‘Light + Shadow’ è il titolo del nuovo album di Sam Paganini appena uscito sulla sua label JAM, ma il titolo non tragga in inganno. Luce ed ombra si riferiscono soltanto ai momenti delle giornate nelle quali si possono dividere le dodici tracce che compongono il lavoro del producer veneto: metà da ascolto, più adeguate alla luce del sole, e metà da dancefloor e al relativo fuso orario notturno. Un album composto durante l’anno e mezzo di lockdown e che conferma una volta di più la maturità di un artista che è arrivato dove è arrivato con i modi e con i tempi giusti. Sam Paganini è tra i dj italiani che tiene alto l’onore della techno tricolore in tutto il mondo: l’uscita di ‘Light + Shadow’ è un ottimo spunto per un’intervista con DJ Mag Italia, per conoscerlo meglio e soprattutto per ascoltare i suoi suggerimenti – né banali né di circostanza – ai promoter e ai clubber italiani.
Perché un album che si divide così nettamente in due parti?
‘Light + Shadow’ è stato scritto durante la pandemia e il relativo stop forzato senza club e festival, così come il precedente ‘Reflections’ del 2020 era un album riflessivo e d’ascolto. Con questo nuovo progetto diviso a metà ho seguito due direzioni, anche perché mi hanno sempre annoiato i lavori con un solo beat dall’inizio alla fine; mi stimola e mi diverte lavorare su cose del tutto differenti.
Aver composto musica durante il lockdown è stato facile o difficile?
È stato magnifico aver avuto tempo illimitato per lavorare in studio senza interruzioni e distrazioni; da molti anni non ne avevo la possibilità, dato che ero costantemente in tour. L’impossibilità di testare le tracce nelle dancefloor si è rivelata un grande ostacolo, soprattutto quando si è trattato di scegliere l’arrangiamento definitivo: un altro dei motivi della scelta della doppia direzione dell’album.
Come ti immaginavi la ripartenza nei club e nei festival? Ed è poi stata come te la immaginavi?
Per quanto riguarda il pubblico, me l’aspettavo proprio così. Per quanto mi riguarda, tornare in tour è stato strano: dopo 18 mesi a casa con una routine abbastanza regolare, trovarmi di nuovo a fare le 8 del mattino tra aeroporti, camere di hotel e feste ha richiesto qualche settimana di adattamento. Ero persino preoccupato per le prime due/tre date, ma mi sono tornate subito tutta la carica e tutta la spinta che avevo prima della pandemia.
Com’è stato tornare a suonare dopo tutto questo tempo? Tutto come prima o niente come prima?
A parte la seccatura di dover girare con le maledette mascherine tutto il tempo e i disagi che ci portiamo avanti per i protocolli di sicurezza, direi che è tutto come prima. È sempre meraviglioso fare mattino dopo una serata passata con persone diventate amiche nel corso della notte.
Che cosa speri per il futuro del clubbing italiano? Che cosa manca, in che cosa si deve migliorare?
Abbiamo ottimi club e ottimi promoter. Onestamente ammiro molto i promoter italiani: se sono ancora qui dopo questi 18 mesi, significa che la loro passione è intatta. Credo però che si dovrebbero effettuare scelte dei guest più oculate, investire sui dj resident in modo da farli crescere e non essere sempre in ostaggio dal guest internazionale costosissimo per vendere i loro biglietti.
All’estero sembra sempre che gli addetti ai lavori sappiano fare sistema. In Italia?
Noi italiani siamo bravissimi nel considerare l’erba del vicino migliore ma non è sempre così. Certo, alcune realtà organizzative sono a livelli altissimi e super professionali, con una mentalità aperta alle collaborazioni, basandosi sull’unione che fa la forza. Ho anche trovato però molti Paesi in cui la situazione non è diversa dalla nostra, se non peggio; senza dubbio un maggiore dialogo e una maggiore collaborazione tra promoter porterebbero vantaggi a tutto il business, in quanto le loro guerre arrecano vantaggi soltanto a noi artisti. Se i nostri cachet diventano più elevati, più elevato diventa il costo dei biglietti per il pubblico.
Se ti guardi indietro, ai tuoi esordi, che cosa vedi?
Avevo dodici anni quando ottenni il permesso di passare qualche pomeriggio con il dj resident del piccolo ma fighissimo club che si trovava nel seminterrato del ristorante, dove mia mamma lavorava come cameriera. Potevo stare con lui mentre ascoltava i dischi appena comprati per poi proporli la sera: non dimenticherò mai il profumo della moquette intrisa del fumo delle sigaretta; la mia fantasia galoppava, cercando di immaginare che cosa accadesse durante le nottate in quel posto. Tempo due/tre e anni iniziai a fare le mie prime esperienze come dj, le classiche domeniche pomeriggio in un discoteca; con i pochi soldi guadagnati cominciai a costruirmi la mia collezione di vinili per poter diventare un professionista.
