La vita del dj è piena di alti e bassi, e questo lo abbiamo detto spesso. Non si tratta solo di folle in delirio e cachet da capogiro. C’è anche un lato oscuro. Non sempre la scaletta riesce nell’intento e i fan tornano a casa parlando di te col sorriso. Anche se ti chiami Tiga, e hai suonato a Roma, probabilmente la città italiana che ti ha visto di più in console negli ultimi anni.
Prima i fatti: Tiga si è esibito il 29 luglio all’Ex Dogana di Roma. Noi non c’eravamo, non sappiamo dirvi come sia stata la sua performance; fatto sta che la mattina seguente il dj canadese pubblica un post su Facebook. Ecco le sue parole.
Per chi volesse un riassunto, in poche parole Tiga ammette di aver sbagliato. Ammette di aver esagerato in ricercatezza nel suo set, offrendo materiale di nicchia non proprio adatto alla tipologia di festa che il suo pubblico si sarebbe aspettato. Ammette di non essere stato in forma, ammette che a volte la festa non decolla. Pensateci: un dj arriva in un club, appoggia le proprie cose, inizia la performance, finisce, applausi, due chiacchiere con il promoter e/i fan, e via in hotel. Non è tutto automatico come sembra dai post sui social, non sempre la festa riesce e spesso quello dell’artista si trasforma in un semplice, normalissimo “mestiere”. Ma nessuno ne parla, nessuno vuole mostrare queste debolezze. Tiga riconosce tutto questo, di aver peccato di arroganza e di aver fatto troppo affidamento al prestigio del suo nome in certi ambienti, e sebbene nella propia testa i dj possano inizialmente credere che la colpa sia del pubblico, alla fine la responsabilità della “assenza di magia” è solo di chi sta in console. È lui a dirlo, e detto ciò espone le sue più sincere scuse.
Il mestiere del dj è anche psicologico. Un dj set riuscito è il risultato di una serie di circostanze che hanno saputo trovare l’incastro perfetto: il giusto stato mentale di chi mixa, l’umore di chi lo ascolta, i dischi giusti al momento giusto, l’ambiente, l’elettricità del pubblico a consacrare la perfetta alchimia. Quando una performance riesce non si assiste solo a una carrellata di buona musica: l’aria diventa frizzante, i malumori si spazzano ed in ogni angolo del locale si percepisce un’energia nuova, a tratti magica. Qualcosa di più della semplice somma delle parti. Più bravo è il protagonista più facile può sembrare il compito, come il fantasista che in campo dribbla tre avversari e lo fa sembrare la cosa più semplice del mondo, ma tutto è tranne che semplice. E a volte l’algoritmo semplicemente non riesce, in questo Tiga è stato sincero. Si è preso un rischio, ha sbagliato e lo ha ammesso.
Personalmente ritengo nobile quanto umile il lucido ragionamento dell’artista. Molti altri avrebbero esposto il loro nervosismo additando il pubblico di scarsa apertura mentale, spogliandosi di qualsiasi colpa per non aver creato con i fan l’atmosfera che si sarebbero aspettati. Il post è emblematico di un emisfero oscuro della vita degli artisti, di cui poco si parla e quando lo si fa ci si riempie la bocca di critiche. L’attuale industria elettronica ha creato in noi tutti una snaturata percezione della figura del dj, soprattutto dei veterani, concepiti sempre più come impeccabili superstar sinonimo di grande musica e feste uniche. Ma restare a certi livelli vuol dire anche sapersi rinnovare, sfidare sè stessi, provare costantemente nuovi percorsi per approfondire la propria identità musicale, portando per mano chi ha il coraggio di mettersi in fila. Il rischio tiene conto del possibile fallimento, ma è proprio questo il fascino di azzardare. Quando deadmau5 suona sul palco di ASOT un pezzo dei Motorhead, nel cuore dell’Ultra Miami 2016, o quando Jackmaster chiude il set del Kappa FuturFestival 2017 con Lil Wayne, non ci sarebbe bellezza se non ci fosse possibilità di ricevere qualche fischio, o di assistere ad una folla inerme e perplessa. Come il pallonetto di Totti a Van Der Sar negli Europei del 2000.
In fin dei conti, sono questi gli artisti che ci piacciono. Quelli che giocano senza ruolo, che da un momento all’altro possono sterzare e stamparti un sorriso in faccia, quelli che non ne vogliono sapere di seguire una scaletta fissa, costi quel che costi. Certo, si può anche sorprendere e soddisfare senza necessariamente prendere brusche uscite, rispettando uno specifico sound ma offrendo sfumature differenti. Non c’è dubbio. Ma cosa si fa quando, nel variare un po’, l’artista esce dal guard rail e inizia una scomoda marcia nello sterrato? Si applaude. Perchè si apprezza la volontà di non arrendersi alla comfort zone e di aver provato a offrire qualcosa di nuovo. Poi si sa, le occasioni per rifarsi saranno (fortunatamente) tante, perchè l’Italia ha la fortuna di poter vantare un traffico di artisti underground decisamente fitto, anche in ambito internazionale.
L’amaro in bocca è ovviamente consentito. Non si pretende il sorriso da nessuno, perchè due ore di musica non convincente sono comunque due lunghe e pesanti ore. Ma il rispetto ha sempre la precedenza, e la differenza vera la farà l’atteggiamento successivo all’errore da parte dell’artista. Non so dirvi come sia andata a Roma, l’altra sera, perchè per il momento non abbiamo testimonianze scritte affidabili. Nel dubbio provo ad essere ottimista.
Try again, Tiga. Ti aspetteremo col sorriso.
31.07.2017