Soundcloud. Quante volte hai sentito questa parola? Se dedichi anche solo l’1% della tua esistenza alla musica difficilmente ti sarà sfuggita questa idilliaca realtà per gli artisti emergenti. Sì perché, sebbene ultimamente tergiversi in un clima abbastanza turbolento – si parla di debiti oltre i 44 milioni di dollari – la piattaforma di Alexander Ljung costituisce il faro più luminoso per chiunque abbia voglia di far sentire il proprio sound al resto del mondo o semplicemente scoprirne di nuovi. Più di 175 milioni di utenti iscritti, con ben 110 milioni di canzoni condivise. Senza costi, senza impegno, senza responsabilità. Bastano due clic, e il tuo mondo è connesso con quello dell’artista XY, di cui fino a poco fa non sapevi nulla e di cui in pochi minuti potrai ripercorrere la carriera musicale degli ultimi anni. Una piattaforma streaming che ha rivoluzionato il talent scouting, la condivisione musicale e qualsiasi forma di ascolto disinteressato. Non a caso due major su tre si sono date da fare nel chiudere accordi con la nuvola arancione, perché è sempre più ovvio che il futuro dei musicisti di tutto il mondo continuerà a passare direttamente o indirettamente da qui, almeno per i prossimi anni; ci basti pensare la percentuale di A&R che hanno legato artisti ad etichette attraverso uno o più ascolti di Soundcloud (la percentuale non ci è nuota ma azzardo un 80%, almeno per la musica elettronica).

COME E QUANTO GUADAGNA SOUNDCLOUD?
Siccome abbiamo parlato di un debito abbastanza consistente da risanare, iniziamo spiegando come portano il pane a casa Ljung e compagni. Soundcloud è gratuito. Chiunque può ascoltare brani dalla piattaforma senza essere necessariamente registrati, mentre la registrazione è requisito fondamentale nel caso di upload, creazione di playlist, link per download, repost, eccetera. La registrazione implica un profilo, con relativi followers, chat e gran parte delle feature like&share che possiamo trovare nei social più comuni. Dopodichè è possibile passare ad un account pro. Questo, al costo di 6$ al mese (o 55$ annui), permette diverse funzionalità aggiuntive tra cui l’aumento delle ore di musica caricabili sul profilo, una migliore localizzazione delle play relative ai propri upload, l’utilizzo della funzione ‘spotlight’ per fissare in evidenza i brani ed altro. L’account pro è preceduto in comodità dall’account ‘Pro Unlimited’ (15$ al mese o 135$ annui) che comporta funzioni ancor più avanzate, tra cui l’eliminazione totale dei limiti alle ore di musica caricabili, così come per i download, e altro. A queste forme di guadagno si aggiungono gli investimenti di compagnie terze – essendo Soundcloud nato come una comune start-up – o di distributori interessati alla visibilità offerta dalla piattaforma; a ciò si aggiungono le partnership con le tre major label, che ovviamente non possono restare indifferenti dall’importante ruolo giocato da Soundcloud al momento ma che allo stesso tempo vogliono mantenere saldi i diritti sui propri brani (prendendosi anche una piccola percentuale sugli introiti connessi). E’ nei piani della piattaforma l’inserimento di un servizio di advertising, essendo la nuvola l’unica piattaforma streaming totalmente priva di pubblicità, oltre ad una nuova opzione di abbonamento di cui sappiamo ancora poco. Insomma, con una quantità tale di introiti economici ed attenzioni, come è possibile che Soundcloud si trovi nella condizione di possedere un debito così alto? Tanto per cominciare, non è un segreto che il senso della misura economica nelle spese amministrative non sia tanto popolare nella crew principale della piattaforma, a cominciare dallo stipendio dei propri dipendenti (la media è di 80.000€ all’anno!). Manca più che altro un modello di business chiaro, perché gli introiti degli abbonamenti, gli investimenti e le relative partnership non sono ancora in grado di coprire le spese annuali, nonostante i ricavi annui dal 2013 ad oggi siano in costante aumento.
L’accordo con le major implica al momento Warner Music (da novembre 2014) e Universal (appena un mese fa). Una partnership che permetterà alla piattaforma di collaborare in maniera più fluida con le due major nella ricerca ed acquisizione di produttori e songwriter, che va ad unirsi agli accordi già siglati con le altre compagnie. Tra queste la National Music Publishers Association (NMPA), l’agenzia di licensing Merlin e PRS for Music (UK). Di quest’ultima vi parleremo tra poco. Per quanto riguarda la terza major rimasta fuori, Sony, non ci sono ancora novità nell’aria, nonostante Soundcloud abbia più volte collaborato indirettamente con il gigante discografico; è verosimile immaginarsi un accordo in arrivo nei prossimi anni. In ogni caso, nonostante i debiti da sanare, al momento Soundcloud è valutata la bellezza di un miliardo di dollari, per le sue immense potenzialità che sono del tutto inignorabili. Ne sa qualcosa Twitter, che nel 2014 è andato vicino all’acquisizione della piattaforma, ma infine non se n’è fatto più nulla.

