In una stagione di trasformazioni, di navigazione a vista, di cambiamenti ormai in atto in tutto il settore del clubbing, da un lato per la naturale evoluzione delle cose, dall’altro per il terremoto pandemico che ha accelerato alcune evoluzioni e sgretolato diverse certezze, esistono realtà che invece sanno resistere e anzi mantenere uno status di cult, di serata “a cui si va”. Sono club radicati nelle grandi città come in provincia, sono realtà che si sono costruite una reputazione e che hanno nel tempo innescato dinamiche da cui poter trarre linfa vitale e slancio evolutivo. Ed è giusto allora raccontarle, andando a sviscerare insieme a chi queste club night le ha pensate, organizzate, vissute fin dall’inizio, come si lavora oggi nel mondo dei club in Italia.
Tra i nomi imprescindibili in un percorso di questo tipo, non poteva mancare quello di Ricardo Baez, dal 2009 alla guida di Tropical Animals, un grande classico della club culture a Firenze.
Tropical Animals è una serata davvero longeva: ha compiuto 14 anni. Una cifra quasi impensabile per una club night, se togliamo posti come Ibiza. Come ci siete arrivati e come è nata Tropical Animals?
Tropical Animals è nato effettivamente nel 2009 (prima stagione 2009/2010). Dopo aver lavorato nel settore della moda per molti anni, ho deciso di mollare tutto per dedicarmi a quella che fin da piccolo è la mia grande passione, la musica e il djing. Dopo parecchi anni di gavetta nei bar e disco pub della città, mi è stato proposto di diventare Art Director di una delle serate di un club che cambiava gestione, il Babylon (ex Doris) e scelsi il giovedì come serata. Erano gli anni del fermento indie rock e dell’electro e ci siamo buttati a capofitto su questa nuova scena alternativa. Ho sempre avuto dei validissimi collaboratori negli anni, ma ho cercato sempre di tenere il focus sulla mia visione del progetto e soprattutto del futuro fino ad oggi. Da 14 anni tutti i giovedì da settembre a maggio (covid permettendo) non ci siamo mai fermati, per questo probabilmente siamo la serata più longeva d’Europa.
Credi che Firenze abbia aiutato lo sviluppo e il consolidamento della serata?
Si assolutamente. Firenze è una città strana. Ma parecchio strana. Ha quell’atmosfera così mistica, monumentale e imponente, che porta da secoli gli abitanti a creare e fare tante cose all’ombra della sua incantevole bellezza, quasi come se avessimo un senso di vergogna rispetto a tanta meraviglia. Infatti le famose “cantine” o le famose “buche” erano i posti dove ritrovarsi per mangiare, divertirsi e fare feste. Ovvero posti “sottoterra” in pieno centro storico. Penso alla cantina in via dei Bardi dove sono nati i Litfiba o il nostro club sotto piazza della Signoria, dove da dieci anni facciamo il Tropical Animals, il Club21, dove si sono esibiti Franco Battiato, una giovane Patty Pravo e altri mille artisti divenuti poi iconici. Oltre a questa attitudine all’underground e una partecipazione attiva delle persone a quello che succede di nuovo in città, la nostra politica della door selection e le molte e importanti scuole di moda e design che hanno sede in città, ci hanno portato a coniugare sia un pubblico fiorentino, sia studenti fuori sede di queste scuole suddette, sia un pubblico straniero in visita in città … che fosse interessato solo al nostro genere di musica e al nostro modo di intendere il clubbing.
Qual è il vostro pubblico e com’è cambiato in questi anni?
Il nostro pubblico è giovane, direi 21-30 anni, legato molto al genere musicale che proponiamo o al senso di appartenenza che cerchiamo di condividere. Siamo una serata molto Friendly (legata fortemente al movimento LGBTQIA+), non facciamo distinzioni di nessun tipo e da sempre il nostro pubblico è un melting pot che vive serenamente insieme, uniti da un unico, comune denominatore: la Musica. Cerchiamo di regalare a tutti un momento di assoluta libertà in un ambiente safe. Ci teniamo molto a questo. Fino a prima della pandemia il cambio generazionale avveniva con una cadenza di 2/3 anni… ed era molto fluido, non si sentiva il vuoto di una fascia di età che ora si è abbastanza persa. Quella 31-35. Ma parlando con molti colleghi questo range è praticamente sparito in quasi tutte le città nel post pandemia.
