La classifica più famosa del mondo
La Top100 Djs di DJ Mag, non ci sono dubbi, è la classifica più chiacchierata, discussa, commentata, famosa e famigerata del mondo del clubbing. I nostri gusti possono rispecchiarsi in questa lista oppure no, possiamo essere d’accordo oppure no, ma la sostanza non cambia. Tutti ne parlano, tutti hanno qualcosa da dire, e soprattutto, è una cartina tornasole piuttosto fedele delle tendenze che governano il mondo della dance e il suo mercato. In questa mia analisi cercherò di mantenere un punto di vista oggettivo, anche se non potrò fare a meno di esporre considerazioni personali e basate, per forza di cose, sulla prospettiva da cui vedo la situazione, quello di un italiano che vive in Italia (seppure ho la fortuna e l’opportunità di viaggiare spesso per il mondo e di imbattermi in festival, club, dj e addetti ai lavori di diversi Paesi).

Gli anni dell’EDM
Negli ultimi anni i dj che occupano le posizioni alte della classifica sono quasi tutti protagonisti dei grandi festival planetari, e perlopiù riconducibili all’area EDM/electro-house che, da circa cinque anni a questa parte, rappresenta il mainstream nella dance, debordando addirittura nelle radio e nella sfera pop: David Guetta, Avicii, Skrillex, Martin Garrix, Calvin Harris, Alesso, Deadmau5, artisti che qualsiasi discografico definirebbe tranquillamente pop, sono tutti tra i primi 20. Quelli che non si sono contraddistinti per i successi radiofonici devono, in modo ancora più evidente, la loro posizione alla presenza fissa nelle grandi manifestazioni: Dimitri Vegas & Like Mike ne sono l’esempio più fulgido, sono i “resident dj” del Tomorowland e questo li ha portati addirittura al secondo posto, risultato che non avrebbero raggiunto in nessun altro modo.

I tempi cambiano
Il clubbing è cambiato moltissimo in un tempo relativamente breve, ne va preso atto. Da quando, nel 2007-2008, il fenomeno electro-house ha rivoluzionato il modo di suonare, da parte di molti dj, e il modo di approcciare il dancefloor, da parte di chi va a ballare, il tavolo è stato rovesciato. Si arrivava dagli anni della minimal, tracce scure e monotone di dieci minuti, e gente come Justice, Diplo, Crookers, A-Trak, Steve Aoki ha portato in pista suoni che flirtavano con l’hip hop, con il rock, con l’indie, trasformando il dj in un performer e la fruizione in qualcosa di simile ad un concerto. Poi è arrivata la Bomba H: Guetta nel 2009 produce “I gotta feeling” dei Black Eyed Peas, e gli USA si accorgono di amare questo nuovo concetto di dance, si appropriano del mercato e mettono in piedi i vari Electric Daisy Carnival, Ultra Music Festival, il fenomeno Las Vegas. I dj sono rockstar, e chi sa produrre hit mondiali regna. Da sottolineare come, tra i nomi che hanno dato il via alla rivoluzione, solo Steve Aoki è riuscito a imporsi nel tempo, nonostante non sia certo il più talentuoso, tecnicamente parlando. Ma il suo concetto di show risponde benissimo alle esigenze di un’ampia fascia di pubblico. Diplo, probabilmente il producer più importante del pianeta in questo momento (insieme a Calvin Harris), non ha quel tipo di visibilità, e resta confinato in zone più basse della Top100.

