La Swedish House Mafia è tornata. Così dicono migliaia di persone su Instagram, Facebook, Reddit e YouTube dopo i tre adrenalinici show di Stoccolma che hanno catalizzato l’attenzione di tutta la stampa di settore, oltre che aver aperto accese discussioni tra addetti ai lavori, fan e appassionati. Molti nostalgici entusiasti gridano al miracolo, altrettanti più cauti e scettici espongono timidamente le loro perplessità. Ma la Swedish House Mafia è tornata davvero?
Gli show di Stoccolma hanno chiuso una fase fondamentale nel percorso artistico e promozionale della SHM. Parlando di marketing, è un pò come se fosse stato il lancio di un nuovo iPhone con Steve Jobs sul palco e una folla adorante ai suoi piedi, pronta a credere gioiosamente a tutte le infografiche mostrate sullo schermo e a lasciarsi andare all’effetto wow in corrispondenza di qualche frase ad effetto o di qualche presentazione video particolarmente efficace. Nulla di strano. L’unico problema è che questi eventi sono creati per un unico scopo: vendere “alla pancia” delle persone, facendo leva sulle emozioni senza far ragionare troppo il proprio pubblico. Ecco, i tre show a Stoccolma, molto più che quello a Miami, mi sono sembrati una cosa molto simile, solo che in questo caso non è stato presentato nulla di rivoluzionario. E la cosa mi ha lasciato perplesso e dispiaciuto.
Parliamoci chiaro, nessuno – nessuno – ha messo in discussione il livello raggiunto dalla produzione messo in piedi dalla crew del trio svedese – gli unici in grado di tenere il passo sembrano essere i concept show HOLO di Eric Prydz e ANIMA di Martin Garrix. A partire dal palco fluttuante, passando per alcuni degli effetti speciali più elaborati mai visti in un’arena, le dimensioni semplicemente giganti di tutti gli elementi coinvolti fino ad arrivare a una presenza scenica invidiabile, nessuno mette in discussione la portata capitale dell’impatto emotivo della cornice tecnologica creata dal direttore artistico Alexander Wesseley davanti a cui, chapeau, ci togliamo il cappello. Ma passati i brividi di ‘Greyhound’, ‘One’, ‘Miami To Ibiza’, smaltita l’adrenalina di una performance esemplare, passato l’effetto wow durato quasi due ore, cosa ci dicono questi tre show?

Appare lampante come il trio svedese abbia deciso di investire molto sulla produzione e poco, purtroppo, sulla musica. Ci siamo lasciati alle spalle estenuanti mesi in cui, con cadenza religiosa, infiniti countdown lasciavano migliaia di fan con il fiato sospeso nella vana speranza che si trattasse di qualcosa di più sostanzioso che l’annuncio di un altro show, una nuova linea di merchandise in edizione limitata o una mostra fotografia a tema. Il tema attorno a cui continuano a ruotare molte discussioni è solo uno: la musica. I fan vorrebbero semplicemente nuova musica su cui cantare, ballare, lasciarsi andare. Perché se le loro hit del passato sono ormai giustamente entrate nei libri di storia, e sono accolte da legittime ovazioni da stadio e pelle d’oca condivisa, quello che ha fatto grande il primo ciclo della SHM sembra – per adesso – sostanzialmente mancare nei piani degli svedesi.
Non è odio, non siamo qua a fare gli hater di nessuno. È delusione. Pura e semplice. Mia e di una frangia consistente di fan. Questi show non dovevano essere un nuovo punto di partenza, una nuova rampa di lancio per una SHM 2.0 capace di scrollarsi di dosso un magnifico passato per riaffermarsi come gloria del presente – e magari del futuro? A cosa servivano questi tre spettacoli se non a questo? “Swedish House Mafia for life”, annunciava Axwell dal palco di Miami, 14 mesi fa. Uno spot pubblicitario, più che una promessa da mantenere, a quanto pare. Perché se questa è la “nuova” SHM, bè, ci sorgono molti dubbi sulla necessità della reunion. Perché se questa è l’innovazione che i tre svedesi portano nel panorama musicale attuale, confuso, sicuramente, ma non così disperato da tornare al 2013 per trovare l’ispirazione per qualcosa di decente da ascoltare, forse avrebbero fatto meglio a evitarci mesi di annunci con il contagocce. Ben vengano il merchandise, mostre fotografiche, show a grandi festival, ma solo se davvero solo il contorno di qualcos’altro. “Altro” di cui, per adesso, si vede poco.

