Foto di Simone Russo
Il nome “Pukkelpop” mi è sempre rimbalzato in testa negli ultimi anni, come grosso raduno musicale pieno di stelle della scena attuale, chissà dove in nord Europa e con chissà che atmosfera al suo interno. È solo una sera di un paio di mesi fa, mentre me ne stavo in terrazza col macbook sulle ginocchia, che ho veramente approfondito la questione, scoprendo uno storico festival olandese che dal 1985 ad oggi ha ospitato la maggior parte delle grandi stelle della storia della musica moderna: Nirvana, Red Hot Chili Peppers, Metallica, Daft Punk, The Prodigy, Eminem e Ramones sono solo alcuni degli headliner che sono ospitati in quel di Kewit, un piccolissimo paese del Belgio a due passi dal confine con l’Olanda e ad un’ora di treno da Bruxelles. Sì ma cosa c’entra tutto questo con la musica elettronica? Beh, quella sera, mentre appunto me ne stavo in terrazza a bere una birra col macbook sulle ginocchia, ho deciso di dare un’occhiata al programma, e dopo averlo fatto non ho avuto dubbi che Pukkelpop 2017 sarebbe dovuto essere nella mia to do list estiva. Questo il programma della line up.
Dal live “CLOSE” di Richie Hawtin a quelli di Boys Noize e Floating Points, passando per Flume (che ha chiuso il festival l’ultimo giorno), Marshmello, Oliver Heldens, Cashmere Cat, What So Not, Robert Hood e davvero tanti altri. La musica elettronica sembrava rappresentata magnificamente a Pukkelpop 2017, per questo non ho potuto resistere da prendere parte al gioco. Ecco cosa ho visto.
Con ancora nitido il ricordo del caldo afoso di Tomorrowland, ho deciso di vestirmi leggero per l’occasione e mai scelta fu più errata. Un vento freddo ha accompagnato tutti e tre i giorni del festival, dal 17 al 19 agosto, a intervalli di piogge e cielo coperto.
L’evento è organizzato in otto stage, di cui quattro grandi principali (Main Stage, Marquee, Dance Hall, Boiler Room) e quattro secondari (Club, Castello, Lift, Booth). A esclusione del Main Stage e del Booth, sono tutti al chiuso; lezione imparata dopo il disastro del 2011, quando una tempesta ha spazzato via due palchi interi travolgendo una serie di persone e di fatto annullando l’edizione del festival. Come nel caso di Tomorrowland, tutto il Belgio è in fibrillazione per il Pukkelpop, e la magia si respira fin dalla stazione della vicina Hasselt – quella da cui si prendono le navette per Kewit, per intenderci – dove orde di ragazzi con zaini in spalla e bandiere a tracolla riempiono di sorrisi la zona pullman. I trasporti non sono facili da gestire, i tempi di attesa in molti casi sono lunghi perchè non è facile gestire così tante persone senza intoppi. L’organizzazione di Pukkelpop dal canto suo ne è però uscita pulitissima, organizzando servizi extra notturni dei mezzi pubblici (questa cosa in Italia sarebbe una follia) e garantendo biglietti di viaggio gratis per qualsiasi meta per chiunque possedesse il ticket del festival (questa poi figuriamoci).
L’evento è pieno di volontari. Le prime tre persone a caso con cui ho parlato in giro mi hanno detto che ci avrebbero lavorato, altre mi hanno detto che ci hanno lavorato in passato e che tantissimi ragazzi della regione amano farlo. Qui tutti percepiscono la causa e indossare un catarifrangente rappresenta il piacere di prendere parte a qualcosa di enorme e bellissimo per sé e per il proprio paese. Dopodiché il Pukkelpop è tutto da esplorare ed assaporare. Nel vero senso della parola, dal momento che stand di cibi tipici di ogni angolo del mondo pullulano la kermesse. Ci sono anche piccoli spazi a tema, aree relax, attrazioni colorate e cocktail bar; l’esperienza è ovviamente studiata a 360 gradi e per tutta la famiglia. Come tutti i migliori raduni di questo tipo, Pukkelpop non offre solo una line up mastodontica: l’obiettivo è arricchire i presenti con esperienze del tutto nuove, come il tunnel musicale 3D o un bar segreto non indicato in mappa dove si possono assaggiare drink buonissimi. Ma veniamo alla musica.

