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Durante gli ultimi giorni delle vacanze natalizie (“vacanze”…) stavo mettendomi al passo con le mail lasciate indietro, e leggo quella di Beat Machine, etichetta milanese di cui ci siamo occupati nei mesi passati e che ha catturato la mia attenzione con la qualità delle sue uscite e per l’attenzione a ciò che è “nuovo”, fresco, a ciò che lascia presagire paesaggi inediti nella musica elettronica. I ragazzi mi allegano la loro prossima release, l’ep di Ty Steez, musicista e produttore statunitense, californiano d’adozione (vive a LA) che fin dal primo ascolto mi rapisce. Difficile definire il suo stile, c’è della house, dell’indie, un gusto molto esotico per le percussioni e per la melodia, un gusto onirico e delicato, ma ritmicamente deciso. Il tiolo è “Windows”, cinque tracce, tutte diverse l’una dall’altra per stile e struttura, tanto che è arduo scegliere la più significativa. Se “Do you (ovrdos)” con la voce di Tessa Evans mi incanta, “9.47 PST” fa venire voglia di ballare, “Above the clouds” di sognare, “Santa Monica and overcast” e “Windows” fanno pensare a una di quelle giornate estive in California, oppure in Puglia, perché no? Tanto c’è pure un remix di Populous a portarci dritti nel Salento, giusto per non farci mancare nulla.
“Santa Monica and overcast” e il documentario in esclusiva
Torniamo alla mail: rispondo subito, entusiasta della proposta. Visto che l’ep non è ancora fuori, decidiamo di lanciarlo con un’anteprima esclusiva proprio per DJ Mag (non dite che non vi vogliamo bene!), della traccia “Santa Monica and overcast” (in cime al post) e un documentario sulla lavorazione dei pezzi. Inoltre, qui di seguito potete leggere l’intervista a Ty, che vi consiglio perché davvero gustosa e interessante.
Ty ha nel suo curriculum diverse esperienze in grandi studi, dove si è trovato a lavorare all’album “Gravity” di Lecrae, che si è poi aggiudicato nientemeno che un Grammy Award. Mi ha molto incuriosito il suo approccio alla musica, fresco, giocoso e divertito. Mi incuriosisce anche il fatto che un artista che vive a Los Angeles, città dall’industria discografica tra le più importanti del pianeta, con tutta la galassia di etichette ed editori annessi, decida di uscire con un’etichetta italiana. Beat Machine in questi mesi ci ha abituati bene, va sottolineato, le sue uscite sono di sempre alta qualità e c’è un filo conduttore nel mood e nello stile delle release; ma si tratta comunque di una piccola realtà, oltretutto situata dall’altra parte del mondo (sì, il web annulla le distanze, ma resta un fatto un po’ anomalo). Com’è che l’Europa appare così cool agli americani?
La tua carriera di musicista è iniziata un bel po’ di tempo fa, e sei stato coinvolto molti progetti, a diversi livelli e con diversi ruoli. Coma ha avuto inizio il tuo rapporto con la musica e quando si è trasformato in un vero e proprio lavoro?
Mi sono sempre interessato alla musica, ma non in modo serio. Penso che il punto di svolta sia stato quando iniziai a giocare a baseball al college; in quel periodo ho cominciato a prenderla più seriamente, mi sono ammalato di musica, potremmo dire. Ho smesso di presentarmi agli allenamenti, di andare a scuola, passavo tutto il mio tempo totalmente devoto alla musica. Nel 2008 mi sono poi trasferito a Los Angeles, e il resto, come si dice, è storia.
Come ci si sente a lavorare nei grossi studi, partecipando a lavori in cui si è parte di un ingranaggio molto grande e strutturato, in termini sia economici che di persone coinvolte?
Riuscire a guadagnarsi da vivere con la musica è una benedizione del cielo, perché molte persone non hanno questa opportunità. Essere associato a un lavoro che si è aggiudicato un Grammy è un grande onore, e sono grato a tutte le persone e le situazioni che lo hanno reso possibile. Per conto mio preferisco gli studi piccoli, spazi più intimi dove si crea un feeling con l’ambiente circostante. Uno scantinato, una stanza, un soggiorno. Mi sento più a mio agio. Mi piace invece spostarmi in uno studio grande e dotato per il mix dei brani.
Le tue esperienze professionali fanno la differenza quando si tratta di approcciare la scrittura e la produzione dei tuoi brani?
