I trend esplodono e si ridimensionano, la tecnologia trasforma la creazione e la fruizione della musica, lo show business cambia ciclicamente; tuttavia esistono artisti che riescono a superare incolumi i cambiamenti, rimanendo attuali e rilevanti non solo nei confronti della loro nicchia ma anche agli occhi della scena musicale internazionale. C’è chi insegue, più o meno affannosamente, e chi non ha paura di tentare vie inesplorate. Ci sono i follower. E poi c’è Eric Prydz.
Gli inizi, il “gran rifiuto”, l’album
Nato a Täby, Svezia, nel 1976, Eric Sheridan Prydz raggiunge per la prima volta il successo internazionale in ambito discografico nel 2004 con ‘Call On Me’, riprendendo un fortunato sample dalla canzone ‘Valerie’ di Steve Winwood. Dopo aver fatto breccia sia nella UK Single Chart che nella German Top 100, dove il singolo si posiziona per 6 settimane alla n°1, riesce a ripetersi nel 2008 con ‘Pjanoo’, un inno progressive house diventato immediatamente un classico. Intanto, nel corso del decennio, con tre amici – Steve Angello, Sebastian Ingrosso e Axwell – forma un collettivo sperimentale senza nome, frutto di numerose collaborazioni vicendevoli e di tante tracce e remix che hanno caratterizzato e forgiato un suono molto forte, quello dell’electro-house svedese che ha rinnovato in modo frizzante e vivace la scena in un momento di calma piatta. Il momento è d’oro. Eric Prydz capitalizza tutto e sembra essere pronto per un ulteriore livello di popolarità ma, quando il gruppo viene ufficializzato con il nome di Swedish House Mafia, Prydz – incredibilmente – sceglie di non essere della partita. Questo è il primo importante turning point della sua carriera, oltre che un chiaro segnale del suo approccio personalissimo e squisitamente solitario alla musica. Un one-man-show, come diventerà letteralmente nel decennio successivo.
Nella seconda metà del decennio la sua attività discografica si ramifica incredibilmente. Prendono corpo i suoi alias più famosi – Pryda e Cirez D su tutti – mentre si sfaldano i meno conosciuti come Sheridan, Dukes Of Sluca, Hardform, Axer (con Axwell), A&P Project (con Angello). Il 2009 è l’anno di ‘Miami To Atlanta’, traccia che introduce il celebre Pryda snare utilizzato in maniera smodata da chiunque si sia affacciato al mondo della produzione negli ultimi 10 anni (compreso un certo Martin Garrix, il vincitore della DJ Mag Top 100 Djs negli ultimi tre anni). Il percorso sperimentale intrapreso dopo i primi successi in classifica e il “gran rifiuto” di far parte della SHM si concretizzano nel triplo album ‘Eric Prydz Presents Pryda’ che nel 2012 gli consente di avere un ulteriore, massiccio riscontro discografico con un prodotto, tuttavia, che aveva poco in comune con i suoi esperimenti precedenti.
“L’EDM come Mc Donald’s” e l’avvento degli ologrammi
Era già evidente come Eric Prydz non abbia mai amato le cose semplici. Per sua stessa ammissione lo interessano le sfide e l’idea di “spingere la tecnologia fino al suo limite per creare uno spettacolo che nessuno ha mai visto prima”. Con questa filosofia, nel 2011 investe tempo e denaro nel suo primo concept show: EPIC, acronimo di ‘Eric Prydz In Concert’, caratterizzato da tratti peculiari che, se analizzati in controluce, sono rimasti saldi ancora oggi: spettacolarità visiva, innovazione estrema, tonnellate di musica inedita, assenza di contatto fisico e vocale con la folla, iconico uso di simboli e rimandi autoreferenziali (il topo di mau5eville, le gigantesche scritte PRYDA, …) e una certa ritualità al limite dello spirituale. Il debutto all’O2 Arena di Brixton e il successivo spettacolo sold-out all’Alexandra Palace, sempre a Londra, con 11mila paganti, certificano la bontà dell’idea di Eric e del suo team. È qualcosa di inedito e mai visto in cui i primissimi ologrammi in 3D senza ochialini attorniano la consolle creando oggetti semoventi, seppur estremamente semplicistici agli occhi di oggi, lasciano tutti di stucco. Lo svedese gongola, seppur sempre nel suo austero contegno nordico, e capisce di essere sulla strada giusta. EPIC si evolve di pari passo con la tecnologia. Il production team si amplia e, grazie alla prima residenza a Las Vegas presso il Wynn Casinò (e al suo generoso assegno) può permettersi nuovi investimenti. Il debutto di EPIC 2.0 avviene negli USA con tre date a New York, LA, Chicago. La scena americana, che si sta preparando a vivere il boom EDM, guarda con distaccata curiosità al mirabolante show dell’europeo con la paura di volare, e il suo live rimane ancora confinato nella ristretta nicchia degli adepti.
