Si è appena conclusa l’edizione 2019 di Ultra Music Festival a Miami. Un’edizione molto particolare, già da prima che si accendessero le luci sul mainstage. Per il cambio forzato di location, perché è un’edizione che per superare quella dello scorso anno, con la storica reunion degli Swedish House Mafia, avrebbe dovuto fare un miracolo, e per tanti fattori concomitanti che hanno gettato un grande punto interrogativo sull’evento. Ultra Miami è uno dei momenti più importanti dell’anno nel mondo della dance, nell’industria, come va di moda chiamare oggi questo nostro grande mondo, mutuando il termine da quel music industry che suona così naturale in bocca a un americano e suona invece goffo in italiano. Un mondo che un tempo definivamo semmai un movimento, qualcosa dall’accezione più culturale che economica. Ma che oggi è inevitabilmente legato allo spettacolo e all’enorme fiume di denaro che fa girare gli ingranaggi di un sistema così complesso. E allora com’è andato Ultra Music Festival 2019?

Sulla carta, bene, il Virginia Key era strapieno di ragazze e ragazzi da tutto il mondo, i dj superstar hanno fatto come sempre la loro parte, luci e visual sono stati di altissimo livello, come al solito. Ma forse proprio qui sta il problema. Come-al-solito è già troppo poco per un festival che negli anni ha alzato costantemente l’asticella dello show, contribuendo a fissare standard molto elevati in termini di nomi, impianto scenografico, ospiti. Se negli ultimi dieci anni l’intrattenimento legato ai dj si è radicalmente trasformato, è grazie a realtà come Ultra, Tomorrowland, ai nuovi superclub di Ibiza, che hanno costretto tutti ad inseguirne le modalità e i meccanismi. Eppure quest’anno si è avuta la sensazione che questa corsa si sia, se non arrestata, quantomeno parecchio rallentata. Non per il cambio location, o per i problemi logistici che hanno accompagnato il festival, dalle navette all’incendio che ha causato la restrizione sull’utilizzo dei fuochi d’artificio. Questi sono eventi accidentali , sfortune che possono capitare anche nelle situazioni meglio gestite. Non sempre fila tutto liscio, gli imprevisti sono da mettere in conto e i social li ingigantiscono in un gioco scemo e spietato, che va spesso al di là del semplice biasimo o malcontento.
No, il vero motivo per cui Ultra Music Festival sembra essere lo specchio di un momento stagnante nel mondo dei festival e delle grandi produzioni live, è l’assenza di momenti davvero significativi. In passato abbiamo visto Madonna benedire Avicii con la sua presenza; Diplo e Skrillex presentare il micidiale live di Jack Ü con una marea di ospiti; Steve Angello, Axwell e Sebastian Ingrosso riuniti sotto la bandiera della Swedish House Mafia. Insomma, abbiamo visto la dance andare oltre i propri confini, su quel palco. Mentre quest’anno abbiamo visto un dj vestito con il costume del colonello Sanders, l’icona del marchio di fast food KFC, quello del pollo fritto, andare sul mainstage per un set di qualche minuto che di fatto era un gigantesco spot dell’azienda. Una cosa buffa, surreale, e davvero di bassissimo profilo, non tanto per la pubblicità in sè ma per la pochissima dignità che un fatto del genere getta sul mondo dei dj, in un contesto dove oltretutto i dj sono le star. Forse sarebbe bastato non segnalare lo slot in cartellone (in fondo si trattava di cinque minuti) per dare la giusta prospettiva a un cambio palco curioso, senza dargli l’ufficialità del set. Ancora più sciatto è stato il live di Tom Morello: chitarrista e colonna dei Rage Against The Machine nei suoi anni d’oro (e poi di Audioslave, collaborazioni con Bruce Springsteeen, insomma uno che non ha certo bisogno di presentazioni), abbiamo visto nel suo concerto un ibridio rock/dubstep né carne né pesce, assolutamente fuori luogo, sia dal punto di vista strettamente musicale, sia visivo, su un palco che era decisamente quello sbagliato per uno show del genere.
