Laidback Luke non ha bisogno di presentazioni. La sua carriera è lunga e ricca di successi, la sua reputazione solida e credibile da tempo. Spesso nella DJ Mag Top 100 DJs, sempre in giro per il mondo a suonare, Luke è tra gli inventori di quella che viene chiamata Dutch house, prodromo della progressive e della EDM da festival. Nello scorso decennio fu tra i protagonisti principali di questo svecchiamento sonoro che ha portato poi la dance ai livelli che conosciamo: grandi palchi, numeri mai visti prima, tantissimo hating e discussioni infinite su ciò che “vero” e ciò che è solo immagine senza sostanza, come sostengono spesso i detrattori di quello che chiamiamo mainstream. Come se Richie Hawtin o Marco Carola, per numeri e fama, non lo siano. Se vogliamo essere pignoli, l’underground ormai sta altrove, e in tempi in cui tutto fiorisce e appassisce in fretta, è difficile focalizzare bene il concetto. Ma il punto è proprio questo, che esiste una distinzione tra ciò che – al netto dei grandi numeri e del prestigio internazionale – è considerato mainstream, e quindi pop, e ciò che invece è sempre e comunque considerato undrground, di nicchia (e che importa se la nicchia fa gli stessi numeri del pop); una distinzione fatta di musica e attitudini differenti: nel primo caso le canzoni, quelle con la strofa, il ritornello, i grandi drop, amatissime da una larga fetta di pubblico, disprezzate dai puristi che le ritengono offensive e banali, spesso con un giudizio superficiale e un po’ ignorante, perchè definire EDM tutto quello che passa tra The Chainsmokers e Flume, tra David Guetta e Major Lazer, denota una scarsissima conoscenza della materia. Nel secondo caso, underground è tutto ciò che è – o meglio dovrebbe – essere lo stato dell’arte della novità, e se in tanti casi questo è vero, in parecchi altri non lo è. E se da un lato l’attitudine vuole una sovraesposizione all’euforia, alla voglia di fare festa senza freni, dall’altra l’etichetta è un understatement altrettanto ostentato.
Ma se mi azzardassi a scrivere che molta, troppa techno è tutta uguale, esattamente come lo è molta progressive house (EDM) o molta future bass, sono sicuro che verrei linciato da chi ritiene di essere in possesso di una presunta superiorità intellettuale che deriva dal sentirsi parte dell’underground. Come se vestirsi di nero e andare al Berghain o al Time Warp fosse meno turistico di esibire canotte colorate e fischietti al Pacha o al Tomorrowland. Alla fine, per come ho sempre vissuto io la musica, sono tutte cazzate. Esiste buona techno e buona EDM, ottima house e strepitosa future, pessime fotocopie techno e terribili copycat EDM. Mi sono divertito moltissimo davanti a mainstage esagerati per impianto e scenografia e ho vissuto serate memorabili in club scalcagnati con 50 persone, a sentire cose esperimenti musicali lontani da tutto ciò che si era sentito prima e che mi hanno toccatoil cuore. Poi – ovvio – i gusti sono gusti e le filosofie che accompagnango i diversi generi sono molto distanti tra loro. Ed è bello e giusto così. Le fazioni sono sempre esistite e gli attriti e le diversità sono sani, fanno crescere. A 14 anni mi nutrivo di hardcore e trance, a 17 pensavo di aver scoperto l’essenza della vita con la techno berlinese dell’epoca, a 20 mi innamoravo di nuovo della trance ma anche della house raffinata e del funk, e così via. La musica è bella perchè dà emozione, e il bello delle emozioni è la loro ampia gamma.
Ma in tutto questo che c’entra Laidback Luke?
Lui è il pretesto da cui tutta questa riflessione trae origine: nell’interessantissimo video qui sopra ci racconta con onestà e autoironia di quando, prima di essere un dj e un producer electro di successo, si era costruito una bella carriera nel mondo della techno. Che a un certo punto non gli dava più motivazioni e soddisfazioni, e allora ci spiega cosa gli è successo e come si è guardato dentro e intorno per cambiare rotta. Un documento prezioso che ci insegna molte verità e che ci dà una percezione tangibile di come i giudizi e i pregiudizi siano del tutto inutili, perchè la bella musica è quella che piace a noi, non quella che ci consiglia il profeta della critica o l’artista integralista. Non ce’è musica che vale di più di quella musica che vuoi sentire tu. Questo l’ha già detto qualcun altro in tempi non sospetti, e aveva ragione allora come oggi.
13.12.2016