Il tempo corre, per Polo & Pan. L’album ‘Cyclorama’ è uscito da quasi due mesi e la coppia non fa quasi tempo a raccogliere tutti gli elogi di questo lavoro da studio che già deve dedicarsi al futuro. L’odissea musicale, come dicono loro stessi, “attraverso i passaggi dell’esistenza umana, sino alla trascendenza”, sta tutta in brani che traspaiono coraggio e unicità. Dopo quattro anni consecutivi di spettacoli sold-out in tutte le principali città europee, mediorientali e statunitensi, la critica è unita: potrebbero essere i degni eredi dei Daft Punk.
Sono un duo, sono francesi, non sono ingabbiati dalle logiche di mercato della discografia contemporanea, fanno quello che gli va di fare e lo fanno bene, e godono di una libertà assoluta, quella di scorrazzare tra generi, palcoscenici e classifiche, dimostrando una reminiscenza e un’attitudine che porta dritti a Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter. Spendono byte e inchiostro il New Yorker, KCRW, Le Monde e tanti altre autorevoli testate, per Paul Armand-Delille (Polocorp) e Alexandre Grynszpan (Peter Pan). Noi ci accodiamo.
Paul e Alex, ‘Cyclorama’ sembra nato così, per caso. È solo una nostra impressione?
Effettivamente. Stavamo scrivendo delle canzoni e, non appena avevamo delle ispirazione o delle idee, iniziavamo a realizzare dei demo. Alla fine del tour, periodo che coincide con l’inizio della pandemia, avevamo circa 30 canzoni su cui volevamo lavorare; a causa delle condizioni dovute al lockdown, alcune canzoni erano più difficili da realizzare, si trattava di collaborazioni e la gestione era molto complicata. Però alcuni brani si distinguevano dagli altri. È così che l’album ha iniziato a prendere forma. Anche il concept dell’intero lavoro è emerso da questi demo. ‘Cyclorama’ ha preso vita come un album nato dalla strada e dall’improvvisazione, certamente non a tavolino in studio.
In questo momento epocale bisogna davvero imparare a navigare a vista e a vivere alla giornata?
Non siamo affatto pronti per i nostri prossimi spettacoli dal vivo. Abbiamo lavorato così tanto sull’album. Quest’estate faremo solo alcuni dj set. A settembre inoltrato inizieremo a pensare al domani e ci vorranno almeno tre mesi di lavoro per pianificare tutto, imprevisti permettendo. Probabilmente saremo pronti a fino a dicembre. Il nostro primo show inizierà in concomitanza con la partenza del nostro tour negli Stati Uniti.

Sono sempre di più quelli che credono in Polo & Pan come alternativa ai Daft Punk. Qual è la vostra reazione?
Sì, siamo stati paragonati a loro e sicuramente questo è un giudizio davvero lusinghiero. Tuttavia, in termini musicali il nostro sound è molto diverso. Ci accomunano alcuni aspetti, sì, ma su certe cose siamo ancora molto lontani. A voi giornalisti piace fare raffronti, assegnare definizioni per classificare gli artisti. Questa cosa di essere stati etichettati come produttori di French Touch ha fatto il resto. Sono tutti paragoni, ne siamo molto contenti. Possiamo solo sognare di avere una carriera come quella dei Daft Punk.
La scena dei club ha ancora molta influenza sulla produzione musicale, dopo quello che è successo negli ultimi mesi?
A noi piace molto testare i nostri brani nei club, di fronte a un pubblico, specialmente quelli che sono stati ideati per ballare, e la mancanza di possibilità di fare dei live ci ha messo in difficoltà e anche evidenziato questo punto: il dialogo tra club e studio di registrazione è fondamentale, soprattutto ora che puoi lavorare con un laptop e presentare direttamente le tue produzioni negli spettacoli dal vivo. Quando siamo in viaggio, prepariamo sempre delle piccole tracce, dei beat, da provare di notte, e la pratica è piuttosto divertente, è diventata una sfida: produrre una traccia mentre siamo in giro e rifinirla in studio per poi pubblicarla in seguito.

