• GIOVEDì 05 OTTOBRE 2023
Interviste

Purple Disco Machine: “in Europa è tornata la libertà, spero presto anche in Italia!”

Purple Disco Machine non ha sbagliato un colpo negli ultimi anni ma il suo mondo si è capovolto. A distanza di un anno dalla nostra ultima intervista, è tornato in console e il suo secondo album sta finalmente per uscire. Dopo lo shock della pandemia è l'inizio di una nuova era? Forse sì, ma non c'è nulla da temere

“Immagina di lavorare in studio tutto quel tempo a un pezzo, averlo promosso in tutto il mondo, averlo ascoltato praticamente ovunque nelle radio e poi due anni dopo per la prima volta lo suoni in un dj set. Ti rendi conto dell’ironia?”

 

Esattamente un anno fa Purple Disco Machine ci parlava del suo nuovo album in arrivo e della dura vita di chi si accontenta di un dj set in streaming sognando di rivedere una console in 3D. A metà settembre 2021 manca (stavolta davvero) poco suo al secondo album ‘Exotica‘ e il mondo si è capovolto. Di nuovo. Lo stop forzato ha cambiato la vita di tutti quanti e soprattutto dei dj producer di successo abituati a stare in giro tutta la settimana con deadline serratissime per produrre musica. Tempo di adattarsi alle lunghe sessioni in studio e ai lavori a distanza e si torna di nuovo sul palco, dopo quasi due anni di silenzio. Purple Disco Machine è uno dei maggiori hitmaker dance degli ultimi tempi e se riusciva a sferrare colpi ben piazzati in periodo di tour, nel biennio 2020-2021 ci ha dimostrato che la pandemia, l’assenza del “crowd test” e tutte le bad vibes annesse non riescono a scalfire un artista con una visione. Anche se il suo lavoro è cambiato. Suonare per la prima volta una propria canzone quando ha già 8 dischi di platino nel mondo e ne hai parlato in una cinquantina di interviste deve fare il suo effetto, così come proporre un dj set di pezzi “nuovi” ma che per chi li suona sono passati di moda da lungo tempo. È un paradosso temporale. Mi ha parlato di questo, oltre al lavoro dietro agli ultimi due singoli ‘Fireworks’ e ‘Dopamine’, ai Daft Punk e a un altro paradosso: quello dell’Italia con le discoteche chiuse e gli stadi pieni. 

Esattamente un anno fa parlavamo di ‘Exotica’. Il tuo secondo album era quasi finito e ci aspettavamo sarebbe uscito di lì a breve. Un anno dopo ci siamo. Ti sei preso tutto il tempo necessario?

Sì ma in senso positivo. ‘Exotica’ sarebbe dovuto essere pronto per l’inizio del 2020, poi ho realizzato di avere bisogno di molto più tempo. A quel punto c’è stata la pandemia e ho potuto investire il mio tempo nell’affinare i suoni, cercarne di nuovi, contattare altri musicisti. Poi solitamente lavoro da solo, ma con il diluirsi dei tempi dovuto alla pandemia ne ho approfittato per trovare nuovi collaboratori come chitarristi, voci nuove, batteristi, membri dei Jamiroquai. Questo tipo di processo lavorativo per me è del tutto nuovo e ha richiesto diverso tempo. 

È vero che il secondo album è il più difficile di tutti? 

Nel mio caso no! Sicuramente il primo album non aveva aspettative e mi ha permesso di lavorarci senza pressione perchè non avevo tutti i riflettori che ho addosso in questo periodo, però la mia mentalità è sempre rimasta la stessa: lavorare ad ogni singolo facendo soltanto ciò che mi piace e non scendendo a compromessi. In quest’ottica mi sono trovato ad un certo punto con 10-11 singoli da parte e mi sono detto “ok, posso radunarli e farne un album”. Non ci sono stati altri ragionamenti che hanno reso più complicato mettere tutto insieme e soprattutto la mia casa discografica non mi ha messo fretta. Questo è stato molto utile.

