Vi apprestate a leggere una di quelle interviste (divisa in due post, questo è il primo) che hanno una genesi rocambolesca e un parto lungo e difficile. Il nuovo disco di Alien Army, collettivo di turntablist di lungo corso e di blasonatissima fama e carriera (nonchè gruppo con uno dei nomi più fighi di sempre), è uscito lo scorso 15 gennaio. Il titolo è “The difference”, la release è su label This Play. Un’intervista a Skizo, leader della dj-band e personaggio assolutamente unico nel panorama del djing e dell’hip hop italiano, era prevista per quel periodo. Poi ci sono stati ritardi, vari impegni reciproci, e una serie di imprevisti che hanno fatto slittare a qualche settimana fa la nostra chiacchierata virtuale. Avevo quasi perso le speranze di leggere le risposte alle mie domande, quando invece oggi apro la mail e me le trovo. Molto bene. Sono contento, soprattutto perchè ho cercato di punzecchiare Skizo rispetto al suo punto di vista sull’hip hop, una cultura che è passata da un approccio molto serioso e “real” negli anni ’90, ad una sorta di business cinico, fatto di personaggi, negli ultimi anni. L’altra sera , un mio amico produttore e musicista ha dato un’ottima definizione, gleila rubo: pare che oggi questi rapper, più che cantanti, siano personaggi del wrestling, ognuno con la sua figurina cucita addosso, le sue peculiarità e i suoi tratti definiti. Sembrano spesso personaggi in 2D, aggiungo io. Skizo, naturalmente, ha un posizione e un approccio molto diverso all’HH; ma le sue opinioni sono anche, in molti casi, divergenti dalle mie, perciò è emerso un bel contraddittorio, onesto, schietto, come poche volte accade davvero, perchè troppo spesso le interviste diventano una sorta di promozione di album, singoli, tour. A me piace andare oltre le solite quattro banalità. Ci provo; a volte ci riesco, a volte forse no. In questo caso sono venute fuori considerazioni interessanti.
Alien Army torna con un nuovo album dopo che il progetto era stato in qualche modo “congelato” per un po’ di tempo: quali sono gli stimoli che ti hanno portato a produrre materiale inedito e a spingerti alla pubblicazione?
Il gruppo e’ sempre stato attivo ed ha continuato la legacy e la tradizione di raggruppare in sè in migliori dj italiani di sempre, crescerli e portarli alla luce, dopo un certo numero di anni si è solo rimanifestata l’esigenza di comunicare con l’esterno musicalmente e rilasciare la nostra terza “avventura produttiva” su vinile.
Siamo stati adottati dalla This Play, un’etichetta indipendente, per questo nostro ultimo lavoro, e siamo felici della scelta. Essere indipendenti paga, sopratutto in termini di comunicazione tra artista e label stessa, dove il lavoro e i rapporti sono più’ umani.
Come affronti il momento di entrare in studio a produrre un nuovo disco, oggi, dopo le tantissime esperienze diverse di cui sei stato parte nella tua lunga carriera? Com’è che arriva il momento in cui dici a te stesso “ok, è ora di fare un nuovo album di Alien Army”?
E’ sempre fondalmente un fatto di ispirazione e di feeling, che tra noi si e’ manifestato nel volere dare un contributo alla scena del djing attuale; siamo convinti che musicalmente abbiamo ancora tantissimo da dare, sia in termini tecnici che musicali e che le frontiere del turntablism siano ancora tutte da esplorare. Dunque metterci di nuovo all’opera è stato uno stimolo a raggiungere obbiettivi nuovi ed a spingerci un gradino più in là.

Alien Army esiste ormai da molto tempo. Come hai attraversato tutti i cambiamenti stilistici di una disciplina come lo scratching, dal punto di vista delle innovazioni tecnologiche? Sei un dj che abbraccia le novità o sei invece più conservatore rispetto al set up vinile-puntina-mixer? Perché?
Mi permetto di correggerti: non c’è nulla di “conservatore” nel set up vinile-puntine-mixer… semplicemente non esiste, allo stato attuale, un software o un hardware in grado di mettere a suo agio un dj di alto livello nell’esecuzione tecnico stilistica, tutti i marchi in questo campo hanno ancora molta strada da percorrere, e non penso arriveranno mai al risultato che puoi ottenere con un’esecuzione analogica nel campo dello scratch odierno. La latenza e’ il loro tallone di Achille; quella cosa più sei forte più la avverti anche nei minimi particolari, e’ un po come se tu sei abituato a prendere una curva su una Skyliner GTR e all’improvviso ti ritrovi in curva con una 595 Abarth. Un piccolo sorriso viene, non credi? Il mondo che si e’ generato ora appartiene alla generazione del “controllerism” e non del “turntablism”, ovvero è la generazione dei tasti pad controlli e filtri, nulla di sbagliato ma sono solo due mondi in sintonia e che si stringono la mano, in alcuni casi con stile, in altri un po’ meno. Il futuro non può e non va fermato, ma dev’essere il futuro che lavora per te… non il contrario.
Invece come vedi le mutazioni che lo scratching ha subìto nel tempo? All’inizio era qualcosa di bizzarro e sperimentale; poi c’è stato un momento, negli anni ’90, in cui anche nei dischi pop era d’obbligo uno scratch, quasi avesse preso il posto del solo di chitarra. Ancora più avanti, gli album concepiti e suonati interamente da turntablist sono diventati una realtà solida e credibile anche armonicamente, lavori “completi”. Mi racconti questa evoluzione dalla tua prospettiva privilegiata?
Sono stati anni di studio. Alcuni di noi letteralmente hanno abbracciato uno strumento classico per capirne di più e per potersi interfacciare con la musica in una modalità più professionale. Bella la barzelletta del taglia e cuci, assonanze e dissonanze, ma se vuoi dire di esser un musicista allora devi cercare di esserlo per davvero: suonare è un privilegio e non un lavoro, ergo la ricerca costante ci ha portato a consegnare un lavoro nel 2015 come “The difference”, che e’ il sunto delle nostre esperienze e della visione musicale noi abbiamo ora. Il turntablism e il djing stanno attraversando una fase interessante in questo momento, aspettatevi molte novità e input dal nostro movimento, che rimane il punto di influenza più alto per costruttori e dj. Il dj e’ ora una figura che può stare in piedi anche senza una band dietro le spalle e tutto questo deriva anche dall’ immenso contributo della tecnica che lo ha aiutato nel suo percorso di one man band.
15.06.2015