Una notte al museo: non è solo il titolo di una classica commedia con Ben Stiller, ma una bella realtà. È il momento in cui nerd e collezionisti, appassionati e tecnici, vicini al mondo dei sintetizzatori, si ritrovano per ammirare, contemplare, provare, analizzare hardware musicale il più vintage possibile. Il mondo è pieno di adepti e si sta popolando anche di luoghi in cui questi si possono ritrovare, un po’ come in un infinito pellegrinaggio e un po’ come risposta a tutti coloro che, tra artisti, musicisti e produttori, hanno ormai virato verso lidi abitati da software ed emulatori. Una mano sul cuore, quando si parla di certi synth, e un ghigno sarcastico volto a chi vive di soli plug-in. Con la promessa che la prima gita fuori porta che faremo la riserveremo a un museo. Magari dedicato ai synth.
Affitta il suo spazio anche per appuntamenti e visite privati il Vintage Synth Museum di Oakland, negli Stati Uniti, che compie otto anni. Tra tastiere e generatori è il luogo perfetto dove sbirciare rarità, accarezzare fianchetti di legno, scattare foto, suonare, registrare e porre domande ai proprietari. Con circa 40 dollari, poco meno di 40 euro, si entra in una full immersion interattiva e utile soprattutto a chi non possiede certi pezzi ma li vorrebbe presenti nella propria produzione musicale (uno studio di registrazione è presente in loco, sempre pronto all’uso).
La figlia di Robert Moog, Michelle Moog-Koussa, è la direttrice esecutiva del Moogseum, una struttura aperta l’anno scorso ad Asheville, North Carolina, sempre negli Stati Uniti. Si tratta di una vetrina che cela 130 metri quadri coperti dall’archivio personali del padre. Aperto sotto gli auspici della Bob Moog Foundation, è destinato a diventare una risorsa educativa, storica e culturale per la regione e anche per il resto del mondo della musica elettronica. Vi si tengono mostre su Léon Theremin, ci si immerge nella teoria secondo cui l’‘Elettricità diventa Suono’, si ha l’occasione di capire il processo di creazione da un banco da lavoro della Moog e si comprendere la tecnica e lo studio di prototipi di sintetizzatori modulari anni ’60, senza mai tralasciare le basi della sintesi sonora.
In Italia, un gruppo di amici, musicisti e collezionisti, come Museo del Synth Marchigiano, attraverso la musica, si propone di contribuire alla diffusione della storia, dei volti e delle competenze che hanno dato e continuano a dar lustro alla regione sotto un profilo culturale e imprenditoriale. Il gruppo, già consolidato da numerose collaborazioni (tra cui festival come Acusmatiq, numerosi workshop e seminari sulle tecnologie musicali, performance live dimostrative locali), è attivo come non mai. Tra l’altro a Castelfidardo, in provincia di Ancona, dalla Elka nacque l’iconico Synthex, mica noccioline. Intensa è anche l’attività di Synth Cafe, gruppo online che non perde occasione per trovarsi a discutere di ciò che l’industria ha immesso e immette oggi sul mercato. Sono le attività, queste, anche di Francesco Mulassano, ideatore della fiera torinese dedicata, Soundmit, nata sulle ceneri di Synth Meeting.
Tutto nasce così, da incontri come nei moti carbonari e poi si espande in fiere e permanenti, addirittura in musei. Lo Studio di fonologia del 1955 della sede Rai di Milano è oggi ospitato presso il Museo degli Strumenti Musicali al Castello Sforzesco, proprio nel capoluogo lombardo. C’è la possibilità, per privati e scolaresche, di visitarlo e ammirare ciò che Alfredo Lietti, a opera dei musicisti Berio e Maderna, realizzò dopo la fine della Seconda Guerra mondiale: 10 oscillatori per la creazione della primissima musica elettronica e la messa in onda radiofonica. Nella sala sono esposte varie apparecchiature per la generazione del suono, la trasformazione e la combinazione, oltre che per la registrazione e la produzione.
Un salto in Svizzera (tedesca) è doveroso e se si evita il modesto Synthorama Museum für Synthesizer di Luterbach, nel Canton Soletta, nel distretto di Wasseramt, si può deviare in direzione Blue Factory, a Friburgo, dove è ubicato SMEM: trattasi del Swiss Museum & Center for Electronic Music Instruments, che detiene la più grande collezione al mondo di synth e di apparati elettronici da studio. L’organizzazione no profit possiede 1000 sintetizzatori e 5000 altri strumenti tra effetti, drum machine, campionatori e altri oggetti, alcuni dei quali anche poco conosciuti, a coprire circa 70 anni di storia musicale.
La prima pietra di questo progetto è stata posta dall’incredibile collezione di Klemens Niklaus Trenkle che negli ultimi 35 anni ha raccolto numerosi e preziosi sintetizzatori, organi, tastiere, effetti e strumenti da studio. La visita alla collezione dura circa un’ora e il restante tempo può essere speso nella Playroom, uno spazio con circa 30 strumenti disponibili alla prova (per un massimo di 8 persone alla volta). Il museo è una pacchia per i feticisti: ha gadget come t-shirt, vinili e synth DIY acquistabili sul posto.
In rete un archivio che contiene oltre 60mila strumenti da collezione: è quello relativo al progetto chiamato Musical Instrument Museums Online, che vanta un’intera sezione dedicata ai synth rari, abbastanza nutrita da rendere qualsiasi techno e tech dipendente e debole di cuore, fuori di testa. Gli elementi di nota includono una console fatta dalla EMI, un prototipo di una drum machine degli anni ’70, un modulare degli anni ’60 di Moog e un organo Univox. Purtroppo, è improbabile che qualcuno sia in grado di usarne qualcuna per sfruttarla per realizzare dei tutorial. Certo ci sono kit come il modello analogico IK Multimedia venduto a meno di 200 sterline (circa 300 euro), per non parlare del classico Roland a Pedale TC al prezzo di 99 sterline (150 euro9. L’archivio digitale non si ferma nemmeno alle tastiere e simili. Ospita dettagli di oltre 60mila strumenti provenienti da collezioni ospitate in istituti europei e africani.
Tutto questo va oltre il Design Museum di Londra, il museo contemporaneo leader a livello mondiale che con la mostra intitolata Electronic, Coronavirus permettendo, dal primo aprile al 26 luglio prossimi punterà sulla cultura internazionale dei club approfondendo la storia delle piste da ballo di Detroit, Parigi, Chicago, Berlino e Regno Unito. L’elettronica è destinata a diventare un’esperienza multisensoriale coinvolgente e presenterà opere di artisti come Jeff Mills ed Ellen Allien, insieme a una esposizione di synth e a pezzi unici di fotografi e designer.
30.03.2020