L’industria musicale di oggi deve fare i conti con la memoria corta e la bassissima soglia d’attenzione del pubblico, frutto anche dei nuovi mezzi di fruizione della musica stessa. In questo contesto, è diventato un lusso poter lavorare senza la pressione del tempo o dei contratti?

Assolutamente sì, lo è. Per me è andata così, e in verità ha aiutato non avere un tour da organizzare e dedicarmi a vere e proprie jam in studio che mi hanno permesso di operare una selezione sulla musica. Anche questa per me è una grande novità se consideriamo che la maggior parte della musica che ho prodotto nel 2020 e nel 2021 non uscirà nell’album. Ero abituato ad avere due o quattro ore a settimana per lavorare in studio e poi scappare in giro per il mondo e ovviamente la quantità di musica prodotta è ben differente. 


  
Non tutti i pezzi dell’album però sono nuovi di zecca, ad esempio so che ‘Fireworks’ fosse in cantiere da anni.

Da più di sei anni! Era una strumentale che avevo da parte da tantissimo tempo e l’avevo anche testata in qualche dj set. Un lavoro incompleto su cui ho potuto mettere le mani con più calma dopo aver provato a includerlo nell’album del 2017. Anche ‘Hypnotized’ ha avuto una storia simile: era nel mio hard disk dal 2018. 

È il caso anche di ‘Dopamine’?

‘Dopamine’ è un caso diverso. Il pezzo è stato concepito interamente durante il lockdown e me ne sono innamorato. Tra l’altro la demo che mi ha mandato Eyelar mi è piaciuta subito, quindi è stato anche veloce. La cosa curiosa è che non ci siamo mai incontrati dal vivo prima del video musicale che abbiamo girato in Montenegro. Può sembrare normale, in tempi moderni, lavorare alla musica attraverso Zoom call e cose del genere, ma un featuring chiuso al 100% a distanza non mi era mai capitato. 

In un’intervista per Radio m2o Afrojack ha parlato della strana sensazione di suonare nei dj set del 2021 e sentire “vecchia” la musica, perchè era pronta nei suoi hard disk da quasi due anni ma per il pubblico è del tutto nuova. Hai avuto la stessa impressione tornando in console? 

Lo capisco. Molta della musica che produco nasce appositamente per i dj set, il caso più lampante per me è ‘Body Funk’. Il fatto è che non andando in tour non ho avuto occasione di fare il “crowd test” dei miei brani e invece ero abituato a testare una decina di volte, con folle di diverso tipo, ogni singolo pezzo destinato alla release. Il processo inverso è molto strano, ma anche bello. La prima volta che ho suonato ‘Hypnotized’ per una folla era già una hit internazionale e mi ha fatto piacere poter vedere con i miei occhi i sorrisi nei volti della gente, che già la cantava a memoria. ‘Dopamine’ invece l’ho provata giusto un paio di volte e non so ancora interpretare la reazione della folla sul dancefloor. 

Descrivimi il first play di ‘Hypnotized’. Deve essere stato bellissimo!

Da pelle d’oca. Ecco, quella cosa che ha detto Afrojack qui calza perfettamente. Ho suonato ‘Hypnotized’ nonostante fossi già oltre la soglia di tolleranza del pezzo, che tra studio, radio e altri contesti in cui ne ho parlato puoi immaginare quante volte abbia ascoltato negli ultimi due anni. MILIONI di volte. Eppure non l’avevo mai suonata. Immagina di lavorare in studio tutto quel tempo a un pezzo, averlo promosso in tutto il mondo, averlo ascoltato praticamente ovunque nelle radio e poi due anni dopo per la prima volta lo suoni in un dj set. Ti rendi conto dell’ironia? È stata come una liberazione, dopo tutto questo tempo a parlare della mia musica senza poterla suonare. Sono un musicista e fosse per me non direi una sola parola su quel che faccio, perchè tutto ciò che conta per me è la musica. 

E il pubblico lo hai percepito diverso rispetto a come lo hai lasciato prima della pandemia? 