Il vero upgrade nella scena americana avviene nel 2014, l’anno di PR(10)DA, il decimo anniversario della sua personal label che viene celebrato con 3 EP farciti di tracce inedite risalenti al periodo 2004-2014. Una release imperdibile per i suoi fan sempre più numerosi. Eric Prydz non perde tempo e, per l’autunno dello stesso anno, annuncia EPIC 3.0: un solo show in tutto il mondo al Madison Square Garden in cui sarebbero stati presentati gli ologrammi indoor più grandi e complessi al mondo, nuova musica e nuovi visual. Il 27 settembre 2014 Eric Prydz è entrato nella storia dell’intrattenimento, non solo della musica, grazie a uno spettacolo pazzesco che ha vantato futuristici ologrammi in 4k alti 20 metri, 32 laser e una produzione da grande festival. Un investimento costosissimo che, come ammette lui stesso, non è stato del tutto ammortizzato con la vendita dei biglietti. L’operazione è in perdita ma Prydz non mette i soldi al primo posto, perlomeno sul breve termine. Se l’avesse fatto, probabilmente, questi show non sarebbero mai nati. Questione di carattere. Lo stesso che lo porta ad ammettere che “l’EDM è come Mc Donald’s” scatenando le ire di alcuni suoi colleghi, che al boom dell’Electronic Dance Music devono molto, se non tutto. Questione di visione, una visione che lo porta a pubblicare ‘OPUS’, il suo primo album in studio dopo 20 anni di carriera, nato selezionando 19 tra più di 100 sue tracce.
2016: rotta verso il futuro
Il 2016 è un anno davvero capitale per Prydz: Zane Lowe su BBC Radio 1 definisce il suo come “uno migliori show mai visti” e Prydz come “uno dei produttori più longevi e coerenti dell’intera scena musicale”; è il primo dj a essere trasmesso all’interno di ‘One Mix’ su Beats 1, la stazione radio di Apple Music; continua il suo dominio incontrastato di Beatport; ammette pubblicamente di considerare Adam Beyer – con cui poi creerà un b2b show – una delle sue più grandi ispirazioni; predice il ritorno di Tonja Holma, uno dei suoi alias più fumosi, senza dimenticare, chiaramente, EPIC 4.0. Liberamente ispirato a due delle più lungimiranti e avveniristiche architetture da palco nel mondo della musica elettronica post-Daft Punk – il cubo di deadmau5 e il cilindro di Richie Hawtin – lo show vede lo svedese rinchiuso all’interno di un enorme poliedro semitrasparente. L’evoluzione è una variabile onnipresente nella vita e nelle opere di Sheridan Prydz.
Il 2017 è l’anno di ‘Stay With Me’, della sua sold-out residency all’Hï Ibiza, di EPIC 5.0 a Creamfileds’ Steel Yard, l’ultimo capitolo di questo show prima dell’inevitabile salto evolutivo con HOLO. La versione 5.0 è una produzione di altissimo livello, degna dei Coldplay o degli U2, di un grande spettacolo rock. Come abbiamo potuto constatare di persona, lo show è un salto di qualità nelle produzioni dance, perché se siamo abituati alla magnificenza dei main stage di certi festival, dove comunque gli allestimenti sono suggestivi ma non si adattano a ciascun artista, qui c’è proprio un concept ideato e messo in scena per Prydz e la sua musica. Gli ologrammi sono ormai enormi, coinvolgenti, maledettamente reali.
