Sabato sera, dopo essermi appuntato una delle canzoni più acclamate dal pubblico e cioè “Volevo un gatto nero” (feat. Gigi Barocco), remix/cover della hit dello Zecchino d’Oro del 1969, ho realizzato che Sir Bob Cornelius Rifo da Bassano del Grappa è un fottuto genio.

Arrivato a Milano in versione SBCR dj set, Bob è in Italia per la solita decompressione di fine anno. Da Los Angeles si è trasferito a Torino anche se parlare di “casa” per lui rimane sempre molto difficile mi confessa backstage. Colpa, anzi merito, di un profilo internazionale che lo ha reso uno degli act più interessanti e seguiti in ogni parte del mondo, dalla California che lo ha formato fino all’Australia che lo ha adottato e eletto idolo delle masse. A gennaio ripartirà proprio da laggiù con un concept nuovo a partire dalla maschera sicuramente ripensata e ridisegnata.

Ieri sera intanto SBCR ha regalato ai suoi fan milanesi un’ora e trenta di adrenalina pura. Il dj set è electro-noise di classe ammorbidito da un pò di “gomma” nel mezzo tra Jauz, Skrillex, molti Knife Party (Bob+Pendulum+Australia is a perfect combination of elements). Cita Deadmau5 (“Strobe”), l’hip hop (con The Game) fino a “New dorp. New York” di SBTRKT (la mia preferita).

La produzione è minimale. Bob è molto fisico. Non ha bisogno di dopare la scena, a quello pensa lui. Parla (in inglese), salta, interagisce con il pubblico, canta. In una parola: intrattiene, caratteristica imprescindibile per un artista elettronico contemporaneo.

Chiudendo gli occhi hai la sensazione che Bob sia sprecato dietro due CDJ che maneggia con fin troppa facilità e autorevolezza. Mi aspettavo un pubblico (tanto, non tantissimo) più ricettivo in alcuni passaggi forse un pò troppo “americani” per il gusto nazional-popolare ma va bene così, son dettagli. Il problema siamo noi non loro. Gli americani intendo.
Viva SBCR. Viva The Bloody Beetroots. Viva Bob.
Foto: Bruno Garreffa
07.12.2015