Le ID presentate sono due gocce in un oceano di cose già sentite. Hanno avuto più di un anno per preparare la tracklist di questa performance e tutto ciò che riescono a fare è inserire tre tracce nuove (contando la splendida versione orchestrale di ‘One’) all’interno di un’ora e quaranta di set? Sembra riduttivo parlare così di una performance così faraonica. È riduttivo, me ne accorgo. Ma andiamo al nocciolo della questione e oltrepassiamo l’epidermide fatta di marketing, hype e fuochi d’artificio. Avere 14 mesi di lavoro a disposizione per poi utilizzare gli stessi mash up suonati decine di volte da A /\ I, molte live edit già largamente conosciute a qualsiasi fan di Axwell, Angello e Ingrosso e alcune transizioni sperimentate a Miami 2018 farebbe a pezzi le aspettative di chiunque. Non hanno fatto molto – per adesso – per provare a creare una seconda volta la leggenda discografica della Swedish House Mafia, per aprire un nuovo originale corso, per osare come hanno osato in passato… ma non era proprio questo lo scopo di questi show? A questo punto i dubbi sorgono legittimi. Forse no, non era questo il fine ultimo e chi sta sbagliando l’approccio sono io. Non lo escludo. C’è chi, poi, in risposta alle osservazioni sulla scarsa originalità della tracklist giustifica la Swedish House Mafia affermando che dovremmo limitarci ad essere felici per il loro ritorno, già esso stesso motivo di gioia, a prescindere da ciò che hanno (di)mostrato alla Tele2 Arena. La presenza di Angello al fianco di Axwell e Ingrosso non giustifica nulla o, meglio, non dovrebbe farlo. Altrimenti vorrebbe dire che il mondo della musica, che per sua natura è molto liquido ed effimero, avrebbe definitivamente scardinato e invertito un dualismo storico: “l’apparenza e la sostanza” diventa oggi “l’apparenza è la sostanza”.
La sensazione è che il genuino desiderio – chiamiamola nostalgia – di tornare a vivere la magia della golden age abbia fatto breccia nei cuori dei tre svedesi trasformandosi, in fase di progettazione, in un artificioso stratagemma per non cadere nel vuoto. Il ritorno della SHM era atteso più dagli addetti ai lavori che dai fan. Perché se i secondi i soldi li spendono, i primi li vedranno entrare nelle proprie tasche ancora più copiosi grazie alla presenza di Seb, Ax e Steve in consolle. Cosa fare quando una scena – dj, produttori, promoter, festival – inizia a implodere su sé stessa, perde di originalità e appeal nei confronti del pubblico? Semplice, il music business risveglia una leggenda, la rafforza con una campagna di marketing globale e sta a guardare come decine di migliaia di fan senza più quei punti di riferimento storici (vedi Hardwell, Avicii, SHM tra gli altri) ritroveranno magicamente qualcuno da seguire, da adorare. Qualcuno che riesca ancora a vendere biglietti – abbiamo più volte parlato della crisi degli artisti ticket-seller – a risvegliare quella sana follia che per anni ha abbracciato tutti, promoter, fan e dj, ingrandendo una bolla che, al contrario delle previsioni, è scoppiata senza fare rumore. Un ragionamento cinico, ma purtroppo vero.
Se dopo più di un anno di attesa, tre show fotocopia – che Axwell in un tweet poi cancellato aveva promesso diversi e unici – e una produzione audio/video next level i fan si ritrovano a parlare solo di una splendida, poetica ID, ‘Underneath It All’, viene da pensare che la Swedish House Mafia avrebbe potuto fare qualcosa di più. O non tornare per niente. A voi la scelta.
07.05.2019