ROYALTIES
Questo è un tema controverso, nonché estremamente attuale essendo uno degli oggetti principali dei dibattiti delle conferenze sviluppatesi all’interno dell’industria musicale attuale. Si guadagna bene con Soundcloud? Qual è la situazione attuale di royalty legate alle riproduzioni?
Ritorniamo quindi a parlare di PRS for Music, celebre società di collecting fondata a Londra più di cento anni fa con lo scopo di tutelare i diritti d’autore degli artisti britannici. Più di 100.000 artisti sono attualmente sotto l’ala di PRS, tra cui Adele, per nominarne una. Nell’agosto 2015, PRS for Music si è mossa per vie legali contro Soundcloud in seguito alle sue richieste di pagamento di royalties sulla base “pay per play”, ovvero in base alle riproduzioni dei brani dei singoli artisti. Un caso che ha fatto storia nel mondo dello streaming, perché interpretato come una grande occasione per far valere i diritti d’autore sui servizi streaming, il cui braccio è sempre stato abbastanza corto sull’argomento (ne parleremo al dettaglio nel prossimo focus dedicato a Spotify). In seguito a cinque anni di negoziazioni, ciò che PRS andava chiedendo era un accordo di licenza per la riproduzione dei brani relativi ad artisti e case discografiche loro membri, non solo in Inghilterra ma anche in Europa in generale. Di fronte al rischio di una causa legale sanguinosa, Ljung ha pensato bene di stringere il famoso e tanto richiesto accordo con PRS. A partire da dicembre 2015, Soundcloud pagherà le royalties connesse al numero di riproduzioni di ogni brano, gettando allo stesso tempo la pavimentazioni dei due servizi di subscription e advertising che prenderanno vita nel 2016. Perché questo accordo è così importante? Perché lancia un messaggio più che rassicurante alle major connesse alla piattaforma, con un enorme passo avanti relativo ai diritti d’autore online.

VIOLAZIONI DI COPYRIGHT
Altro tema che scotta. Gli accordi con le major implicano un maggior numero di copyright da rispettare all’interno della piattaforma e questo significa che l’utilizzo di brani registrati sarà sempre più complicato. Parliamo di remix, mash up, compilation e via dicendo. Il brano o il mix vengono rimossi alla velocità della luce dalla piattaforma, che in seguito a troppe segnalazioni può chiudere permanentemente l’account violatore. Ci sono addirittura casi di artisti che pubblicano il proprio brano e lo vedono rimosso in nome del (proprio) copyright! Una situazione paradossale dovuta alla necessità di regolamentare e organizzare il sistema di violazioni in maniera più fluida e comprensibile. In questo campo pare il principale accusato sia Universal, al momento la più “assassina” delle label. Cosa dicono gli artisti? Sicuramente non gioiscono del nuovo sistema di “scova e sopprimi”. Soprattutto per chi è specializzato in remix, fonte di grande visibilità e riproduzioni per gli artisti, ma principali soggetti a violazioni di copyright. Così come ha reso il proprio nome celebre grazie ai bootleg. La situazione è controversa perché i produttori di musica elettronica (che compongono la stragrande maggioranza degli utenti Soundcloud) reclamano il diritto a poter postare liberamente quel genere di tracce che costituisce oggi la grande popolarità della piattaforma. In nome di quale principio? Quello secondo cui un ottimo remix di una hit legata a una delle due major connesse alla nuvola non fa che rendere il pezzo ancor più appetibile al pubblico o perlomeno lo pubblicizza. Il danno non sussiste, questo sostengono i produttori. Tra i grandi sostenitori di questa causa c’è Kaskade, che un paio di anni fa sosteneva quanto le label stessero facendo “un mare di cazzate” in tema di violazioni di copyright relative a bootleg e remix su Soundcloud, in occasione della rimozione del suo remix di ‘Summer’ di Calvin Harris. Il remix pubblicato, soprattutto se ottiene tante riproduzioni e report, aiuta gli utenti ad affezionarsi all’artista originale e a far girare il nome del brano. Quello che le label sopprimono su Soundcloud potrebbe costituire quindi un enorme potenziale di fatturato e personalmente mi trovo d’accordo con questa teoria.

SOUNDCLOUD MUST GO ON
Aldilà del business, dei diritti d’autore e delle proteste, Soundcloud è ad oggi una delle realtà online più importanti per chiunque abbia minimamente a che fare con la musica. Un portale che ha rivoluzionato completamente il nostro modo di scoprire nuove sonorità, ispirarci ed informarci musicalmente. Come ho letto in un articolo a tema di recente “se il tuo negozio di dischi preferito chiude, il vinile che hai a casa non sparirà nel nulla, ma con un servizio streaming è diverso“. La frase rende perfettamente l’idea di cosa significherebbe la chiusura di Soundcloud, perché anche di questo si deve (iniziare a) parlare, considerato il conto in profondo rosso della piattaforma e le ancora assenti soluzioni a riguardo, almeno per i tempi prossimi. Una quantità mastodontica di materiale inedito e unico che andrebbe perduto per sempre, trascinando nell’oblio uno dei migliori trampolini di lancio per artisti emergenti e con un sogno in valigia. In generale, Alexander Ljung e compagni si trovano all’interno di un fuoco incrociato che li costringe a dover prender tempo prezioso per qualsiasi decisione: da un lato le label, dall’altro gli artisti. Soliti schieramenti. Speriamo si finisca in parità.
26.02.2016