Come è cambiato invece il modo di fare clubbing da parte di chi organizza, ovvero quali dinamiche sono cambiate e come? Come si lavora oggi rispetto a quando avete iniziato?
Con l’avvento dei social e del modo di vedere le cose attraverso un “black mirror”, la realtà è stata completamente distorta.
Le skills di un organizzatore si sono moltiplicate per la riuscita di un buon party e non basta solo avere un ottimo soundsystem e un bravo dj dietro una consolle, ma devi dare un immaginario incredibilmente catchy al tuo evento per poter far interessare il pubblico e questo implica molte conoscenze in più rispetto al passato in vari ambiti e tanto tanto studio sociologico. Questo perché la musica (soprattutto la musica da club ed elettronica in generale) è passata in secondo piano negli anni e nelle nuove generazioni è diventata di contorno e soprattutto giornalmente veicolata ed imposta dai social (storie, reel, video, tiktok, ecc), che toglie così con la curiosità ai ragazzi di poter scegliere, di avere la voglia e la necessità di scoprire la musica in tutti i suoi generi e stili, per poi crearsi il proprio “gusto”. E questo è tutto molto triste. Oggi è più complicato, ogni mossa va calcolata, perché ad un promoter non è permesso sbagliare. Solo chi riesce a mantenere un equilibrio tra tutti gli elementi senza esagerare e tenere alta la qualità di tutte le componenti, soprattutto della musica e del sound system, può avere un evento consolidato e duraturo nel tempo.
Si parla di crisi dei club da tempo: l’avvento dei festival, la pandemia, un format ormai logoro rispetto ad altre proposte di intrattenimento, i costi… tu che opinione hai? Cosa c’è di vero e cosa invece no?
La pandemia è stato un duro colpo al mondo del club, ma a parte qualche fascia di età che non potrà rimanere a casa per sempre, il settore è in ripresa perché le persone vogliono uscire e divertirsi. Ma non credo sia un trend che rimarrà in crescita, visto tutto quello che sta succedendo nel mondo, guerra, gas, situazioni politiche, quindi c’è bisogno di molta attenzione su tutte le minime cose. È un lavoro difficilissimo. Ma alla base, come dicevo prima, se non c’è un cambio generazionale della stessa entità e cultura dei precedenti, questa crisi andrà a persistere, perché le nuove generazioni non sono piu attratte dall’affascinante mondo del clubbing.
E perché andrà a persistere?
Per diversi motivi: primo, perché non conoscono questo mondo e non possono conoscerlo fino all’età di 18 anni (e ora i ragazzi a 14/15 sono sveglissimi e cercano, guardano, imitano dove possono… a 18 sembra quasi che si esauriscano già); secondo, perché non è accattivante come nel passato e pochissimi promoter rischiano, preferiscono stare nella comfort zone e il prodotto nel tempo diventa obsoleto; terzo, perché vengono bombardati da musica trap, rap, commerciale e canzoni di dubbio genere, che diventano famose per dei video di influencers di turno su i social e non per la canzone in sé per sé (quella canzone la ricordiamo perché collegata al reel o al balletto, non perché piace, dato che i giovani di oggi non sono formati per avere un gusto e per poter prendere delle decisioni). Il puro ascolto musicale è diventato desueto e non è più “un momento” nella singola vita dell’individuo. L’ascolto musicale è sempre accompagnato da altre azioni. E negli anni e con l’avvento delle tecnologie, la cosa è andata completamente a sparire.
Quale può essere l’antidoto alla crisi dei club?
Fare cultura e accendere la curiosità! Dentro e fuori dal club. Credo che anche nelle scuole si dovrebbe re-inserire la materia “Musica”. La storia della musica soprattutto. Heinlein diceva che Una generazione che ignora la storia non ha passato… né futuro. E credo proprio sia così.
Che rapporto hai con il guest, o meglio con l’idea del guest come “traino” della serata? Quanto è importante da zero a cento per cento?
