Un tizio sorridente, in forma e dai capelli corti che risponde con cortesia e un certo imbarazzo alle domande di alcuni fan nel backstage di un festival. Questo il contenuto di un video nel quale sono incappato diverso tempo fa su YouTube mentre ascoltavo (credo) qualche brano di Aphex Twin. Lo ricordo ancora con un senso di inquietudine, proprio per via del suo contenuto: “Ma come”, mi dicevo infatti, “Aphex Twin non era il corrispettivo di Kurt Cobain in ambito elettronico? Un capellone un po’ trasandato con una passione solipsistica per la musica e una certa difficoltà a comunicare?”. Quel video, il cui protagonista era appunto Richard D. James, metteva insomma in discussione gli stereotipi che attribuivo normalmente alla sua persona al di fuori dell’ambito strettamente musicale. Non che avessi poi molte fonti per figurarmelo in quel modo (non nascono forse così gli stereotipi?) ma a questo mio personale immaginario contribuiva anche il suo estro artistico: intendo l’uso di una notevole quantità di moniker, gli scatti sempre in bilico fra iconografia pop e body horror, i videoclip destabilizzanti… E ovviamente la musica: solitaria perché poco propensa alle collaborazioni e ai remix (forse come pochi altri artisti elettronici) e spesso sottilmente inquietante, se non proprio spaventosa.

Mi rivengono in mente le immagini di quel video ora che ci ritroviamo tutti quanti di fronte ad un Aphex Twin decisamente nuovo, anche dal punto di vista umano. Le interviste rilasciate a Pitchfork e Groove (ne avevamo parlato qui) in occasione dell’uscita del recente Syro ci dicono di un James riappacificato con sé stesso e con il proprio processo creativo. Non è affato un caso dunque che, come promesso, a pochi mesi dall’uscita del suo ultimo album il musicista di origini irlandesi ci regali una nuova pubblicazione. Un ep che conta tredici tracce fra le quali ci sono episodi inferiori ai trenta secondi. Il contenuto musicale rimanda, come si legge giustamente sul sito bleep.com, al controverso “Druqks” del 2001: c’è infatti una divisione piuttosto netta fra brani caratterizzati da strutture piuttosto lineari (“diskhat1”), che rimandano ai groove dell’album “…I Care Because You Do” (1995), e piccole composizioni più sperimentali (“piano un1 arpej”); due facce della stessa medaglia artistica aphexiana. Tutto quello che sentiamo è il frutto di un strumenti musicali controllati tramite computer, come suggerisce lo stesso titolo (“Computer Controlled Acoustic Instruments pt2“), della cui costruzione si è occupato lo stesso James.
Ora, considerato che quella che state leggendo non è una vera e propria recensione, non mi addentrerò in giudizi motivati su questo ep. Mi limiterò invece a constatare quanto sia bello sapere che un grande artista che ha dato davvero molto alla musica, e non soltanto elettronica, non abbia smesso di voler sperimentare, creare e condividere con il mondo la propria fantasia musicale. E che sia anche riuscito a tramutare il minaccioso ghigno della copertina dell’album “Richard D. James” in un sorriso più benevolo, in primis verso sé stesso. Il che non renderà la sua musica meno impegnativa o stimolante, come dimostra proprio questa nuova pubblicazione.
27.01.2015