• SABATO 01 APRILE 2023
Esclusiva

La DJ Mag Top 100 Clubs è sempre più globale, e sempre meno italiana

L'ingresso dell'alta finanza, lo sviluppo di Asia e Sudamerica, il potere di Las vegas e Ibiza, le eccellenze italiane. Ecco come cambia la geografia del clubbing mondiale

Come ogni anno, la DJ Mag Top 100 Clubs fotografa una geografia in evoluzione, racconta come e dove si muovono le dinamiche del clubbing internazionale, dove vanno a suonare i dj più importanti del pianeta e quali sono le economie che crescono nel nostro settore. La DJ Mag Top 100 Clubs 2019, uscita ieri (eccola QUI), racconta una storia molto precisa. Quella di conferme ormai storiche: Berlino, Londra, Ibiza. Quella dei luoghi che hanno rapidamente guadagnato una posizione di rilievo nell’immaginario collettivo di chi ama la dance: Las Vegas, Los Angeles, la Croazia. Quella di Paesi in forte crescita: la Cina, ovviamente, su tutti, e poi la Thailandia, Indonesia, Vietnam, Filippine, Malesia, Corea del Sud, in generale luoghi di un turismo che passa dall’Asia, dove gli investimenti non mancano e tutto è nuovo e da scoprire. C’è poi il Brasile, che ci regala un club vincitore per la quarta volta (e per il secondo anno consecutivo), il Green Valley, in questo decennio vero rivale dello Space di Ibiza, che come sappiamo ha lasciato il posto all’HÏ chiudendo una storia gloriosa e irripetibile per molte ragioni. Il Brasile può vantare altre quattro discoteche in classifica: El Fortin, Laroc Club, Warung Beach Club, D-Edge, piazzandosi tra i Paesi più presenti nella Top 100. A seguire, una discreta presenza di Paesi sudamericani, come Colombia, Cile, Argentina, Ecuador, e sorprese come club portoghesi, bulgari, svizzeri, irlandesi e libanesi.

Il Printworks di Londra

C’è una ragione se in questo editoriale mi sto concentrando sulla geografia più che sui singoli club. I club sono eccellenze in sè, è chiaro che Octagon a Seul, Guaba Beach Club a Limassol, a Cipro, o Yalta Club a Sofia non sono lo specchio obiettivo della scena delle rispettive nazioni di appartenenza. Ma allargando il campo, è proprio guardando quante bandierine può vantare ogni Stato su questa mappa del clubbing che vediamo come girano le cose. Las Vegas si conferma la Ibiza americana, il posto dove ci sono investimenti, opportunità, e dove si ha una vetrina importante, anche se in netto calo rispetto al boom di qualche anno fa e insidiata da una Los Angeles in grande ascesa e dai club di New York. Ibiza stessa è sempre al centro della cartina, gli ultimi anni l’hanno fortemente riconfigurata e sono cambiati parecchi nomi tra quelli importanti sull’isola. Londra racconta la sua storia di cambiamento rapido e costante, se tengono botta gli storici fabric, Egg e Ministry of Sound, molti nuovi club si affacciano sulla scena (Printworks, Phonox, Studio 338, Tobacco Dock).

Echostage a Washington

Come sempre, tutto converge verso la fatidica domanda: e l’Italia? L’Italia se la passa maluccio, non tanto perché ci sono solamente tre club in classifica, a cui facciamo le nostre migliori congratulazioni e di cui gioiamo sinceramente e con tutto il cuore. Goa (nuova entrata alla posizione 86), Guendalina (posizione 70), Duel (45), sono ormai delle certezze del clubbing internazionale, e va detto schiettamente, non sono le uniche nel nostro Paese. MIA, Tenax, Volt, Afrobar, giusto per fare qualche nome a caldo, senza nemmeno stare troppo a pensarci e per citare un po’ tutta al penisola, sono dei locali che nelle ultime stagioni stanno offrendo una programmazione di livello e che stanno crescendo benissimo. Considerando poi che l’Italia è un Paese piccolo, i numeri giocano spesso contro di noi, e in proporzione non ce la passiamo in modo così drammatico. No, l’Italia se la passa maluccio per diverse ragioni. Da italiano, mi duole sempre fare critica, ma spero sia vista come una presa di coscienza costruttiva, perché così vuole essere. Maluccio significa che troppo spesso si passa più tempo a farsi le pulci l’un l’altro di quanto non si spenda a intavolare discorsi di collaborazioni, di PR comuni, di piani che possano essere forieri di maggior considerazione anche di fronte alle istituzioni e agli investitori. Abbiamo visto il doloroso caso del Cororicò: un’eccellenza storica che versa in condizioni da rianimazione, e che ci auguriamo di cuore possa tornare a prendersi il suo meritato posto al sole. I club virtuosi sono eccellenze, dicevo, e se Ibiza o Berlino hanno una storia tutta particolare che le ha portate ad essere “i” luoghi del clubbing mondiale, non dimentichiamoci che anche noi siamo stati una parte importante di questa storia. E che continuiamo ad esserlo. Perciò, alziamo la testa, cambiamo mentalità e prendiamo esempio dalle eccellenze (anche nazionali) per cercare di fare sempre meglio.

Il Guendalina di Santa Cesarea Terme, uno dei tre club italiani nella Top 100 2019 (gli altri due sono il Goa di Roma e il Duel di Napoli)

In chiusura, va sottolineato come il nostro mondo si sia evoluto: se fino a una decina di anni fa le imprese dei locali erano aziende piccole-medie, spesso a conduzione poco più che famigliare, nell’ultimo decennio è palese come la quantità di denaro e il tipo di investitori siano radicalmente cambiati, mettendo il turbo alla rivoluzione dei superclub e stravolgendo letteralmente i connotati e le abitudini dei clubbers. Un aspetto da cui non si può prescindere. La finanza è entrata a gamba tesa sul dancefloor, e se questo fa bene al portafogli, può anche significare un modo molto meno romantico e affettivo di vivere la gestione dei locali. Perché quando ci si trasforma in brand, il valore di mercato viene sempre prima del cuore. E questo aspetto, unito alle considerazioni precedenti, è la riflessione del titolo di questo articolo: se è vero che questo mondo, quello dei club, è sempre più globale, rischiamo che sia sempre meno italiano. Rischiamo, detto terra terra, di perdere il treno.

 

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Albi Scotti
Giornalista di DJ Mag Italia e responsabile dei contenuti web della rivista. DJ. Speaker e autore radiofonico.

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