Pierfrancesco Pacoda è un giornalista musicale e uno scrittore dalla lunga e prestigiosa carriera. Le sue opere sono fonte di enorme cultura per chi vuole approcciare il mondo della musica, in particolar modo della musica elettronica, da club, e della club culture. In anni in cui dare dignità culturale al nostro mondo era ancora visto in modo diffidente, quando non apertamente ostile (spesso, paradossalmente, da altre aree delle sottoculture giovanili con le quali le analogie erano molto superiori alle differenze, che si limitano il pù delle volte al look e ai diversi stili musicali), Pacoda era uno di quei “carbonari” affascinati dal club e dalle sue novità sociali e culturali, pronto a scriverne e ad analizzarne i fenomeni in modo intelligente e sagace. Titoli come “Sulle rotte del rave”, e “Io, dj” hanno fotografato in modo molto approfondito la storia del clubbing, non solo italiano. “Rischio e desiderio”, la nuovo opera di Pierfrancesco, arriva in libreria a pochi mesi da una caldissima (non solo climaticamente) estate per i locali italiani: la chiusura del Cocoricò, i servizi sugli eccessi e sulla presenza di droga andati in onda su ogni tg e presenti su molti gornali, spesso colpevoli di tratare l’argomento senza conginzione di causa. Ho raggiunto Pierfrancesco Pacoda per parlare di “Rischio e desiderio”, che come sempre si è rivelato persona intelligente e capace di dare prospettive interessanti al nostro mondo.

“Rischio e desiderio” è un libro che tratta un argomento affrontato tantissime volte in passato, da tante prospettive diverse. In che modo questo volume può dare una chiave di lettura differente da tutto quanto è stato detto in passato?
L’idea alla base di ‘Rischio e desiderio’ è quella di raccontare, senza moralismi, che rapporto hanno oggi i ragazzi con la notte e con il piacere, e quindi, naturalmente, con l’universo del clubbing, che sintetizza bene questa aspirazione. Tra desideri da soddisfare e gusto per il rischio, che sono elementi fondanti delle cosiddette ‘culture giovanili’. Il libro nasce dopo i fatti estivi che hanno portato alla chiusura del Cocoricò e alla messa in scena di un allarme sociale che ha trasformato, ancora una volta, le ‘discoteche’ in un nemico pubblico. Mi sembrava utile, e qui credo stia la novità del volume, far conoscere una serie di esperienze che, in ambiti diversi, hanno a che fare con i club e che forse sono più adeguate a spiegare cosa succede durante la notte, rispetto alle solite posizioni puramente repressive. Voglio dire che in Italia c’è, intorno ai club, una ricchezza culturale, fatta sia di gestori illuminati che di persone delle istituzioni mediche, che lavorano per rendere il ‘piacere’ un ‘luogo’ più sicuro.
Hai raccolto numerose testimonianze da parte di artisti, promoter, imprenditori del settore. Hai notato dei punti di vista differenti tra loro oppure c’è un fil rouge che accomuna un pensiero di fondo?
Se ti chiedo qual è il cambiamento principale nel mondo del clubbing da quanto ti ci sei avvicinato ad oggi, cosa rispondi?
Domanda molto difficile… Adesso, forse, c’è una maggiore radicalizzazione. Il clubbing, per i più giovani che oggi frequentano le discoteche, è quello dei dj superstar. I ragazzi passano con più disinvoltura che in passato dalle star del rock a quelle della dance: quello che conta è lo show. Non si pongono certo il problema della tecnica. Credo che a un ragazzo poco importi se il dj che va ad ascoltare prema solo un tasto o mixi i brani. Dall’altro lato, però, cresce una scena super underground per la quale la ‘purezza’ è un dogma. Mi sembra siano due realtà difficilmente destinate a incontrarsi.
08.01.2016