Foto: Max Zambelli
È un nome in forte ascesa nel panorama techno – ma non solo – delle ultime stagioni. Con ‘Analogy’ ha centrato una hit che ha accompagnato le nostre vite recluse la scorsa primavera, ma che sarebbe stata la colonna sonora della festival season 2020, se ci fosse stata. Il suo debutto sulla prestigiosa label dei Tale Of Us, Afterlife, è stato un successo.
Stephan Jolk ha tutte le carte in regola per fare il salto di qualità che divide le nuove promesse dalle solide certezze nell’affollato scenario della musica elettronica. E anche nell’inflazionato mondo dei dj e producer techno. Perché il suo stile si inserisce alla perfezione in quella corrente melodic techno tanto di moda di questi tempi, ma non la insegue pedissequamente, piuttosto ne ha intercettato gli umori e lo zeitgeist già da qualche tempo, arrivando così al massimo della forma e della maturità espressiva quando il trend è poi esploso. Ora Stephan si ripresenta su Afterlife con il nuovo EP e con altre importanti novità. È il momento giusto per scambiare quattro chiacchiere con lui.
È in uscita un tuo nuovo EP, ci vuoi raccontare cosa aspettarci da queste nuove tracce?
L’EP si chiama ‘New Era’, ed è la logica conseguenza del mio percorso musicale ad oggi: la title track ha il mio signature synth, quello di ‘Analogy’ per intenderci, ma in una reinterpretazione più gioiosa ed energetica, è un disco prodotto tanto per chiudere gli occhi quanto per trovare un momento di svago. Penso sia un disco coerente con il presente, pieno di speranze, e con un domani che non potrebbe essere più atteso. Il lato B, ‘Only One’, è la traccia che misura il processo di crescita e maturazione che credo di avere avuto come artista nell’ultimo anno, è un disco di maggiore spessore, in particolare nella scelta del suono principale. Va ascoltato non aspettandosi il turbinio di emozioni di ‘A Declaration Of Love’ ad esempio, ma per capire se posso davvero essere all’inizio di un percorso discografico che tra cinque anni può aver ritagliato uno spazio significativo nella scena. Tutto l’EP a mio avviso suona meglio dei dischi di prima, il mix è più caldo, più bilanciato, e le stesure sono più moderne, vanno bene sia per il club che per l’ascolto.
Come sei entrato in un roster importante e blasonato come quello di Afterlife?
Con le unghie e sbattendo la testa, mandando un disco dopo l’altro, e non smettendo mai di crederci. “Entrato” poi in questo caso è un termine fuorviante: Afterlife è solo all’inizio del suo percorso, il management è sempre a tremila all’ora, pensano già da major, quindi oggi ci sei e domani chi lo sa. Io lavoro duro e giorno per giorno, cerco di migliorare, di evolvermi, e penso che si possa fare molto bene con ambizione, ma anche con pazienza, mettendo sempre la qualità davanti a tutto. Inutile stare qui a pensarci troppo: se sei incerto, gas aperto.
Come descriveresti il tuo sound oggi?
Un contrasto tra introspettivo e uplifting, un mix tra emotional e gioioso. Melodico prima di tutto, che noia che sarebbe sennò, e funzionale, perché credo che con questo sound si possa andare in svariate direzioni, bisogna solo capire quanto coraggio c’è alla fonte, e quanto desiderio di andare oltre le barriere.
Da un anno i club sono chiusi, l’interazione diretta di dj e producer con il pubblico è impossibile. Molti tuoi colleghi mi raccontano di non avere più molte fonti di ispirazione, per te da dove arriva l’ispirazione per produrre musica da dancefloor in questo momento?
Capisco cosa intendano, e sei mesi fa sarei stato pienamente d’accordo. Ma le fonti d’ispirazione sono ovunque, lo erano prima e lo sono tutt’ora. Ad esempio prepararsi per un live offre degli stimoli nuovi e differenti: ti porta a comporre dischi, a fare degli edit, che magari in una situazione standard non avresti fatto. E ci sono le piattaforme social, che nel bene e nel male, sono in continua evoluzione. Ad esempio io lì ultimamente ho (ri)trovato il contatto con le persone, mi sono fatto trovare da gente da tutto il mondo che vuole commentare la musica, sapere cosa ci sta dietro, quello che è in arrivo, quando andrai nel loro paese. È un modo di interagire differente, ma non per questo meno efficace.
Una chicca che sicuramente sarà un highlight di questo momento della tua carriera: Stephan Jolk live in Duomo. Mi vuoi parlare di questo show?
A breve parleranno le immagini. È stata un’esperienza un po’ surreale, abbiamo registrato la prima sera dell’ultima zona rossa (con i permessi chiaramente), non c’era davvero nessuno in giro, e abbiamo avuto infiniti problemi tecnici (come al solito), quindi quando poi ho messo il primo disco ero in mezzo alla piazza in un mondo tutto mio, tutto in cuffia chiaramente perché certo non potevo alzare il volume, e mi sono fatto un viaggio pazzesco. Dettagli a parte è stato bellissimo, sicuramente il più sentito dei live, anche se il primo, quello a Venezia per Unity Live, rimane speciale. La chiave del Duomo è stata anche il team: negli ultimi mesi mi sono concentrato molto sull’aggiungere delle pedine chiave alla mia squadra, come l’agenzia VLT per l’Italia, e il Duomo è stato un esempio della criticità di un lavoro di gruppo: tutti hanno aiutato, tutti focalizzati sull’obiettivo, e alla fine ne siamo venuti fuori egregiamente (si spera).
Come ti immagini la riapertura di club e festival?
Cerco di non pensarci troppo perché è ormai un anno che la sogno. Speriamo arrivi presto, e che si farà con la testa, altrimenti faremo tutti subito due passi indietro, e credo che nessuno possa permetterselo, letteralmente. Avverrà a fasi, e se tutto sarà ok sarà veramente bellissimo, penso che non si darà più per scontato il poter stare insieme, ballare, ascoltare la musica. Parlando di festival a settembre ci sarà il Decibel a Firenze, non vedo l’ora. Io suono il secondo giorno, nella line up con Richie Hawtin e Marco Carola, quindi in un contesto poliedrico, sarà una bella sfida bilanciare il mio suono con l’esigenza e il desiderio di pestare per davvero. Comunque già durante l’estate qualcosa si dovrebbe riuscire a fare, per ora abbiamo programmato Tunisia, Grecia, Ucraina, Messico, Libano, Egitto ed India, e speriamo che si possa fare tutto, in sicurezza, e di più, a partire da Ibiza.
19.03.2021