un altro pezzo al puzzle, poi per il futuro si vedrà.
C’è un altro artista italiano che ti piacerebbe raccontare?
Ho avuto la fortuna di aver già lavorato con due rockstar di due generazioni diverse, ovvero Vasco Rossi e Sfera Ebbasta. Mi rende particolarmente orgoglioso perchè non sono solo io a scegliere loro ma soprattutto loro a scegliere me. Raccontare la storia personale di qualcuno in un film è una responsabilità non da poco, una vera e propria autobiografia video. Detto questo, ci sono vari artisti italiani, sia mainstream che underground, che mi piacerebbe raccontare. Mi piace chi si distingue dalla massa compatta della scena trap, dove sono in tanti a fare sostanzialmente la stessa cosa. Le storie indipendenti sono quelle che mi attraggono di più. Mi piacerebbe anche raccontare l’Italia degli anni ’90.
Ci sarà tanto da raccontare quando finirà l’incubo della pandemia?
Dal letame nascono i fiori, no? Avremo modo di dare più spazio a chi ha i contenuti veramente più interessanti, perchè saremo spinti da una voglia di nuovo e reale senza precedenti. Io ci credo in un Rinascimento post-covid, perchè la storia ci ha insegnato che le più importanti espressioni artistiche hanno trovato terreno dopo le crisi più profonde e dolorose. Ci sarà un motivo, no?
07.01.2021