Foto: Firenze Jazz Festival
Da mertedì 2 sino a domenica 14 settembre il Firenze Jazz Festival torna con la sua nona edizione che segna un deciso salto di qualità, consolidandosi come uno degli appuntamenti più attesi dell’autunno musicale italiano. Lamanifestazione si snoda tra location iconiche come Villa Bardini, Villa Strozzi, il Forte Belvedere e il Conventino, ospitando artisti internazionali come Alfa Mist, Alabaster DePlume e l’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, accanto a talenti italiani emergenti.
Con oltre cento artisti coinvolti, sedici giorni di programmazione e più di trenta appuntamenti distribuiti in nove location suggestive, la manifestazione conferma la sua vocazione policentrica e la sua apertura alle contaminazioni sonore. Il claim di quest’anno, “Connected”, riflette perfettamente la filosofia dell’appuntamento: un viaggio esperienziale che connette realtà diverse, alla ricerca di sentieri musicali che si intrecciano tra loro, con l’ambizione di porre Firenze in risonanza con i grandi festival del mondo.
La direzione artistica, coordinata da Centro Spettacolo Network, ha scelto di abbracciare questa visione inclusiva chiamando sul palco del main stage all’Anfiteatro delle Cascine anche i Planet Funk. “Ci si potrebbe chiedere cosa leghi i Planet Funk a un Festival Jazz… In realtà, moltissime cose” spiega Alex Neri, fondatore del collettivo. Il Firenze Jazz Festival è infatti noto per l’apertura alle contaminazioni sonore, ed è proprio da questa libertà che nasce il DNA dei Planet Funk. Il 13 settembre, il gruppo multiplatino celebrerà l’inconfondibile sound che li contraddistingue fin dall’iconico ‘Non Zero Sumness’, presentando anche il nuovo singolo ‘I Get A Rush’, brano dedicato al loro compagno Domenico GG Canu prematuramente scomparso.
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Firenze Jazz Festival ha offerto l’occasione per incontrare i Planet Funk. Attorno a un tavolo si alternano le voci di Alex Neri e Alex Uhlmann, raggiunti poi da Dan Black, mentre Marco Baroni si unisce solo sul finale. Questo è il nuovo assetto. Il dialogo diventa una riflessione sulla memoria, sul cambiamento e sul futuro di una band che ha fatto della metamorfosi la propria cifra distintiva. Eccoli.
Subito un bilancio. Così, a freddo. Ripensando alla nascita dei Planet Funk nel 1999, cosa ricordate?
Alex Neri: Io arrivavo dall’esperienza dei Souled Out, mentre in Inghilterra dominava la moda dei collettivi come Groove Armada e Faithless. Noi potevamo essere la risposta italiana a quel movimento. Fin dall’inizio abbiamo capito che non saremmo stati una semplice band bensì un collettivo, e questo ci ha permesso di trovare una nostra identità sonora.

L’idea di collettivo, più che di gruppo tradizionale, è stata la chiave per resistere al tempo e ai cambiamenti di formazione?
Alex Uhlmann: Non ci siamo mai rinchiusi in un cliché. Abbiamo creato un collettivo non solo musicale, ma anche organizzativo, capace di rinnovarsi costantemente.
Quale equilibrio si è creato dopo le perdite di Sergio Della Monica e di Gigi Canu?
Alex Neri: Perdere Sergio e poi Gigi è stato devastante, come perdere dei fratelli. Condividevamo studio, vita, sogni. Dopo la loro scomparsa ci siamo chiesti se fosse giusto continuare, e per molto tempo l’album su cui stavamo lavorando è rimasto sospeso. Alla fine, però, abbiamo deciso che andare avanti era il modo migliore per onorarli.
A questo punto, come state vivendo l’attuale fase creativa? Quali i cambiamenti in vista?
Alex Neri: Come produttore porto fuori la mia parte più sperimentale. Tre anni di Covid ci hanno destabilizzato, ma ci hanno anche spinto a ripensarci. Oggi stiamo lavorando a un album che ha preso mille direzioni, cercando un equilibrio tra elettronica e strumenti live.
Alex Uhlmann: il nostro DNA è sempre l’incontro tra chitarre e synth. È un intreccio che continua a definirci. Non abbiamo una sola voce identificativa, ma è il suono a renderci riconoscibili.

Non siamo più all’inizio del 2000. Il mercato discografico lancia nuove sfide.
Alex Neri: Oggi non si può nemmeno più parlare di mercato discografico, ma di traffico algoritmico. Tutto è guidato dai numeri, dalle piattaforme. Noi resistiamo con la passione, che resta l’unico vero motore.
Bisogna ovviamente guardare avanti. Come?
Alex Uhlmann: Abbiamo in programma un nuovo album e stiamo valutando un club tour. Dopo i grandi festival, sentiamo il bisogno di ritrovare l’intimità dei club, dove il contatto con il pubblico è più diretto e viscerale.
Ed eccolo, sul finale, Dan Black, intervenuto a fine conversazione: “C’è sempre stata una libertà musicale impressionante nel progetto. È ciò che lo rende vivo e capace di rinnovarsi. Il nostro suono è stato influenzato dal rock, dall’elettronica, persino dal punk: non c’è un recinto, solo la voglia di esplorare”.
05.09.2025