Il mio day one inizia con il live di Vince Staples. Quello che vi ho più volte segnalato come uno degli astri più luminosi della scena rap attuale si è esibito in un live di fuoco sul palco del Dance Hall, a cui ho fatto seguire il live di Robert Hood, che nel frattempo infiammava il Boiler Room. A proposito di Boiler Room, qui il fraintendimento è facile: non si tratta del celebre showcase itinerante, ma dello storico nome di questo palco. Eroe della giornata è Mura Masa: il giovanissimo britannico, che ricorderete per ‘Firefly’, ‘Lotus Eater’ o ‘Love$ick’ (con A$ap Rocky), si è esibito in un live show davvero da urlo, mescolando le sue produzioni pop più celebri alle nuove collaborazioni dell’ultimo recentissimo album (tra cui ‘Around The World’ con Desiigner), condendo poi il tutto con qualche stacco di trap sperimentale alla Mr Carmack. Nel frattempo, a Robert Hood sono seguiti Ben Klock e Maceo Plex a fare gli onori della grande techno. A pari punti con Mura Masa è stato il live dei Moderat. La band di Apparat e Modeselektor – fresca dell’annuncio di una lunga pausa a fine tour – ha distribuito i capolavori di ‘I’, ‘II’ e ‘III’ nell’arco di un’ora e mezza, non risparmiandosi con le tracce meno conosciute – con le quali il grosso impianto del Marquee stage è andato a nozze – e facendo cantare tutti a squarciagola nei momenti di ‘Bad Kingdom’, ‘Running’, ‘Ghostmother’ e compagnia. Il loro live ogni volta è pura magia. È in questo momento che il cielo esplode e viene giù una vera e propria tempesta, per fortuna durata solo una ventina di minuti al massimo. Nonostante per qualche minuto i ricordi dei presenti fossero tornati al 2011, poi tutto è ripreso alla perfezione. Un meraviglioso arcobaleno completo è comparso nel cielo e la musica è tornata ad essere la protagonista. Con ancora addosso i brividi dei Moderat, sono andato a chiudere il mio primo giorno con The XX sul Main Stage: tra una folla gremita e un Oliver Sim commosso, il loro spettacolo ha alleggerito i cuori di tutti. Come sempre, d’altronde.

Il day two potrei tranquillamente riassumerlo in una sola parola: CLOSE. Il nuovo concept di live di Richie Hawtin, il cui nome è dovuto alla telecamera fissata sulla strumentazione con cui l’artista ha mostrato la propria opera al pubblico, è davvero strabiliante. Tra modulari e drumpad, i subwoofer del Dance Hall stage sono quasi esplosi sotto i colpi di kick del set, e il sottoscritto ne sa qualcosa, visto che ha passato tutta l’ora di esibizione a due passi da questi. Credo di non aver mai sentito il mio corpo vibrare in quel modo. Su Facebook abbiamo postato un breve video di quel che accadeva sotto i miei occhi. Ottime le prove anche di Mr Oizo – certezza interminabile – e What So Not, che quest’ultimo si è fatto decisamente valere davanti a una folla non così gremita. Il vincitore della serata è invece Boys Noize, che sullo stesso stage di Hawtin ha saputo offrire un live di potenza e precisione, rubando la scena a tutti gli stage circostanti. Persino a Nicolas Jaar. Nel frattempo sul Boiler Room c’è stata la sorpresa di Oliver Heldens che, con due ore di set, ha scelto di dedicare la prima metà alle produzioni firmate HI-LO, il suo alter-ego underground – chiamalo così, dai – e che mi ha lasciato molto bene impressionato. Il secondo giorno si è quindi chiuso con lo show di Parov Stelar, per cui in Belgio stravedono, sul Main Stage e sotto il primo vero scroscio di pioggia del day two.