Sono molto duro con me stesso, sono il mio critico più severo. Quando lavoro a brani di altri artisti ascolto le loro esigenze e cerco di soddisfarle mettendo la mia professionalità al loro servizio. Lavorare a cose mie mi permette di concentrarmi sulla parte creativa di composizione, perciò esploro idee che normalmente non ho possiblità di esprimere in un lavoro per terzi, a meno che non stia collaborando con qualcuno che ha veramente voglia di spingere i limiti.

La tua bio dice che sei un polistrumentista, oltre che il produttore della tua musica. Cos’è arrivato prima? Come si è sviluppata questa passione e quali sono state le tue influenze inziali?
In realtà suono parecchi strumenti ma tutti in modo mediocre, quando ho bisogno che qualcosa sia suonato davvero come si deve chiamo il mio buon amico e partner Phill “Aphillyated” Guillory, un vero genio delle tastiere! La produzione è arrivata prima, ho sempre voluto avere il controllo di quella fase creativa; poi ho iniziato a prendere in mano diversi strumenti, perchè vedevo i musicisti che amavo, come Prince, Stevie Wonder, che sono dei fenomeni, e volevo ispirarmi a loro.
Stai per pubblicare il tuo ep di debutto, e lo fai con una label italiana, Beat Machine. Apprezzo questi ragazzi perchè sono molto attenti a tutto ciò che di nuovo appare sulla scena, hanno un ottimo gusto quando si tratta di cose che hanno il sapore della novità. Come vi siete scoperti, come li hai scelti (o ti hanno scelto)?
Sono stati loro a scovarmi su Soundcloud, mi hanno proposto di lavorare a un progetto per l’etichetta; così sono andato a sentire il loro catalogo e sono stato entusiasta. Sono diversi, creativi, freschi. E’ stata facile decidere di pubblicare il disco con loro.
La California sembra essere il centro dell’univero per quanto riguarda la musica, negli ultimi anni, soprattutto in ambito elettronico. Come ci si sente a vivere e lavorare laggiù?
E’ grandioso, perchè ci sono moltissime opportunità ovunque. Da qualsiasi parte ti giri trovi persone eccezionali con cui vorresti lavorare, e questo influisce molto sulla voglia di migliorarsi, di lavorare sodo, è stimolante perchè è una continua “gara” al rialzo. Soprattutto a LA. E’ un posto fantastico perchè tutti sanno ciò che vogliono fare e lo sanno fare. Inoltre il clima è imbattibile!
L’altra faccia della medaglia è che stai lavorando con un’etichetta italiana: come vedi la situazione europea e italiana in particolare?
Ti posso parlare della sensazione personale legata alla mia musica, che ha un appeal internazionale e funziona bene anche fuori dagli USA. Oltreoceano c’è molta apertura mentale, in Europa trovo ci sia una curiosità innata verso le novità, senza l’esigenza di classificarle a tutti i costi. Gli europei capiscono che la musica non deve per forza avere sempre lo stesso feeling e la stessa velocità, ed è proprio così che andrebbe ascoltata e apprezzata.
Il tuo “Windows” Ep mostra molti stili differenti, da una spescie di house a beat vicini all’hip hop e groove urban, fino a una sorta di “cantautorato contemporaneo”. Pensi sia importante, oggigiorno, poter dire di appartenere a un genere ben definito? Se penso anche solo a dieci, quindici anni fa, oggi mi sembra che tutto si compenetri, tutte le carte siano mischiate.
Penso che la musica oggi sia molto più “accessibile”, che ci siano molte meno barriere. Oggi puoi ascoltare Flying Lotus e subito dopo DJ Mustard, decisamente meno complesso ma altrettanto valido per altri aspetti. E’ una buona cosa, credo, è un buon modo di intendere la musica, perchè permette un approccio aperto a molti stili diversi.
Visto che sei sia musicista che producer, qual è la tua attitudine quando si tratta di portare i tuoi pezzi dal vivo? Sei più orientato a un live con le macchine o a un classico concerto con la band? O a mettere insieme le due cose?
Penso che sia il massimo quando si possano mischiare i due aspetti, perchè non è facile metterli nello stesso set up. Un live elettronico è affascinante perchè ti permette di avere il controllo di tutta la situazione, ma rishcia di essere freddo e asettico; d’altra parte, quando hai una band che il tiro dei vecchi gruppi Motown, hai qualcosa di impareggiabile!
Ma tu sei mai stato in Italia?
Onestamente no! Ma sono sicuro che capiterà presto l’occasione, che sia per questioni di musica o per una vacanza.
22.01.2015