• DOMENICA 24 SETTEMBRE 2023
Interviste

Rossella Blinded, un’italiana a Los Angeles

(foto di Francesco Colombo) 

Quello di Rossella Blinded è un nome italiano che dovremmo fare un po’ più spesso ma che all’estero si è già guadagnata un’ottima fanbase, che sta sicuramente avendo i suoi frutti anche in Italia. Rossella Blinded è una dj e producer trap/dubstep di origine sarda, trapiantatasi a Los Angeles (anche se fa spesso tappa a Milano) dove è riuscita ad attirare l’attenzione su di te “inseguendo” i contatti che le sarebbero tornati utili in giro per i club e tra le varie mailing list. Self-made producer, Rossella negli ultimi due anni ha condiviso il palco di artisti come Nero, Datsik, Zeds Dead, Netsky e Far Too Laud, grazie ad una serie di gig in giro per LA, il cuore pulsante della scena trap mondiale. Il suo ultimo EP ‘Blind’ è forse il suo cavallo di battaglia più convincente, non solo per essere uscito su All Trap Music, una delle più rispettate label del settore, ma anche per essere stato supportato da realtà quali Spinnin’ Records e UKF. Rossella è anche stata dall’altra parte del microfono, lavorando a Bass Coast, un programma radio tutto suo per Bass Island, in cui ha esplorato le sonorità bass americane approcciandosi a nomi come Flux Pavillion e Borgore. Beatport l’ha recentemente definitiva come “la producer più rappresentativa della scena bass italiana” ed il fatto che sia saputa emergere da una scena ostica – per un newcomer straniero – come quella di Los Angeles non può che suscitarci profonda ammirazione. L’ho raggiunta telefonicamente poco prima della sua data al Magnolia di Milano al fianco di Borgore, qualche giorno prima dell’inizio del suo primo tour asiatico. Ecco che ci siamo detti.

 

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Esce il tuo EP ‘Blind’ sul colosso americano All Trap Music, poco dopo UKF scrive di te e Spinnin’ Records ti inserisce nella sua playlist. che effetto fa? 

Quando ho saputo di UKF è stato incredibile, soprattutto per me che sono cresciuta ascoltando il loro materiale. Rispetto molto anche Spinnin’, ma UKF è il canale che ho sempre portato nel cuore.

 

Parlami del tuo iniziale approdo negli States.

Quando ho iniziato a produrre non ho perso tempo a far girare qualche promo mail e la prima label ad essersi dimostrata interessata era un’indipendente di Los Angeles, All The Hype. Proprio loro mi hanno proposto di raggiungerli per qualche show nella loro zona, in un periodo non troppo caldo e in cui ci sarebbero stati dentro con i costi. Tutto ciò nel 2015. In realtà All The Hype da lì a poco ha chiuso i battenti, ma mi è rimasto il pallino degli Stati Uniti, più che altro per il mio amore per la scena bass americana e per l’assenza di stimoli italiani che ho invece ritrovato ultimamente!

 

La solita vecchia storia, volare all’estero per trovare qualche motivazione in più. La scena italiana è in miglioramento, ma non si può certo dire sia un ambiente ricco di stimoli per i giovani produttori. 

Esibirsi negli USA è un’esperienza unica. Il livello dei resident dj è altissimo, la concorrenza è gigantesca e soprattutto il pubblico è curiosissimo, quindi la libertà d’espressione in console è totale. Non a caso i dj sono veri e propri performer, che si muovono sul palco come pop star e conoscono a memoria i tempi di visual ed effetti speciali. Prova a immaginare il paragone con l’Italia: se in America un dj attira l’attenzione perchè ha suonato qualcosa di assurdo, in Italia rischieresti di non essere più contattato ed etichettato come “dj di nicchia” . Il solito problema del pubblico che vuole sentire solo quello che già conosce.

 

Riprendiamo il discorso: alla fine negli States ci sei arrivata grazie a Bass Island. 

Ricordo che Vivien (direttrice artistica del programma, ndr.) mi aveva inizialmente incaricato di realizzare qualche mix bass con le ultime uscite del genere, per dare un’offerta coerente con quelle che fossero le sonorità bass in circolazione a Los Angeles, ma poi insieme abbiamo deciso di trasformare il programma in una raccolta di interviste dedicate ai maggiori protagonisti della scena. Realizzarle non è stato facile, abbiamo trovato qualche porta chiusa dai press manager, ma nei casi in cui fossero interessati ho avuto occasione di girare molti club in occasione delle varie interviste. Da nomi emergenti come Rickyxsan e Bad Royale a giganti come Flux Pavillion e Borgore, mi sono tolta numerose soddisfazioni, oltre ad approfondire la scena americana attraverso i suoi massimi esponenti.

 

Rossella Blinded_PRESS_DJMAG

 

Poco dopo è stato il tuo turno in console. 

Ho chiuso un contratto con un’agenzia ed è partito un minitour sponsorizzato dalla Red Bull in qualche palazzetto sportivo, in occasione di incontri di calcio o di boxe; tra questi anche il Colosseum di Los Angeles, paragonabile a San Siro a Milano. Grazie a questo tour sono stata notata da alcune agenzie di booking che mi hanno permesso di esibirmi nelle più importanti serate bass house americane. Da lì non mi sono più fermata, attualmente sono sotto management americano e italiano, con quest’ultimo che mi segue maggiormente, dopo il tour asiatico ne è già pronto un altro estivo.

 

In tutte queste date mi dicevi che ti è rimasta un’impressione ottima del pubblico americano. 