Ho sempre cercato di non essere “schiavo del guest”, come tante realtà hanno fatto negli anni e poi si sono legate indissolubilmente alla presenza di questo. Noi facendo un continuativo in un piccolo club per poche persone di giovedì e con l’alta qualità dei resident djs (Mystic Valley, Gaiden, Teo Naddi, e la new entry Inopia), che ci sia il guest o senza il guest i nostri clienti vengono lo stesso e facciamo quasi sempre sold out. Da quest’anno ho ideato insieme al club 21 “La Macelleria” una piccolissima seconda sala, dove ospitiamo artisti da tutta Italia, che propongono stili di musica completamente lontani l’uno dall’altro e soprattutto diversi dalla main room. Dall’EBM alla New wave passando per la downtempo. E personalmente mi sta dando un sacco di soddisfazione, perché i nostri vecchi e nuovi clienti apprezzano veramente molto la ricerca che facciamo e sono entusiasti di ascoltare qualcosa di diverso ogni giovedì. Il guest è la ciliegina sulla torta e ce lo concediamo come regalo per noi e per i nostri fedelissimi clubbers. Come giovedì 15 dicembre, quando ospiteremo nella nostra versione deluxe John Talabot!
Sei anche producer: questa attività è nata dopo il consolidamento di Tropical Animals nel corso del tempo. Mi racconti di questo tuo lato “di giorno”?
Organizzando Tropical e mettendo i dischi spesso in giro, ho sentito il bisogno di esprimermi con le mie personali emozioni attraverso la musica. E dopo un paio di anni di dedizione, acquisto strumentazione, studio (tanto tanto), ho fatto la mia prima release nel 2013 in questa, all’epoca sconosciuta, etichetta berlinese che si chiama Toy Tonics. Da lì in poi ho continuato a produrre uscendo su varie etichette, cambiando mille stili e generi tra cui anche la nostra, Tropical Animals Records. Nei prossimi mesi ho una bella uscita su etichetta che amo moltissimo e seguo da sempre che è Permanent Vacation e tante altre cose si stanno muovendo.
Parliamo di futuro: cosa avete in serbo per il 2023 e come ti immagini Tropical Animals nelle prossime stagioni?
Nel 2023 abbiamo grosse sorprese. Arriveranno nomi importanti nel nostro piccolo club e giovani upcomers di estremo talento, come abbiamo sempre fatto in 14 anni con l’entusiasmo di portare in città situazioni nuove e far ascoltare sempre sound e tendenze nuove. Credo che Tropical continuerà ad essere un aggregatore sociale importante per la città. Credo che la voglia di crescere ed espandersi ci sia e abbiamo anche dopo quasi 15 anni ancora tanta voglia di migliorare dalle piccole alle grandi cose. C’è molto da lavorare e il mio staff è estremamente motivato e motivante e sono felicissimo della crew di questa stagione che lavora insieme a me, sono fortissimi e mi danno l’entusiasmo giusto per continuare con la perseveranza di sempre. Si perchè noi abbiamo ancora i PR, non abbiamo mai abbandonato le pubbliche relazioni offline e ne siamo estremamente fieri. Vuoi mettere una ragazza o un ragazzo che ti invita ad una festa guardandoti negli occhi, rispetto ad uno storia o ad un evento su fb?
Ultima, inevitabile domanda: da dove arriva il nome Tropical Animals?
Ahaha. Molti anni fa ho vissuto a Roma per un periodo breve della mia vita, mettendo i dischi sia lì che a Firenze. Un giorno la nuova proprietà del Babylon mi disse di inventarmi un nuovo format ed ero alla ricerca del nome. Mi trovavo una mattina facendo una passeggiata per Roma e fermandomi a prendere un caffe al Sant’Eustachio, seduto fuori mentre lo sorseggiavo, alzai la testa e vidi al posto del classico pinnacolo che ogni chiesa ha, una scultura di una testa di cervo con una croce sopra. Mi documentai perché ne rimasi affascinato e scopri che sant’ Eustachio durante una battuta di caccia, ebbe un’apparizione di Gesù sulla testa di questo bellissimo cervo, che gli disse che non doveva più uccidere gli animali perché sarebbe diventato il protettore di quest’ultimi. Animals è stata la prima parola. Tropical perché gli animali tropicali sono quelli più colorati ed impressionanti al mondo per la loro bellezza e unicità. Quindi unendo le cose… “suonava” molto bene!
15.12.2022