109mila spettatori da 99 Paesi, cioè un leggero e fisiologico calo rispetto all’edizione-record dello scorso anno: la ventunesima edizione del Sonar Festival di Barcellona ha ribadito il suo status di evento imprescindibile per gli appassionati della miglior musica elettronica e dance, oltre a confermarsi quale festival dall’organizzazione pressochè impeccabile, un modello da cui c’è sempre da imparare, soprattutto sui nostri lidi. Se alla cifra di cui sopra si aggiungono gli oltre 3500 professionisti accreditati, che hanno popolato anche l’area congressuale Sonar+D, è la dimensione diurna del festival, il cosiddetto Sonar de Dia, ad aver raggiunto in particolare il record assoluto di presenze (oltre 52mila), a testimonianza di un interesse sempre crescente per le proposte artistiche più “alternative” messe in cartellone dagli organizzatori catalani. 155 artisti (fra cui una trentina di spagnoli) ad abbracciare il più ampio spettro possibile dell’attualità musicale, con alcune proposte di evidente richiamo, come quella costituita dal ritorno sulle scene dei Massive Attack, in un convincente set che, pur ricalcando nei visual il concept da “controinformazione” delle precedenti apparizioni dal vivo, offre alcuni inediti e rinnova l’attualità di parecchi dei loro classici grazie anche alle carismatiche voci di Martina Topley-Bird e dell’affezionato Horace Andy.
Oppure la sinergia fra i Royksopp e Robyn, inaugurata nel recentissimo EP ‘Do It Again’ e che dal vivo si dimostra di sorprendente energia, aiutata dalla verve e presenza sul palco della popstar svedese. O ancora i dj set di nomi che sono una garanzia, come il fuoriclasse James Holden (meglio in proprio che nel back-to-back con Daphni), il sempre efficace Loco Dice, il versatile DJ Harvey, un Tiga da gran finale fino alle prime luci dell’alba di domenica, e gli ultra-collaudati live di Moderat e Four Tet, oltre all’iper-dark Gesaffelstein, che ha convinto anche i più scettici. L’ormai proverbiale attitudine a 360 gradi del Sonar ha portato anche quest’anno nello stesso cartellone pionieri di estrazione estremamente diversa come Chris & Cosey -già metà dei seminali Throbbing Gristle-, quei geniali provocatori che rispondono al nome di Matmos, maestri nel non prendersi mai sul serio, e gli Chic di Nile Rodgers, che offrono un vero show all’americana, da “febbre del sabato notte”: una sorta di ‘Greatest Hits’ da 60 minuti che non lascia respiro, in grado in affiancare alle iper-classiche ‘Good Times’, ‘Le Freak’ e ‘I Want Your Love’ gli hit confezionati per le Sister Sledge (‘We Are Family’, ‘He’s The Greatest Dancer’), David Bowie (‘Let’s Dance’), Madonna (‘Like A Virgin’) e ovviamente quella ‘Get Lucky’ che lo stesso Rodgers ha contribuito a forgiare con la sua inconfondibile chitarra per i Daft Punk.
Ritorno in grande stile anche per un’altra artista veterana: Neneh Cherry, accompagnata anche dal vivo dal duo Rocketnumbernine, ha brillato nella presentazione del materiale del suo recente album ‘Blank Project’, in grado di esprimere un equilibrio perfetto fra sperimentazione e la consueta espressività della sua voce, con la chicca finale di una versione completamente della sua ‘Buffalo Stance’. La giornata inaugurale schierava due artisti attesissimi: quella dell’australiano (ma islandese d’adozione) Ben Frost è un’esperienza sonora che in qualche modo ridefinisce i parametri di ciò che in altre ere sarebbe stato definito come “musica industriale”: la sua è vera e propria arte sonora d’avanguardia, come testimoniato dagli entusiastici riscontri ottenuti dal recente album ‘Aurora’, che qui è stato il nucleo di una performance scura e potente. Poco dopo andava in scena un’altra esibizione ai confini dell’installazione artistica, quella che traduceva visivamente sull’enorme parallelepipedo/totem elettronico gli impulsi sonori di ‘Ex’, il nuovo lavoro di Richie Hawtin con il suo storico alias di Plastikman, fortunatamente più ispirato rispetto ai suoi più recenti lavori e dj set.
Fra le più positive conferme offerte dalla parte diurna del programma, quella di Machinedrum, ormai un trascinatore di folle nonostante il suo suono sia fuori dalle tendenze principali; il peculiare e mistico incontro fra folk arcaico e dub del magnetico Forest Swords e soprattutto un travolgente Jon Hopkins, il cui ormai collaudatissimo set richiama un pubblico numeroso quanto scatenato.
Convincono parecchio anche dal vivo le sensuali e agili creazioni sonore di Jessy Lanza, che indossa un’eloquente t-shirt della Teklife (in ricordo di DJ Rashad, compagno d’etichetta in casa Hyperdub) mentre suona e canta i suoi brani fra elettronica dagli accenti anni ’80, disco e r&b: una delle più piacevoli sorprese di questa edizione insieme alla raffinata miscela fra house e hip hop alla J Dilla di Kaytranada, che è stato meritatamente piazzato nello slot notturno che precedeva il live di Caribou. Quest’ultimo, in splendida forma con la sua band, ha proseguito nel venerdì notte una sequenza davvero magica nell’area a cielo aperto del ‘Sonar Pub’, culminata con lo straordinario set di Todd Terje: il norvegese fa ballare tutti con le ispirate melodie da lui suonate dal vivo sui suoi synth analogici, senza mancare nessuno dei suoi hit (da ‘Inspector Norse’ a ‘Delurean Dynamite’) e aggiungendo alcune chicche, come una sua versione di ‘I Zimbra’ dei Talking Heads. Dopo le imminenti edizioni internazionali firmate Sónar (in località mai raggiunte finora, come Santiago del Cile, Bogotà, Copenhagen, oltre alle più consuete Città del Capo, Reykjavík, Stoccolma e Tokyo) il nuovo appuntamento per l’anno prossimo con Barcellona è già fissato: le date annunciate letteralmente all’indomani della chiusura di questa edizione sono quelle del 18, 19 e 20 giugno 2015. Noi ci saremo ancora una volta. (il reportage completo sarà pubblicato sul numero di luglio di DJ Mag Italia)
25.06.2014