Da dove nasce questo vostro talento sul lavoro, diciamo così, in mobilità?
Ogni artista è fatto a suo modo. Alcuni sono dei geni e rendono tutto perfetto fin dall’inizio ed è bellissimo. Noi abbiamo fatto percorsi che ci hanno portato a lavorare molto e ad accumulare molti progetti poi falliti. Nonostante tutto, le cose sono andate per il verso giusto. Quando sei appassionato, puoi dedicare molto tempo e molta energia a quello che fai. Una lieve linea di confine divide sempre quello che fai come artista e quello che fai come imprenditore di te stesso.
Gestite una specie di microimpresa, quindi?
Sì, e dobbiamo sempre pensare anche un po’ all’aspetto commerciale. Ovviamente, le decisioni dovrebbero essere prese principalmente per scopi musicali e artistici, almeno se vuoi creare qualcosa di originale, di potente. Ci sono così tante piccole decisioni da prendere che è davvero difficile redarre un decalogo o un manuale. Non ci sono regole: si deve sempre tenere d’occhio la musica e gli affari contemporaneamente.
La sensazione è che la scena sia spesso inondata dalle mode.
Dagli anni ’60 a oggi, c’è sempre stata molta competizione tra le band e con Internet l’offerta si è allargata. Per distinguersi nella scena dell’intrattenimento quello che devi fare è essere personale, unico e riconoscibile. E questo richiede molto tempo, ci vuole ricerca interiore e devi trovare il tuo posto in questo esteso business. Devi avere un suono unico. Gli artisti cercano di connettersi a qualcosa di universale, attraverso la propria arte. Attraverso messaggi molto personali si ottiene un’universalità.

Se si pensa solo all’arte, alla creazione, non si possono perdere delle opportunità?
Probabile. Non puoi essere sempre connesso alle persone. Devi andare verso il pubblico e devi essere parte del mercato, se vuoi esistere e resistere. Se pensi solo al business, ovviamente la musica non sarà eccezionale, sarà priva di contenuti artistici. Da qualche parte, tra questi due diversi poli, devi trovare il tuo mondo. Bisogna fare e aspettare la reazione delle persone. Ogni volta che pubblichiamo qualcosa, anche su qualsiasi social, ci sono almeno una cinquantina di reazioni diverse e non puoi accontentare tutti, quindi devi fidarti di te stesso e fare la musica che ami e che, si spera, si possa connettere con altri.
Quando si ha uno stile ben riconoscibile cambia tutto?
Quando ascolti Giorgio Moroder o gli LCD Soundsystem o qualche compositore classico che ha un modo molto speciale di arrangiare e suonare, li riconosci subito. L’identità sonora è una parte importante dell’essere un artista. Scrivere e produrre musica, sviluppare il proprio set di suoni e poi attenersi ad essi è decisivo. Molti dei grandi album che noi amiamo provengono da decadi caratterizzate da precisi strumenti musicali, che poi hanno generato e sviluppato un suono. Oggi con i computer puoi accedere a qualsiasi tipo di suono e perderti nelle possibilità. Quindi, è importante scegliere alcuni suoni e poi attenersi a loro per creare una precisa e propria identità.
I dettagli sono davvero tutto, nella produzione?
Sì, e se li controlli attentamente migliorerai sicuramente la qualità delle tue produzioni. Questo accade anche nei visual durante gli spettacoli dal vivo. Noi siamo alla ricerca della perfezione. Diciamo che il corpo principale di una canzone può svilupparsi e definirsi molto velocemente, in un giorno puoi avere un’idea di come sarà, ma poi devi finirla, anzi, rifinirla, e far quadrare le cose tra mix e arrangiamenti, tutto insieme, può significare un infinito lavoro. Se la tua canzone verrà ascoltata da milioni di persone, varrà sicuramente la pena curare ogni piccolo dettaglio.
25.08.2021