Cambia la geografia della musica elettronica. Si espande a macchia d’olio. Dopo aver conquistato il nord e il sud dell’America, dopo aver valicato i confini spingendosi sino all’estremo Oriente, in attesa che la Russia si possa stabilizzare e che la Cina si collochi in modo chiaro e decoroso, la scena della musica elettronica sta fiorendo nel Medio Oriente, un’area infinita e per tradizioni centenarie, una zona ampia, talvolta ostica su più versanti.
Diciottenni marocchini che adorano Diplo, rapper della striscia di Gaza, libanesi che citano Martin Garrix: i giovani protagonisti di questo passaggio epocale dalla musica locale a quella internazionale sono appassionati di un suono globale che spesso, in una società in gran parte islamica è considerata immorale, quando non addirittura illegale. Ugualmente rappresentativa dei conservatori e degli estremisti che appaiono nei telegiornali, questa generazione, tra l’altro ben rappresentata nel libro ‘Rock The Casbah’ di Mark Levine, è protagonista di una rivoluzione in atto, sbocciata ancor prima della Primavera Araba, nata probabilmente con le prime audiocassette importate dall’occidente.

I frutti e le contraddizioni dell’incontro tra influenze occidentali e cultura mediorientale, le battaglie tra tradizione e libertà, tra religione e desiderio di cambiamento di una parte di mondo in cui tutto è politica e tutto è in movimento, stanno accucciate tra le pieghe della cronaca quotidiana. Come quella riportata dal sito del broadcast televisivo Al Jazeera, che si è occupato recentemente di quello che è il ricambio musicale della regione.
L’industria musicale in questa zona del pianeta in gran parte è afflitta da pirateria dilagante, download illegali di canzoni da YouTube gratuite e cd su polverose bancarelle dei suk. In una macro area afflitta da disordini politici e crisi economiche, Spotify spera di farsi largo. “Siamo arrivati con un servizio completamente in arabo, playlist localizzate e un team locale. Siamo solo all’inizio”, ha detto all’agenzia di stampa AFP Claudius Boller, amministratore delegato di Spotify per il Medio Oriente e l’Africa, come riportato anche dalla stessa Al Jazeera.
Dopo il suo periodo di massimo splendore a cavallo tra gli anni ’90 e i 2000, l’industria musicale araba è crollata nei Paesi di origine, e di riflesso fatica a tornare alle radici. Nuovi artisti vengono mostrati al mondo e scoperti tramite Spotify, come ha testimoniato un cartellone pubblicitario a Times Square, a New York, che per settimane ha mostrato il volto del rapper egiziano Mohamed Ramadan (vi ricorda un FAMO$O trapper di Cinisello Balsamo?).
La trap e l’hip-hop non stanno solo all’ombra delle piramidi insieme a Marwan Moussa, passano dal Kuwait con Queen G e dal Marocco con Stormy. Lo sanno bene quelli dell’etichetta discografica Rotana, la più grande del mondo arabo, di proprietà dell’uomo d’affari e principe saudita Alwaleed bin Talal e pronta a siglare accordi con Deezer.
L’Iran intanto sta diventando sempre più il fulcro di alcuni dei suoni più innovativi e sperimentali del globo. Dopo la proiezione nei cinema di tutto il pianeta nel 2016 di ‘Raving Iran’, documentario della regista Susanne Regina Meures che riprese la vita quotidiana di due dj techno locali, Anoosh e Arash, a Teheran, esibitisi successivamente al Lethargy Festival di Zurigo, molto è cambiato. Ata Ebtekar, una figura a lungo celebrata nella musica elettronica attraverso il suo alias, Sote, che significa “suono” in lingua farsi, è tra i principai esponenti della scena.