Olanda e nord Europa
Altri protagonisti della parte alta della classifica sono i veterani Tiesto, Armin Van Buuren, e c’è un’altissima concentrazione di artisti olandesi e nordeuropei in tutta la lista (Hardwell, Nicky Romero, Blasterjaxx, Showtek, W & W, Dyro, Dannic, Re3hab). Perché? Nei suoi primi sei/sette anni, questa classifica era dominata dagli inglesi, i vari Sasha, Digweed, Oakenfold. I fattori determinanti erano una percentuale di votanti in larga parte britannici, dato che DJ Mag è nato in UK, e all’epoca non c’erano tante edizioni nazionali come oggi; inoltre, internet non giocava un ruolo determinante, molto era dato dall’esperienza vissuta nei locali e dal passaparola; infine, il club-business inglese era di fatto il più importante, sviluppato e potente del mondo. Olandesi e svedesi, però, sono riusciti a costruire un business florido, il mercato discografico e i management di quei Paesi sono senza dubbio i più influenti, oggi, e i più abili nel mettere in campo campagne mediatiche e pubblicitarie senza paragoni. Oltre dieci anni fa, Tiesto e Armin Van Buuren sono stati i primi dj al mondo ad avere l’intuizione di portare i loro show nei palazzetti, nelle arene e a creare format come “A State Of Trance”, broadcasting distribuito in tutto il mondo. Mosse astute, che hanno fatto la differenza sul lungo termine. Tiesto, Van Buuren e Paul Van Dyk erano la trinità trance dei primi anni 2000, ma il terzo è in forte ribasso, proprio perché non ha saputo imporre questo tipo di self-branding. Tiesto è invece riuscito in innumerevoli salti mortali, svestendo le proprie radici trance in favore della nuova ondata EDM. Avicii e Swedish House Mafia sono altri esempi di come un manager abile e intelligente sia uno strumento prezioso per il decollo di una luminosa carriera.

Scollamento
Con le premesse fatte qui sopra, possiamo affrontare in modo consapevole la critica che viene mossa più spesso alla classifica: “non rispecchia la realtà”. Bene, metto per iscritto una cosa: è vero. Almeno, è vero che la Top100 non rispecchia la realtà del clubbing nella sua totalità; rispecchia invece “una” realtà, ed è quella degli appassionati che decidono di votare, perché fan, perché curiosi, perché amanti di questo tipo di iniziative. Lamentarsi perché molti dj importantissimi sono fuori dalla classifica significa non tener conto del fatto che non esiste una “giuria di qualità” (termine infame) a mediare i voti del pubblico. Questa è una classifica popolare, dettata dai gusti delle persone, non esistono voti comprati. Esistono i voti in qualche modo pilotati, certamente, perché come detto prima ci sono artisti che tengono in grande considerazione la Top100 e scatenano campagne pubblicitarie di dodici mesi; altri non ce l’hanno a cuore e non investono nei voti. Ovviamente, dipende dal circuito di riferimento. Se dico “Tomorrowland” – e potrei fare il nome di qualsiasi altro festival -, vi vengono in mente i dj deephouse o quelli EDM? La trance o la techno? Nei grandi festival ci sono diversi stage, e house, techno, bass sono presenti e hanno migliaia di spettatori. Però l’immagine dei festival è sempre e solo associata al circuito EDM. Lo stesso avviene con la Top100, dove ci sono artisti e settori che nel tempo hanno goduto di maggior attenzione da parte di chi vota. Un tempo c’era la house; poi è arrivata la trance; poi un breve momento di gloria minimal; oggi l’EDM e affini. Sappiamo benissimo che ci sono molti super dj, da Seth Troxler a Luciano, da Carl Craig ai Disclosure, da Marco Carola a Marcel Dettmann, che non hanno, o non hanno più, un posto nella classifica. Ma queste assenze sono proprio il frutto dell’atteggiamento di alcuni dj, dei loro manager e del loro pubblico (lo dico senza polemica, naturalmente, è un fatto). Lo scollamento tra la realtà globale del clubbing e i nomi in classifica è dovuto appunto a tanti fattori e dinamiche. Di primaria importanza anche il fatto che, degli oltre 900mila voti giunti alla redazione di DJ Mag, la percentuale più alta arriva dal pubblico americano, e che il Sudamerica sia un’area in grande crescita. Due zone in cui l’EDM gode di enorme popolarità.