È una bella domanda, molto difficile. Non so ancora dirti se ci siano particolari differenze, ma d’istinto ti direi che quelle che posso notare siano tutte positive. Sicuramente dopo i vari festival virtuali, eventi in streaming e cose del genere la gente era stufa di ascoltare i propri dj preferiti dietro uno schermo. La voglia di tornare tutti insieme e condividere la gioia di riabbracciarsi in pista non sarebbe mai stata appiattita dalla dimensione “virtuale”. Non parlo solo degli appassionati ma anche di chi non fosse molto abituato e dopo qualche mese ha sentito la mancanza della dimensione reale della musica elettronica, ovvero fisicamente davanti al dj. Ad esempio, anche il tifoso che guarda il calcio prevalentemente in TV ad un certo punto ha sentito la mancanza dello stadio, anche se non era abituato ad andarci ogni weekend. È tutta un’altra cosa e questo era il momento giusto per provare a tornare alla normalità ed è ciò che stiamo facendo.


  
Forse è anche il momento per riaccendere quello spirito di riscoperta del clubbing e dei suoi valori, che apprezziamo adesso più che mai?

La riscoperta parte dalla vita di tutti i giorni che davamo per scontata. Vale sia per il ritorno nei club che per tutto il resto, come andare al ristorante. Ci siamo adattati al food delivery o a cucinare sempre a casa e quindi adesso è bellissimo poter andare di nuovo a cena fuori. È la mancanza di tutto questo che ci ha fatto riscoprire il suo valore. La possibilità di poter andare alle nostre serate in discoteca preferite ogni settimana forse aveva fatto dimenticare quanto fosse bello godere di questa libertà. Abbiamo riscoperto la libertà e questo secondo me è il valore più importante.

Sono costretto a dire che questa libertà l’avete riscoperta voi. A Berlino come a Londra o a Parigi, ma in Italia siamo ancora a un punto fermo. Uno degli elementi cruciali che ci mancano è una voce che rappresenti validamente tutto il settore e acceleri il dialogo con le istituzioni. A Berlino avete la Club Commission. 

È un peccato e mi dispiace, mi sembra evidente che vi manchi coalizione nella scena, elemento che invece contraddistingue la Germania. Onestamente non le capisco proprio le vostre regole: sabato scorso ho suonato a un festival in Francia davanti a migliaia di persone, poi sono venuto a Roma e l’unico dj set consentito era un evento privato con una manciata di persone. Eppure in Francia i contagi sono molto più alti rispetto all’Italia! Spero questa situazione triste finisca presto anche per voi. 

E io spero queste parole portino fortuna. L’anno scorso abbiamo parlato dei Daft Punk e speravamo in un ritorno al più presto, invece qualche mese dopo hanno annunciato la fine del progetto. Ci siamo portati sfiga, Tino. Anche se David Guetta ha detto che secondo lui torneranno. 

Che dire, immagino e spero che Guetta da parigino ne sappia più di noi! (ride) A questo punto dobbiamo essere felici di aver goduto della loro musica, anche perchè di ascoltarli dal vivo non se ne parlava ormai dal 2007. Significa che ci siamo trovati al posto giusto nel momento giusto per avere la fortuna di assistere ad una carriera leggendaria come la loro. 

Nel frattempo possiamo dire che tra Covid-19 e ritiro dei Daft Punk si sia chiusa un’era della musica elettronica e stia per iniziare un’altra? 

Secondo me sì. Un ciclo si è chiuso e sono sicuro lì fuori sia pieno di grandi artisti in attesa di spaccare e stabilirne uno nuovo. I Daft Punk si sono contraddistinti per la capacità di non farsi influenzare da niente e nessuno intorno a loro, e per questo sono stati unici. Questa è la mentalità che rende immortale la musica e ti permette di conquistare il cuore di tutti, ma proprio tutti. 

 

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25 anni. Romano. Letteralmente cresciuto nel club. Ama inseguire la musica in giro per l'Europa ed avere a che fare con le menti più curiose del settore. Penna di DJ Mag dal 2013, redattore e social media strategist di m2o dal 2019.

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