• MARTEDì 06 GIUGNO 2023
Storie

Una cosa su Claudio Coccoluto

Il racconto di una serata memorabile iniziata con un disco improbabile, sufficiente a far capire la grandezza di Claudio Coccoluto

Estate 2003. Sono a Bassano Del Grappa, cittadina dove ha sede una delle più importanti aziende del mondo della moda: la Diesel. Infatti, sono lì perché un’amica mi ha chiesto di accompagnarla alla mega festa che Renzo Rosso ha organizzato per i 25 anni del marchio. Nel parco della città è prevista una giornata intera di eventi che culmineranno con dei concerti. Di alto livello, roba da festival: si esibisce Moby, a quel tempo all’apice del successo, e già nel trip di fare il cantante e il chitarrista e con band al seguito. Per sua sfortuna, e per nostra fortuna, prima di lui c’è il Collettivo Soleluna, una sorta di superband con musicisti di mezzo mondo messa in piedi da Jovanotti, e dopo di lui, in chiusura, c’è un dj set di Claudio Coccoluto.

Inutile dire che il Collettivo Soleluna è un uragano colorato e divertentissimo che non fa prigionieri, e si balla. Inutile dire che il Moby versione frontman non è esattamente memorabile. E quindi, è lecito a questo punto aspettarsi dal Cocco un set morbido, che accompagni tutti a casa o in hotel felici e giocondi dopo la splendida giornata. A dirla tutta, nella mia testa di ventenne che vuole fare il dj e che sta muovendo i primi passi come dj nelle consolle dei club, credo di conoscere bene cosa si dovrebbe fare, e di conoscere il sound di quel dj che ho già ascoltato qualche volta suonare, e immagino appunto una house morbida e scura, poco adatta a proseguire il discorso rock da mainstage di Moby. Ed è qui che ho capito invece tantissime cose sul significato più profondo dell’essere un dj. Un grande dj. Coccoluto apre il suo set con una hit. Una cosa che non immaginavo potesse essere nella sua borsa, ma che indubbiamente, inequivocabilmente, è la traccia perfetta per tenere tutti incollati sotto il palco e dare altra benzina alla festa: ‘Hey Boy Hey Girl’ dei Chemical Brothers.

Chi è il bravo dj? Quello che ti fa ballare con pezzi che forse conosci, forse no, ma ti fa sembrare la musica, in quella precisa sequenza di brani, qualcosa di assolutamente irresistibile. Coccoluto ha analizzato la situazione come un chirurgo, ha scansionato l’aria, il palco, i cuori di tutti noi lì, e ha messo il pezzo giusto. Perfetto. Un dj, rispetto a un cantante o a una band, ha il privilegio di poter suonare non i propri pezzi, ma tutti i pezzi del mondo, perché chi va a sentirlo non vuole sentire quelle canzoni, ma delle belle canzoni, quali non importa. Quella sera Claudio riuscì a far ballare tutti per ore. Ma questo è scontato. Quello che importa sottolineare è che riuscì a farlo senza tradire il suo stile, pur davanti a un pubblico eterogeneo, estremamente trasversale nei gusti, e iniziando con un brano non proprio “da Coccoluto” ma comunque perfettamente credibile, di grande gusto, stiloso, figo. Un successo pop di qualche anno prima eppure fresco, adeguato, da stadio ma non sbracato. In un disco, tutta l’essenza del suo essere un dj gigantesco.

Ovviamente non è tutto qui. Coccoluto è mitologia, lo era già a metà anni ’90, quando i dj erano per noi ragazzini dei nomi leggendari sui flyer o i protagonisti dei racconti dei clubber più grandi, appassionati veri che a quel tempo si facevano centinaia di chilometri per andare a sentire un dj. E altrettanto lo erano i dischi misteriosi, i “white label”, suonati dai dj più cool. Ma il passaparola, oggi come allora, è la migliore delle pubblicità, e il nome di Cocco era sempre sulla bocca di chi viveva questo mondo ancora un po’ carbonaro, per quanto già popolarissimo, come quello del dj-da-ascoltare. E poi colpiva il modo così rilassato, da anti-star, di questo personaggio già così importante da suonare a Ibiza, al Ministry Of Sound, a New York, e però capace di dire serenamente, alla radio, cose come “il grande dj internazionale dove sta? Parigi? Miami? Londra? In realtà, sto dipingendo la staccionata di casa mia…”, con quell’auto-ironia capace di disinnescare le derive divistiche poi diventate pane quotidiano dello star system della consolle. Lui che lo era, un divo, e non se ne risparmiava certi vezzi (i suoi ritardi cronici sono diventati leggendari quando “bucò” di qualche ora la prima diretta del suo programma a Radio Deejay, attesissima).

Il mondo è cambiato, i dj in tanti casi sono diventati effettivamente come cantanti o band, li si va sentire (e vedere) proprio per ascoltare quei pezzi, e non per farsi sorprendere da una selezione sempre nuova, sempre diversa e mai banale. Ma questo non ha cambiato l’approccio di Coccoluto al suo lavoro, anzi l’ha portato ad accanirsi con ancora più forza ai suoi valori: alla passione instancabile per la ricerca; al vinile come mezzo di espressione e come simbolo di un certo modo di intendere il djing; e anche alle numerose discussioni, e talvolta polemiche, perché no, in merito a cosa fosse diventato il mondo dei dj. Discussioni anche accese, in qualche occasione addirittura feroci. Non è sempre necessario essere concordi. È necessario invece scontrarsi, confrontarsi, perché solo dal confronto nascono nuove idee e magari si cambiano opinioni. Quella che non è cambiata, invece, è la grandezza di Claudio, che ha saputo diventare popstar, ospite dei salotti televisivi pur senza perdere il suo approccio al mestiere del dj. Ed essere fino all’ultimo portavoce della categoria, un portavoce intelligente e autorevole.

È stato certamente uno dei più grandi dj di tutti i tempi, di tutto il mondo. Superstar dj, here we go!

 

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Albi Scotti
Giornalista di DJ Mag Italia e responsabile dei contenuti web della rivista. DJ. Speaker e autore radiofonico.

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