Quando hai capito che il djing sarebbe stata la tua vita e il tuo lavoro e quando hai capito che avevi svoltato, che stavi entrando nell’élite dei grandi dj?
Ho suonato per molti anni in tantissime situazioni diverse come local dj, ho avuto i miei alti e bassi come tanti altri, ho suonato in varie rock band come batterista e prodotto diversi dischi fino a quando nel 2008 ho capito che stava finalmente arrivando l’occasione di poter dimostrare ad un pubblico più vasto il mio stile. Quando ho firmato sulla Plus 8 di Richie Hawtin per il mio EP ‘Cobra’, ho capito che tutto quello per cui mi ero impegnato stava cominciando a dare i frutti sperati. Sono molto autocritico ed è facile farsi prendere dallo sconforto quando ti sembra di non essere compreso, l’indifferenza è il peggior nemico per un artista. Aver avuto la fiducia e il riconoscimento di un artista come Richie Hawtin mi ha conferito spinta e sicurezza e soprattutto mi ha dimostrato che quello che avevo da dire forse sarebbe stato capito e ascoltato. Poi sono arrivate Cocoon e Drumcode, da lì non c’è più stato tempo per cose superflue: tutto ha cominciato a girare per il verso giusto con riconoscimenti sempre più grandi anno dopo anno, fino alla totale indipendenza, con l’apertura della mia etichetta JAM.
Se negli anni ’80 e ’90 l’Italia aveva molti dj in grado di farsi onore in tutto il mondo in ambito house, da qualche anno a questa parte questo primato è indiscusso appannaggio della techno. Come mai, secondo te?
In realtà non possiamo dimenticare la scena techno napoletana, che in quegli anni aveva un suono molto interessante, anche se più di nicchia rispetto ai francesi che con il French Touch erano diventati mainstream. La techno negli ultimi 15 anni sta vivendo una nuova giovinezza con il supporto delle nuove generazioni e una diffusione pazzesca: ha saputo coinvolto maggiormente il pubblico femminile ed è nata una nuova generazione di artisti italiani che si è imposta a livello mondiale. Un movimento senza ombra di dubbio magico, che ci ha fatto rispettare in ogni angolo del pianeta. Sono molto orgoglioso di aver dato il mio contributo.
Con gli altri dj e producer italiani in quali rapporti sei? Con chi sei più amico e magari in futuro svilupperai nuove collaborazioni?
Buoni rapporti con tutti, mi fa sempre piacere trovarli nei vari festival in giro per il mondo. Per quanto riguarda le collaborazioni, sono sempre stato un solitario in studio e un poco mi dispiace.
Domanda canonica, per non dire inevitabile: il tuo rapporto con i social?
Complicato. Cerco di essere presente ma odio il pensiero di esserne ostaggio per lavorare: fortunatamente dalla mia parte ho un pizzico di egocentrismo che mi fa pesare meno shooting fotografici e tutto il resto. La triste realtà? Oggi i social sono fondamentali, la musica e i risultati sul campo sono passati in secondo piano. Io ringrazio il cielo di aver avuto la mia chance in un momento in cui la musica contava ancora molto per il successo di un artista, altrimenti credo che oggi sarei spacciato.

Altra domanda “classica”: progetti in divenire?
Il tour dell’album mi porterà in giro fino all’estate 2022, così come nei prossimi due mesi sarò impegnato anche nella preparazione, o meglio nell’aggiornamento del mio live show; avrei dovuto presentarlo a marzo 2020, ma tutto quanto è stato cancellato dalla pandemia. Avevo in programma cinque spettacoli a Parigi, Londra, Madrid, Istanbul e a New York: si sta cercando di recuperare queste date entro il 2022.
Il tuo prossimo obiettivo più grande?
Sono molto felice di tutto quello che ho raggiunto, soprattutto perché ho impiegato molti anni per arrivarci: posso soltanto augurarmi di poter continuare a girare il mondo e far ballare le persone sui migliori dancefloor.
E che cosa auguri ai clubber?
Un messaggio per chi ha amato ballare e oggi per qualche sciocco motivo si ritiene troppo vecchio per passare una notte in discoteca: un’attitudine stranamente italiana. È bellissimo vedere all’estero persone tra i 50 e i 60 anni che ballano nei festival techno!
01.12.2021