Correva l’anno 2004 quando nel corso di una sfilata di Versace apparve Keith Flint, il compianto frontman dei Prodigy, armato di microfono per presentare alcuni inediti dell’album ‘Always Outnumbered, Never Outgunned’ in uscita l’estate dello stesso anno. L’esibizione provocatoria costò a Flint aspre critiche della stampa che lo definì volgare, fuori luogo e reo di aver mimato un rapporto orale con alcuni degli spettatori durante il concerto improvvisato. Se ne parlò molto e come tutte le operazioni pubblicitarie lo scopo sembrava essere stato raggiunto a pieni voti, cementando ulteriormente l’immagine di perenne trasgressore che Keith aveva costruito attorno a sé.
Sono passati quasi 15 anni da quel giorno e sappiamo tutti come la storia sia andata a finire. Flint ci ha lasciati lo scorso marzo ad Essex ed attorno alla sua figura si è generato il vuoto incolmabile di chi è consapevole di aver perso un grande protagonista, a suo modo uno degli ultimi veri punk di un mondo dove anche la trasgressione oramai ha delle regole precise a cui attenersi. E se tutto oramai è catalogato e catalogabile, se anche il nostro lato più intimo e rivoluzionario non è più spontaneo come dobbiamo tributare la scomparsa di una persona a noi, artisticamente, cara?

Donatella Versace, memore di quella apparizione, ha deciso di dedicare al cantante britannico tre outfit della sua collezione primavera/estate 2020. Il taglio di capelli eccentrico e vero marchio di fabbrica di Flint si mescola a colori sgargianti tipici della rave culture dei primi anni ’90, effetto della colossale sbornia post summer of love del 1989. La stilista commenta con un laconico: “Flint era mio amico ed era un disturbatore di questo mondo e della sua società“. Ma in un momento storico dove la rave culture è stata declinata al sistema, secondo le sue esigenze di mercato e dove i dj sono diventati rockstar da porre al centro dell’attenzione e da celebrare più della musica stessa, Flint come avrebbe reagito? L’antisistemico che diventa non solo parte ma anche icona dell’immaginario che voleva distruggere, o quantomeno criticare. Forse lo stesso Keith non avrebbe saputo che posizione prendere in tutto questo o, più semplicemente, avrebbe mandato noi e le nostre riflessioni a quel paese. E a noi, con il senno di poi, sarebbe stato bene così.
27.06.2019