Da queste parti abbiamo più volte tessuto le lodi dei grandi festival, abbiamo parlato di Ultra come uno dei pilastri del modo in cui la dance culture si è evoluta e siamo felici di portare avanti con entusiasmo una visione ottimistica dei cambiamenti che hanno portato la musica suonata dai dj alle grandi platee, non soltanto confinata a circoli più o meno ristretti di appassionati. È chiaro che quando succede, emergono punti di vista differenti, ci sono scissioni, fazioni, c’è chi vorrebbe che tutto restasse come un tempo e chi sottolinea come a farla da padrone siano ormai i grandi player del settore: promoter potenti, agenzie di booking, dj che impostano strategie di comunicazione efficaci a fronte di una sana e viscerale ricerca musicale. Ci sono i puristi e i puritani (che spesso, abbiamo notato, sono rimasti tali finché non è arrivato un contratto importante a portarli laddove non si sarebbero sognati di andare). Ma così come siamo stati ottimisti, siamo perplessi in questo momento. E siamo sinceri: l’ondata EDM era perfetta per sostenere i grandi palchi, mentre oggi – techno a parte – non esiste un genere dominante con una forza e un immaginario tali da sostenere questa sfida. Molti dj sembrano ripetere all’infinito gli stessi cliché, musicali e coreografici.
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MADRE MIA LO QUE VIVÍ AYER NO SE ME OLVIDARÁ JAMÁS Gracias de ❤️Argentina 🇦🇷✨@lollapalooza
Gli anni ’10 sono stati l’incubatore di trasformazioni che hanno accelerato tutto, e il rovescio della medaglia è stato il superamento del clubbing tradizionale, che non sembra essere più un’esperienza entusiasmante per molti tra le giovani generazioni, ed è paradossale in un momento storico in cui invece la figura del dj è estremamente di moda. Ma è anche l’invecchiamento precoce del format-festival, o perlomeno nel rischio di invecchiamento precoce per come abbiamo imparato a conoscerlo in questi anni. Sia chiaro, lo spettacolo che ha offerto Ultra Music Festival in questo weekend è stato come sempre enorme, opulento, sfarzoso, con punte davvero notevoli come la première mondiale del nuovo cube 3.0 di deadmau5. Ma in mezzo a tanta bellezza, si percepiva, vista dal di fuori, una sensazione di standard, di normalità, accentuata forse proprio da episodi come il set del colonnello Sanders, dal live di Tom Morello, o dai tanti riempitivi pomeridiani da mainstage, prima dei grandi nomi. Qualcosa sta cambiando, e se un ritorno al passato pare francamente improbabile, di sicuro il futuro dovrà fare i conti con nuove prospettive. È cambiata la musica: c’è l’onda urban, reggaeton e dintorni, trend dominante delle ultime stagioni, che forse si proporrà con sempre più peso nelle line up dei grandi eventi. Ma come? Con i dj set o con i live dei grandi protagonisti del genere? Vedremo i festival dance convergere verso soluzioni crossover con live e cantanti, come già successo a Tomorrowland e come è successo invece, in senso inverso, negli ultimi anni, con i dj che hanno invaso i festival rock e pop? Il mondo latino ci mette poi davanti a uno scenario sempre più globale, in cui il peso specifico di suoni e zone del mondo che vedevamo subalterni si stanno prendendo il posto più rilevante. Le immagini di Loolapalooza Buenos Aires di questo weekend sono eloquenti, in materia. Il video di Rosalìa qui sopra lo dimostra. Senza contare che sta arrivando anche un’onda asiatica sempre più importante, dal pop ai dj. Gli anni ’10 hanno accelerato tutto. Pensiamo agli anni ’20…
01.04.2019