Quello di Whitemary è un progetto molto interessante: una musicista che da una storia inserita negli studi al conservatorio e nel canto jazz approda con curiosità alla musica elettronica. Il suo ultimo brano ‘Credo Che Tra Un Po” è uscito per 42 Records, etichetta cult che pubblica artisti come Cosmo, Andrea Laszlo De Simone e che ha recentemente avuto tra le sue hit la fortunatissima ‘Musica Leggerissima’ di Dimartino e Colapesce, che ha sbancato a Sanremo ed è stata perfino remixata da un mostro sacro come Cerrone. E proprio di remix parliamo con Whitemary, perché abbiamo il piacere di presentarvi in anteprima esclusiva il remix che un altro nome in forte ascesa nel panorama musicale italiano (e non solo) ha realizato per ‘Credo Che Tra Un Po”: Mattia Trani. Il remix potete ascoltarlo qui. L’intervista doppia con Whitemary e Mattia Trani la leggete dopo il brano.
Ci racconti la nascita e la gestazione di questo brano, dall’idea fino al master?
‘Credo Che Tra Un Po’’ nasce, come la maggior parte dei miei pezzi, da una reference ben definita che finisco sempre per non rispettare, dai synth che mi guidano dopo svariate ore di lavoro verso una direzione più concreta, e da un loop di parole che spesso il mio cervello vomita inconsapevolmente e che poi devo mettere insieme e tradurre in un concetto concreto. La mia reference era Yaeji ma avendo tra le many il Korg Polysix e la direzione house Detroit è arrivata inevitabilmente. Volevo un brano cool, dai suoni morbidi e rilassanti, ma più premevo rec più quello che riascoltavo non mi convinceva. In preda a un crollo ho pensato “credo che tra un po’ mi metto a urlare”. Tutte quelle consonanti dure, una frase con un ritmo tutto suo se ripetuta a loop, la molla che ha fatto scattare tutto il resto. Ci ho messo un po’ a trovare una quadra per l’intera produzione. Gli accordi del ritornello, se così possiamo definirlo, si muovono cromaticamente su e giù in maniera snervante ma ho voluto mantenere allo stesso tempo un tono di voce rilassato che non corrispondeva al contenuto del testo. Credo che questo sia il brano più impulsivo e inconsapevole che ho fatto, ma segna poi un passaggio netto con le produzioni successive, che non vedo l’ora di farvi ascoltare. Del mix si è occupato Alessandro Donadei, al JediSound Studio. Mi sono avvicinata all’elettronica grazie a lui e sviluppato insieme a lui i miei gusti musicali da un certo momento in poi. Siamo una coppia musicale e non solo (blink!). Per il master volevo la firma finale di Mike Marsh. Mi sono accorta che la maggior parte dei vinili che ho a casa li ha masterizzati lui e volevo il suo sound anche per i miei pezzi.
Nella mail con cui la label ti ha presentata, mi è piaciuta molto la descrizione “aquilana trapiantata a Roma, una laurea in canto jazz ma in fissa con la techno”: vuoi raccontarci in breve come sei passata dal jazz alla techno, ma anche da una realtà molto singolare come L’Aquila a quel grande calderone di situazioni che è Roma?