Lo adoro, come ti accennavo per la sua curiosità. La gente va a ballare anche per sentire roba fresh e tornare a casa con qualche artista inedito da spulciarsi nelle release. Dopodiché mi piace la sua apertura mentale non solo in termini di offerta musicale ma anche di chi è in console: non importa che tu sia il guest o una dj sconosciuta, l’importante è divertirsi e lasciarsi andare. Il calore che ho sentito ogni volta che mi sono esibita, anche nelle 0ccasioni in cui dovevo svolgere solo ordinaria apertura, non l’ho mai trovato altrove. In discoteca come anche nei social: nessun astio, quando c’è da far complimenti non si risparmiano mai. Adoro anche la loro cura del dettaglio: ogni club ha i cannoni CO2, i confetti e un impianto fortissimo. Anche l’occhio vuole la sua parte, l’intrattenimento è a 360 gradi e anche se le serate costano alla fine sono soldi ben spesi.

 

Sono semplicemente più appassionati, la musica elettronica lì influenza molti settori, dalle radio alla tv. 

Esattamente, negli USA la dubstep e la trap – per esempio – sono ovunque, dai club agli spot di patatine in televisione. Respirano musica elettronica ad un altro livello rispetto al nostro, con produzioni di Flosstradamus e compagnia che hanno una reputazione di mainstream che da noi potrebbe essere paragonata a Fedez o Rovazzi.

 

DJ MAG 2_small

 

Quel che fa la differenza è anche il concetto di “far collettivo”. Quello dei collettivi artistici è un contesto che mi piace molto, ne sai qualcosa? 

Sono d’accordo, in questo gli americani sono unici, perchè crescono nella mentalità della crew. Prendi la OWSLA di Skrillex, ad esempio: non girano mai da soli, ognuno di loro ha almeno quattro o cinque persone al seguito, e quando si esibisce Skrillex si muovono tutti insieme. Nomi grossi, ognuno con una fanbase affermata, che non rinunciano allo stare insieme.

 

Mi viene in mente tutto il nuovo movimento di Marshmello, Ookay, Jauz, Slushii, Getter…

Esatto, ma anche NGHTMRE e Slander. Nomi enormi che si supportano a vicenda anche se ormai sono tutti piuttosto noti. Lo vedi sul palco ma anche nelle produzioni: chissà quanti brani importanti devono aver concepito in momenti di relax in studio tutti insieme.

 

In Europa bisogna menzionare l’Olanda: da Hardwell a Nicky Romero, da Tiësto a Martin Garrix, anche lì ne sanno qualcosa. 

Così come la Baron Family: la loro è una vera e propria famiglia, e non c’è dubbio sia la strategia migliore, oltre che la più divertente, quella di creare legami umani forti oltre al produrre insieme.

 

I giusti contatti in terra straniera giocano però la loro parte fondamentale. Oppure gli USA sono davvero la terra promessa degli aspiranti dj producer? 

Ogni artista ha una sua storia. Quando sono arrivata negli States non conoscevo praticamente nessuno e ho passato settimane intere ad intasare le caselle mail di chiunque potesse apparirmi come utile per la mia causa. Molti mi dicevano che senza contatti avrei solo buttato soldi a perder tempo, ma non ho perso le speranze e mi sono data da fare.

 

Parola d’ordine: sapersi vendere. 

Esatto, ci sono anche tantissimi produttori eccellenti che rimarranno sempre a casa perchè non sono abbastanza insistenti nel perseguire i propri obiettivi con le persone, così come gente un po’ meno talentuosa ma con la giusta motivazione per sapersi inserire nei giri giusti. Detto ciò non voglio illudere nessuno: perdersi è un attimo e di ‘no’ se ne ricevono tantissimi. L’importante è non buttarsi giù e rimanere determinati. Sapessi quanto tempo ho passato chiusa in casa ad esercitarmi mentre le mie amiche facevano altro. E te lo dice una che non si è mai dovuta scoprire un po’ nelle foto per arrivare dove si trova.

 

DJ MAG 3_small

 

A proposito di scoprirsi nelle foto: come mi commenti la scena attuale delle female djs americane?

Negli USA ci sono grossi nomi femminili che adoro: da Alison Wonderland a Mija, ma anche Juicy M e Anna Lunoe. Tuttavia noto che l’ascesa è meno veloce rispetto a quella maschile, non a caso le maggiori esponenti sono quasi tutte sulla trentina. Forse perchè c’è più malizia oppure semplicemente le donne hanno una minore tendenza al nerd.

 

Quanto è importante il team rispetto alla qualità del singolo artista? 

È fondamentale sfruttare l’esperienza di persone che conoscono il campo e si sanno muovere con scioltezza. Soprattutto nel caso di manager e booking agent, senza le giuste persone al mio fianco non avrei mai fatto un tour. Tuttavia nel mio caso sono figure che ho scoperto per conto mio e che non mi sono certo state regalate.

 

Per chiudere. Cos’hai in cantiere?

Sono in arrivo diverse collaborazioni attinenti a trap e dubstep. Per quanto riguarda i singoli è invece in lavorazione una produzione hip hop, in cui mi sentirete cantare. Forse non sapete che ho un passato in una band metal! Stiamo anche organizzando la seconda parte del tour asiatico, un nuovo tour americano e un tour australiano.

 

 

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25 anni. Romano. Letteralmente cresciuto nel club. Ama inseguire la musica in giro per l'Europa ed avere a che fare con le menti più curiose del settore. Penna di DJ Mag dal 2013, redattore e social media strategist di m2o dal 2019.

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