Foto: Instagram @thechainsmokers
The Chainsmokers sono tornati a suonare in Italia. Dall’iniziale data pianificata e poi slittata, come molte altre in questi ultimi anni, per le ormai note ragioni sanitarie, e dopo vari cambi appunto di date e spazi, sono arrivati a esibirsi a Rho Fiera, alle porte di Milano, in un gigantesco padiglione che probabilmente nel futuro sarà nuovo protagonista di alcuni degli eventi organizzati da Livenation. La venue consiste in un immenso parterre, che per l’occasione è stato diviso a metà per la sua lunghezza da tende appese al soffitto, per cercare di raccogliere gli spettatori in uno spazio più ristretto. Nello spazio rimasto, comunque estremamente ampio, il pubblico è stato distribuito in due settori, un PIT e il parterre in base agli adattamenti dovuti ai cambi di location. Nel frattempo, molto è cambiato: il duo statunitense, che agli esordi aveva riscosso molto successo e seguito anche nel nostro Paese, grazie soprattutto al successo enorme di ‘Closer’ con Halsey e di ‘Something Just Like This’ con i Coldplay, sicuramente non gode più dell’hype di qualche anno fa. Inoltre, è uscito un nuovo album, ampiamente annunciato ma non esattamente accolto come il precedente. Nonostante ciò, e nonostante biglietti svenduti anche alla metà del prezzo di acquisto, il padiglione era pieno, tanti anche i fan venuti dall’estero.
Dopo il set di apertura di Gil Glaze, sul palco sono saliti gli headliner. Alex Pall dietro a tastiere e consolle, Andrew Taggart fin da subito in mood frontman cantando e saltando già dal primo brano. Con loro a condividere lo stage anche il batterista Matt McGuire, colui che a parere mio è stata la vera star dello show. La prima mezz’ora abbondante è stata lenta, quasi noiosa. Un concerto pop intervallato solo da veloci intermezzi più spinti, ma banali. Non che ci sia qualcosa di male in un’esibizione pop, anzi. Ma bisogna saperla realizzare. Andrew non è certo il migliore cantante in circolazione, e le stonate sono state varie e importanti. Il tutto in un padiglione dall’acustica più che discutibile, e con volumi bassi, che sopratutto nel “parterre normale” hanno sicuramente peggiorato l’esperienza. Poi l’esibizione si è ripresa e anche il pubblico che prima era quasi impegnato solo a canticchiare qualche ritornello, ha iniziato a muoversi. Sonorità più vicine alla bass music, giochi di luci e laser, fiamme dal fronte palco hanno resuscitato tutti i presenti. Ma anche in questo frangente, apprezzato sicuramente di più dai fan di vecchia data, è sembrato che i due producer abbiano preferito evitare di rischiare, con drop più “cattivi” a volte solo accennati, ripiegando quasi subito su scelte più nella comfort zone che ormai li caratterizza. Proprio in questa fase c’è stato il momento migliore del live: l’assolo di batteria condito da bacchette incendiate e tecnicismi impressionanti (Matt arriva dal metalcore) che ha letteralmente fatto sgranare gli occhi a chiunque. Dopo brani più nuovi e dopo i classici del repertorio, è stata – giustamente – ‘Closer’ a chiudere il live.
Uscendo, tanti erano gli entusiasti, ma tanti anche i delusi, e in effetti sentire tracce big room nel 2022, è qualcosa che ha lasciato perplessi anche noi. Bravi, intrattenitori, e appassionati, questo sicuramente. Ma la frase di Andrew “This is not a concert, this is a party” forse non descrive al meglio ciò che è stato portato sul palco. Ed è un peccato.
18.11.2022