Il suo album, ‘Sacred Horror in Design’, ha ricevuto ampi consensi dalla critica mondiale. Ata è il primo a fare i nomi dei connazionali da seguire nella scena: da Siâvash Amini ad Hessâm Ohadi sino a Nimâ Pourkarimi. E nasce così il progetto Iranian Sound Artists. “È praticamente impossibile stampare dischi o cd in Iran e spedirli all’estero”, spiega Ata. Tuttavia, la collaborazione con l’etichetta britannica Opal Tapes aggira ogni ostacolo.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno dalla loro un sistema economico ricco e opulento, e diverse organizzazioni occidentali hanno trovato terreno fertile per proporre e sviluppare serate e situazioni con nomi di primissimo piano del panorama internazionale. Peraltro, vantano un Paese attivo e voglioso di diventare un nuovo epicentro della musica elettronica dance, soprattutto di quella vicina ai festival. Si tratta di Abū Dhabī, che all’Arena locale sull’isola di Yas è pronta a ospitare per i prossimi anni molti show e, sulla scia di quanto è successo in Corea del Sud, Singapore, Brasile e Messico, è pronto a mettere le radici l’Ultra Worldwide con i suoi dj e artisti famosi. Ormai, gente come Calvin Harris, David Guetta e The Chainsmokers sono popolarissimi da queste parti. Il nuovo obiettivo dell’industria musicale araba per i giganti globali dello streaming passa attraverso le piattaforme online che tentano di investire nei mercati emergenti e non solo in Medio Oriente ma anche nel Nord Africa, con l’intenzione di traghettare un business antiquato nell’era digitale.
In Egitto invece le autorità locali tutelano il Mahraganat, una musica elettronica di ispirazione popolare sha’abi, diventata una delle più ascoltate nella terra dei faraoni. È vero, il sindacato nazionale ha vietato agli artisti che suonano il genere di esibirsi pubblicamente perché considera il loro linguaggio offensivo e volgare e le inerenti canzoni indegne delle produzioni artistiche tradizionali. È vero anche però, ormai, che il Mahraganat è parte della cultura popolare egiziana e il divieto ha sempre meno senso, soprattutto quando viene attentamente ricercato dagli studiosi e preteso dai turisti durante le crociere sul Nilo, nei night del Cairo e nei peggiori caffè di Alessandria.
In Libano la scena dei club è sempre stata piuttosto fertile, ma dopo lo scoppio ad agosto che devastò il porto e parte della città di Beirut la scena dei club vacilla. Factory People è una comunità di artisti che possiede due locali nel capoluogo, il Grand Factory e l’AHM, e oggi fa fatica a trovare una nuova sede. Gran parte della vita notturna del Libano era concentrata a pochi passi dal porto. Ora, i quartieri di Mar Mikhael, Gemmayzeh e un nuovo progetto immobiliare sul lungomare stanno cercando di riorganizzarsi.
Mentre la comunità internazionale dei club si è riunita per raccogliere fondi con compilation e sensibilizzare l’opinione pubblica, la piattaforma di streaming musicale libanese Anghami, popolare in tutto il Medio Oriente grazie alla sua trasversale e profonda comprensione dei gusti e della culture della regione, sta facendo molto in fatto di comunicazione e business firmando un patto con la banca nazionale Shuaa Capital di Dubai.

Mentre la dj palestinese Sama’ Abdulhadi è stata rilasciata su cauzione dalle autorità di Ramallah, dalla Tunisia all’Arabia Saudita le artiste arabe della scena techno stanno lasciando un segno guadagnando consensi e rispetto ovunuqe. Prima su tutte, Nouf Sufyani, alias Cosmicat, dj insieme a David Guetta e Steve Aoki all’MDL Beast Festival di Riyadh, in Arabia Saudita. Inoltre, Boiler Room ha debuttato in Tunisia e l’unica donna araba a partecipare all’evento è stata Deena Abdelwahed, una stella in rapida ascesa sulla scena underground mondiale. Il cambiamento sta lentamente attraversando il Medio Oriente e il Nord Africa. Questo mentre Susanne Kirchmayr, fondatrice di Female:Pressure e nota come Electric Indigo, parla di “contrasto alla crescente xenofobia, al razzismo e all’islamofobia che proviene dall’occidente”.
Israele, noto per la sua psy trance da esportazione e per la sua vita notturna, è ferma al palo come tutto il resto del mondo in quanto a show ma ora che si stanno allentando i rapporti con molti paesi arabi, è facile che possano arrivare nuove iniezioni di denaro e collaborazioni inaspettate anche nel mondo dell’intrattenimento musicale. Israele è la famosa startup nation che usa la tecnologia per migliorare se stessa e amplificare i propri affari.
In campo tecnologico, la nazione sta dietro le quinte e lavora allo sviluppo di hardware innovativi come Woojer e app per apprendimenti musicali come JoyTunes, che grazie alla tecnologia brevettata MusicSense Engine permette a grandi e piccoli di approcciare alle sette note suonando e sperimentando. Dalla città palestinese di Ramallah, nella Cisgiordania, proviene il suono dei Jazar Crew. Il duo composto da Ayed Fadel e Rojeh Khleif sta cercando di dare nuova vita alla scena locale. Servirà come segnale di pace?
Gli ultimi mesi sono stati duri per la comunità artistica israeliana, con molti musicisti, tecnici del suono, macchinisti e altri che si sono trovati disoccupati. Eppure, la scena musicale indie locale è ancora viva e vegeta. Molti artisti lontani dagli stage sono impegnati a creare nuove iniziative, soprattutto di carattere discografico.
Chen Litvak, presentatore ed editore di un programma radiofonico sul canale alternativo Kzradio, spiega: “Recentemente abbiamo visto che tutta questa faccenda di rinviare le pubblicazioni non ha più senso”. Yael Copeland della band dei Borito aggiunge: “Per quanto si possa definirlo così, il vantaggio di questo periodo si chiama social media, vera cassa di risonanza per gli stessi brani”.
21.01.2021