Il passaggio dal jazz alla techno, ma in generale all’elettronica, è avvenuto come quando sono passata ad ascoltare non so che cavolo di musica mi ascoltavo da bambina al jazz: con uno shock. Il mio primo concerto jazz l’ho visto a otto o nove anni, trascinata da mio fratello batterista in fissa con Buddy Rich. Era il trio di Roberto Gatto e per me quel concerto è stato così pesante che scoppiai a piangere dalla disperazione e non riuscivo a smettere, me ne volevo andare. Da lì in poi credo di aver ascoltato solo jazz per tantissimi anni. Lo stesso per l’elettronica. Dieci anni fa ho conosciuto Alessandro, io tutta “Chet Baker e Monk”, e lui mi fa ascoltare ‘Stress’ dei Justice. Non mi sono messa a piangere questa volta, ma non riuscivo a capire che cavolo stessi ascoltando. Da lì in poi l’elettronica mi ha dato la libertà creativa e anche di pensiero che nel jazz mi era sempre mancata. Adoro Roma da quando sono piccola e poi verso i 17 anni, ogni fine settimana, ci venivo per frequentare il conservatorio. Sono passata da una piccola città come L’Aquila ad un universo musicale romano che mi ha risucchiato. Ogni sera c’era una jam, un concerto, le mie prime serate ai club, i festival e le feste goa. L’Aquila purtroppo è una città difficile: è piccola e sta risentendo ancora tanto del terremoto. Siamo fermi in una grande bolla, ma per fortuna ci sono ragazzi aquilani che hanno voglia di spingere di più la città verso un’apertura, organizzano eventi o festival. Mi viene subito in mente il Pinewood!
Perché hai scelto Mattia Trani come remixer?
Ho conosciuto Mattia grazie a Zippo e DarioJaque, stavano collaborando con Alessandro su alcuni pezzi. Trovo che lui sia il mio opposto, musicalmente parlando: una cultura clubbing e di musica techno sin da bambino con già tantissimi anni di esperienza nelle produzioni e nel linguaggio elettronico. Lui è techno italiana pura. Volevo dare a ‘Credo Che Tra Un Po’’ una direzione completamente diversa che io non avrei mai saputo trovare, e Mattia era la persona giusta.
Mattia, hai trasformato ‘Credo Che Tra Un Po” in un treno techno con classici elementi acid, un break molto energico, una ritmica muscolosa e un generale feeling anni ’90 (quindi molto contemporaneo). Come hai approcciato il remix del brano?
Diciamo che l’originale mi ha ispirato molto la voglia di ballarlo in estate, magari in spiaggia con un bel drink in mano. A quel punto ho deciso di renderlo più mio e immaginarlo in una situazione più spinta, come può essere un festival con un impianto tipo “doppio funktion one”, oppure un rave in qualche Paese estero. Questo spiega gli elementi ’90s e acid, le voci di Whitemary molto trippy, insieme all’utilizzo di effetti come delay, reverb e ringshifter che invece mi hanno aiutato a scrivere poi la ritmica. Diciamo che sono state lo “scheletro” nella scrittura del remix e sono partito da loro, fondamentali quindi!
Sei uno dei nomi su cui c’è grande interesse negli ultimi tempi in ambito techno: come credi sarà la tua ripartenza dopo questo anno e mezzo di “limbo sospeso” in cui il mondo dei club si è fermato? Come vedi il clubbing del futuro?
Personalmente sono sempre lo stesso, anche con la pandemia, e forse sono più carico di prima! Per quanto riguarda il mio percorso artistico, nel 2021 oltre all’uscita del mio nuovo album, mi sono approcciato ad un ambiente nuovo, iniziando a lavorare con major e cantanti/artisti pop, ma è stata una sfida super interessante, soprattutto perché sono riuscito a coinvolgere un pubblico più ampio, magari sarrivando ai giovani che neanche sanno che cos’è la musica techno. Diciamo che se approdi nel mondo del mainstream, l’importante é farlo con qualità. Il clubbing del futuro sinceramente è una grande incognita, perchè un giorno sia istituzioni che altri Paesi ti fanno pensare a una cosa e il giorno dopo con questa pandemia cambia tutto e inevitabilmente pensi all’opposto, ma nonostante questo non mi faccio spaventare e sono pronto ad adattarmi a qualsiasi cambiamento, alla mia maniera, con il solito approccio. Forse, e dico forse, proprio a causa di questa lunga pausa le cose ripartiranno in modo diverso, con più consapevolezza e con una nuova mentalità. I club, in totale crisi in questo ultimo anno, ne hanno proprio bisogno, per cui speriamo e incrociamo le dita!
19.05.2021