E l’Italia?
Come ogni anno, l’Italia se la cava piuttosto male. Le statistiche dicono che il miglior piazzamento di sempre, per un italiano, è una posizione #8 di Mauro Picotto nei primi anni 2000. Quest’anno il dj italiano più in alto è Gabry Ponte, al #61. Poi ci sono Vinai (#62), Zatox (#71) e Merk & Kremont (#94). Onestamente, non credo siano nemmeno i dj italiani più popolari nel mondo: Benny Benassi, The Bloody Beetroots (ok, un po’ live act un po’ dj), Marco Carola sono probabilmente più noti. Ma anche qui si tratta di un discorso di voti e di capacità di stare nel gioco. Vinai si stanno dando un profilo internazionale; Zatox appartiene a un circuito che spesso notiamo poco, quello hardcore e ditorni, ma la cui fan-base è molto agguerrita e fedele (infatti è in classifica da quattro anni di fila); Ponte ha giocato bene le proprie carte, facendo una grossa campagna di promozione nel proprio circuito di appartenenza (molto più esteso di quanto spesso si possa pensare); Merk & Kremont sono i veri fenomeni dell’EDM italiana, bravi dj, produttori e capaci di gestire in modo serio comunicazione e immagine.
Il problema della stragrande maggioranza dei dj italiani è la mancanza di volontà nel voler creare una squadra capace di puntare al top e sbaragliare il campo, come succede invece in Paesi come l’Olanda. A molti di sicuro non interessa stare in questa classifica, ma esserci significa più contratti, più visibilità, più soldi, possibilità di allargare il proprio giro. Considerando quanto è importante e sviluppata la scena dance italiana, mi fa sempre uno strano effetto vedere pochi connazionali nella chart.

In conclusione
L’EDM domina, la trance ha ancora una forte presenza in classifica (Aly & Filo, Armin, Andrew Rayel, Above & Beyond, Cosmic Gate, Markus Schulz). Dubstep e derivati non godono di grandissima considerazione, salvo Skrillex, Borgore e pochissimi altri; al contrario esiste un bel pacchetto di artisti legati ai suoni hardstyle (Angerfist, Noisecontrollers, Zatox). Suoni come la trap, che sta dominando il mondo, non hanno pressoché alcun peso, tolta la presenza di DJ Snake nelle parti basse. Pochissimi i dj che propongono suoni più sperimentali e meno canonici, tendenza che si accentua di anno in anno.
Leggo una classifica con diverse contraddizioni: tanti artisti giovani e molte ascese o discese rapide, ma poca considerazione per chi sperimenta; un certo conservatorismo verso generi già affermati e verso suoni piuttosto duri e potenti, e scarsa presenza dei classici come house e o techno (qui rappresentata al meglio dall’eterno Carl Cox, una leggenda vivente); da notare i Daft Punk, che non suonano in giro da secoli (specie come dj) ma sono sempre in classifica (anche per loro la parola è “leggenda”).
Questo è quanto, ora possiamo continuare a discutere sulla bontà e sull’attendibilità della Top100. E dire che non rispecchia la realtà. Eppure, per quanto poco credibile, resta la classifica popolare più attendibile al mondo. Altrimenti, ci sono tante alternative, più rassicuranti, meno controverse e, permettetemi, altrettanto discutibili e più pretenziose.
Personalmente, molti dei dj di questa lista non mi piacciono, non rispecchiano i miei gusti (a partire proprio dai primi cinque!). Ma mi piace vedere le preferenze di molti fan, anche perché parecchi tra i dj più famosi al mondo non lo sono molto nel nostro Paese, e questo ci fa capire quante differenze ancora esistono in un pianeta che troppo spesso consideriamo globalizzato a tutti gli effetti, e dove invece abitudini e tradizioni hanno sempre un enorme peso nella costruzione di gusti e costumi.
20.10.2014