• SABATO 23 SETTEMBRE 2023
Interviste

Ai rave non si deve mai chiedere permesso

Il nuovo libro di Pablito El Drito, che idealmente completa una trilogia. Sottotitolo? Ventun variazioni sul tema del rave

DJ Mag Italia da sempre è attento nel raccontare l’età dell’oro dei rave, con particolare attenzione alle iniziative editoriali come il recente ‘Il Rave Perduto’ o la graphic novel ‘Cassa Dritta’, piuttosto che documentari quali ‘Better Days’. Non potevamo pertanto lasciarci sfuggire l’opportunità di una bella chiacchierata con Pablo Pistolesi aka Pablito El Drito, attivista, storico delle controculture e dj, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro ‘Senza Chiedere Permesso’ (Agenzia X), che segue altri ormai storici volumi dell’autore come ‘Once Were Ravers’ (2017), ‘Rave In Italy’ (2018), ‘Diversamente Pusher’ (2019) e ‘Dalla Parte Del Torto’ con Dome La Muerte (2020). Un autore sempre fortemente, orgogliosamente underground che oggi torna a parlare di un fenomeno del quale è tra i maggiori esperti nel nostro Paese.

 

Che cosa ti ha spinto a scrivere un nuovo libro?
I miei primi due libri ‘Once Were Ravers’ e ‘Rave in Italy’, altrettanti successi editoriali, mi hanno riportato in contatto con la comunità dei raver. Vecchi e nuovi amici mi hanno inviato volantini e raccontato le loro storie durante le decine di presentazioni degli ultimi anni e mi hanno spinto a completare il mio lavoro di storicizzazione.

Come si differenzia dalle narrazioni precedenti?
Nei primi due libri mancava una visione di insieme relativa alla decade 1993-2003, una chiave interpretativa del fenomeno dei rave illegali della scena pioneristica. ‘Rave in Italy’ è uscito nel 2018 ed è un libro di storia orale, che racconta 32 microstorie di personaggi legati alla scena, non cerca un minimo comun denominatore tra le storie, anzi valorizza le differenze di percorso dei vari protagonisti. ‘Senza chiedere permesso’ è una raccolta cronologica di flyer e racconta la scena italiana tramite l’evoluzione delle grafiche; contiene una anche una parte di analisi che il mio amico Marco Liberatore del Gruppo Ippolita ha definito ‘21 variazioni sul tema del rave’.

Negli anni novanta i flyer dei rave erano quasi – anzi togliamo il quasi – oggetti da collezione.
Erano più che altro oggetti funzionali. Se non si aveva il flyer non si sapeva dove fosse il meeting point e/o non se si aveva l’infoline e al rave non ci arrivava; internet e cellulari erano poco diffusi. I flyer sono diventati oggetti da collezione ora. Il vero casino, a livello di ricerca, è stato metterli in ordine cronologico: in questo mi hanno aiutato amici da tutta Italia.

Come si contrapponeva la scena romana rispetto a quella milanese o comunque del Nord Italia?
Fino al 2000 la scena romana e quella del Nord Italia di fatto si sono ignorate. Soltanto nella Pasqua del 2000 Acid Drops, crew di Torino, e Kernel Panik, tekno tribe di Roma, organizzarono la prima festa che mise insieme le due scene autoctone più importanti, che fino ad allora si guardavano da lontano, ma non collaboravano. In compenso già del 1998-99 esistevano feste che riunivano crew che si muovevano nell’asse padano Torino-Milano-Bologna, come Olstad e Tekno Mobil Squad.

Quale delle due scene era migliore?
A Roma era coinvolta più gente e da più tempo. Nel 1994 nella Capitale gli illegali già coinvolgevano migliaia di persone. Roma è stata uno dei poli di produzione di musica techno più importanti del mondo, sviluppando un proprio suono, il cosiddetto Suono di Roma. Torino aveva altre caratteristiche: location più centrali, attenzione alle scenografie, musica dura e molto valida. Milano aveva una scena frammentata, ma molto sotterranea e politicizzata. Bologna una grandissima apertura ai nuovi linguaggi grazie alla presenza di una marea di giovani e al DAMS: sembrava il paese dei balocchi.


Perché tutto finì, ammesso sia finito?
I rave non sono affatto finiti. I rave sono in una fase di stallo, ma non penso che basti una legge per distruggere una cultura trentennale. Ce ne sono appena stati e altri ce ne saranno, ma sono più nascosti perché nessuno dei dj o organizzatori vuole rischiare da 2 a 6 anni di galera. La legge del governo Meloni, oltre ad essere un obbrobrio giuridico, punisce i raver come fossero mafiosi o brigatisti. È una barzelletta che non fa ridere. Ma l’idea di fare feste senza chiedere permesso non morirà mai, ne sono sicuro. Il fatto è che qualcuno pagherà un conto salato soltanto per il fatto da avere fatto ballare delle persone, il che è assurdo.

Esiste anche in ambito rave l’effetto nostalgia?
Esistono gruppi, come i Kernel Panik di Roma che sono attivi da 25 anni e che da allora continuano a organizzare feste. Ne esistono altri che si sono sciolti, per poi riformarsi recentemente, spesso con persone che nella crew originale non c’erano. Non so se questo dipenda dalla nostalgia o da altri fattori. Forse anche soltanto dalla voglia di stare insieme e fare quello che ci è sempre piaciuto fare: musica. Personalmente non frequento più la scena da 18 o 19 anni, per quello mi limito a parlare del decennio in cui ne ho fatto parte. Cerco di tenere vivo lo spirito rave organizzando serate accessibili in termini di prezzi (5 euro per entrare) ed in condizioni in cui le persone abbiano la libertà di esprimersi liberamente. Mixo vinili ancora soprattutto anni novanta e uso tecnologie spesso considerate obsolete, perché mi ci trovo bene! Non si può vivere nel passato, il rischio è quello di mitizzare un’età dell’oro che tanto non può tornare. E poi si fa proprio la figura dei vecchi, diciamocelo.

 

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Dal 1996 segue, racconta e divulga eventi dance e djset in ogni angolo del globo terracqueo: da Hong Kong a San Paolo, da Miami ad Ibiza, per lui non esistono consolle che abbiano segreti. Sempre teso a capire quale sia la magia che rende i deejays ed il clubbing la nuova frontiera del divertimento musicale, si dichiara in missione costante in nome e per conto della dance; dà forfeit soltanto se si materializzano altri notti magiche, quelle della Juventus.

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