Se Mura Masa, Moderat, Richie Hawtin e colleghi hanno dato il loro meglio nei primi due giorni, il day three è probabilmente stato quello in cui la musica elettronica ha fatto da padrona assoluta, con i main act dei palchi principali rappresentati soprattutto da dj e producers. Parliamo di Cashmere Cat, Floating Points, Armand Van Helden b2b Jackmaster, Paul Kalkbrenner, Marshmello e Flume. Andiamo per ordine. Il primo in ordine cronologico è Cashmere Cat, che si esibisce in un set molto (mooooolto) sperimentale per quelli che sono gli standard del pubblico belga, che in qualche occasione forse non si è reso conto che Cashmere Cat stava suonando produzioni proprie, tra un brano di SOPHIE e qualche stacco instrumental trap: per esempio ‘Wolves’ di Kanye West, ‘Drop That Kitty’ di Ty Dolla Sign, ‘Wild Love’ di The Weeknd. Quelle che potevano sembrare parentesi commerciali erano in realtà tracce da lui prodotte. Dura la vita del produttore che lavora nell’ombra. Segue il live di Floating Points, sul Castello stage, di cui ho ascoltato solo la prima mezz’ora e che a livello personale non mi ha fatto proprio impazzire: sarà perchè dopo appena quindici minuti si è creato un pasticcio nel beat ed è stato costretto a riprendere con calma. Il pubblico ha però generalmente apprezzato, bisogna dirlo. Alle 21 è il momento dell’attesissimo b2b tra Van Helden e Jackmaster, e qui il Boiler Room si è trasformato in un angolo di Circoloco. Tra house, funky, disco e passaggi tech house, è stata un’ora e mezzo di pura goduria. Qui avete una piccola testimonianza video. Lo scettro del Boiler Room passa così a Paul Kalkbrenner, che si è esibito nel suo nuovo live ‘Back To The Future’ con cui ripropone glorie techno degli anni ’90. Ottima prova per lui, che anche in questa nuova veste riesce a mantenere la sua decisa autorità. Alle 23 tocca a Marshmello e il suo show è forse il primo vero spettacolo EDM dell’edizione 2017. Cannoni CO2, pyro di ultima generazione e tsunami di confetti si rovesciano sulla folla accompagnati dalle produzioni future bass dello statunitense.
Quindi arriviamo alla fine, il live set più atteso di tutto il festival: la chiusura di Flume. L’australiano porta i suoi capolavori sul Main Stage, riempiendo lo stage con i suoi colori infiniti e le sue perfette hit. Ci sarà qualche decina di migliaia di persone e nessuno si astiene dal cantare le varie ‘Never Be Like You’, ‘You & Me’, ‘Say It’ e la freschissima ‘Yeah Right’ con Vince Staples, Kendrick Lamar e SOPHIE. Tutto funziona alla perfezione, l’atmosfera è surreale e lo stesso Flume è evidente non stia nella pelle.

Le considerazioni a caldo sono più o meno le stesse che abbiamo fatto in occasione dell’Untold. È davvero affascinante assistere ad uno spirito di appartenenza così esteso intorno ad un evento musicale di questo tipo. Un’intera città si adopera per garantire una corretta efficienza, dagli autisti degli autobus (che ne hanno avuto di lavoro da fare!) agli operatori delle stazioni dei treni, dai volontari al complesso servizio di sicurezza. Pukkelpop qui è una certezza, una manifestazione che prosegue da più di trent’anni, ma non sarebbe mai diventata tale senza il supporto delle istituzioni e della popolazione, che non è mancato fin dal primo giorno di vita di questo evento e che ne garantisce oggi un andamento così positivo, tra enormi sponsor e sold out a ripetizione. Come sempre, bisognerebbe prendere nota.
21.08.2017