Pochi giorni fa, il 27 novembre, sono uscite due nuove tracce firmate da uno dei più importanti, influenti, stimati producer della scena techno di tutti i tempi. Richie Hawtin. La notizia ha creato immediatamente un buzz molto vivace, per varie ragioni. La prima è che Hawtin, sebbene sia onnipresente con i suoi progetti, con le sue serate, con le sue collaborazioni – e andiamo dalla progettazione di macchine per fare musica a un marchio di saké, non soltanto dei vari brand che porta in giro per il mondo in consolle o sul palco come live act – non è un produttore molto prolifico. Anzi, dopo gli anni ’90, in cui con i suoi vari pseudonimi ha davvero regalato al mondo tonnellate di musica, si è arenato, producendo mediamente poco e facendo quindi in modo che ogni sua uscita avesse molto peso. Perciò, sapere che ci sono due tracce nuove firmate Hawtin (e proprio Richie Hawtin, non Plastikman, non F.U.S.E. e altro) è già una notizia in sé. Poi, è interessante notare che si tratta di due brani molto lunghi, senza cut o edit da streaming: ‘Time Warps’ dura 18 minuti e 38 secondi, ‘Time Stands Still’ 16’38”. Non proprio due passeggiate. Sono due “viaggioni” techno, duri e puri, con suoni e riferimenti palesemente anni ’90, che si inseriscono in uno dei filoni techno principali degli ultimi anni, ma che allo stesso tempo, proprio per la loro durata, prendono una direzione molto personale e molto libera.
Infine, non si può prescindere dal sottolineare come questi due pezzi siano esplicitamente da club, da dancefloor, picchiano duro e sarebbero perfetti per il peak time di qualsiasi serata di genere. E anche qui, però, allo stesso tempo, la loro durata ce li pone anche come due tracce riflessive e “da meditazione”.
A pensarci bene, finora abbiamo descritto tutte delle caratteristiche, e delle circostanze, che raccontano l’anno disgraziato che stiamo vivendo. I club sono chiusi, i festival non ci sono. I producer non trovano grande ispirazione senza lo scambio di energia che ogni weekend avviene con chi sta sotto la consolle a ballare. E la tanto sospirata “pausa di riflessione” non ha ispirato più di tanto i produttori a comporre musica diversa, lontana dalle dinamiche consolidate dei brani funzionali al club. Eppure, Hawtin è riuscito a fare l’una e l’altra cosa: a farci sentire la nostalgia del dancefloor e a regalarci musica che va molto al di là dell’utilizzo da dj set. Due viaggi introspettivi nel contenuto eppure micidiali nella loro forma di bordate techno. E allora, che cos’è il genio? È riuscire a trovare la musica giusta al momento giusto. Sembra facile. Per farlo, però, bisogna essere dei geni. Bisogna essere Richie Hawtin.
30.11.2020