Nel 2018 Eric Prydz decide di evolversi. Ancora. Così nasce HOLO, abbreviativo di ‘Holograms’, con cui punta dichiaratamente a creare i migliori e più complessi ologrammi 3D nel mondo dell’intrattenimento. L’idea dietro il progetto cresce ma non si snatura; la tecnologia migliora ulteriormente; gli investimenti si fanno più ingenti. Ormai quella di Eric Prydz è un’esperienza che anche i meno avvezzi alla sua musica vogliono provare una volta nella vita. L’estate di quell’anno è un grande successo: Glasgow, Belfast, Creamfields, “sembra quasi magia” aveva decretato il nostro compianto Stefano Marano. E non aveva torto, basti guardare lo spettacolare intro per averne un assaggio.
Il 2019 è un altro anno da ricordare per Prydz, forse il più importante di tutta la sua carriera. Firma il possente remix di ‘Breathe’, la collaborazione tra Cristoph e CamelPhat con la voce di Jem Cooke; pubblica – in attesa del terzo volume – 2 attesissimi EP per celebrare i 15 anni del suo alias Pryda (e della relativa etichetta Pryda Recordings); ha una nuova residency a Las Vegas presso KAOS Nightclub e, soprattutto, inanella una serie pazzesca di nuovi show. Prima di tutto la versione 2 di HOLO, tenutasi a Finsbury Park, Londra, lo scorso maggio, che ha posto Eric Prydz tra i più grandi di sempre con elementi narrativi (visual e ologrammi) capaci di creare un nuovo ibrido inedito.
God bless Eric Prydz
Ma le sorprese non sono finite qui. Il primo weekend di Tomorrowland ci ha regalato l’ultimo, pazzesco ritrovato tecnologico made in Sweden: la première mondiale di EPIC pres. HOLOSPHERE, una sfera ricoperta di ledwall ad altissima definizione, circondata da una produzione di livello assoluto e corredata da visual, lightdesign e coreografie a tratti davvero sbalorditive. Dimostrazione di come da una parte il mondo dei festival e degli eventi sia attentamente alla ricerca di nuovi e inediti spettacoli (il dj che suona davanti a una folla non basta più da anni) da offrire al proprio pubblico e, dall’altra, di come venga sempre più premiata – soprattutto dal pubblico – l’audacia di artisti che non si sono abbassati a logiche commerciali spicciole.
Ne è ulteriore, ultimo esempio il progetto VOID – Visual Offset Isometric Design – che Prydz presenterà in anteprima mondiale a Creamfields il 23 agosto. “La nuova installazione concettuale creata in collaborazione con Cream è stata disegnata esclusivamente per la sua performance all’interno della struttura che è ormai considerata come casa sua: Steel Yard”. Questo è il poco che, per ora, ci è dato sapere. Vedremo come si trasformerà, in concreto, questa dichiarazione. Ciò che è fuori discussione è come il desiderio di continuare a creare e presentare spettacoli che sappiano costantemente rompere le barriere del possibile e, anno dopo anno, ridisegnare i limiti della produzione audio/video sia la vera cifra stilistica di Eric Prydz. Un artista che in un mondo di spettacoli troppo spesso tutti uguali ha sempre avuto il coraggio di investire su qualcosa di grande, ambizioso e mai scontato. A costo di perdere treni importanti e allettanti. Una figura che ha preferito investire e immaginare il futuro a lungo termine invece di passare all’incasso facile delle hit prodotte in serie. Uno che invece di seguire le logiche del mercato le ha sfidate, le ha reinventate e le ha cambiate. Per tutto questo, God bless Eric Prydz.
19.08.2019