foto di Laurence Mukendi per Philcotof
È morto a soltanto 54 anni, devastato da più tumori, Charles Chambers, meglio noto come DJ Funk, indiscusso pioniere della cosiddetta ghetto house, un genere o sottogenere che dirsi si voglia al quale il dj e producer nato a Chicago ha contribuito in maniera decisiva, in particolare con la sua etichetta discografica Funk Records e soprattutto con il suo album Booty House Anthems, capace di vendere più di un milione di copie. Le sue tracce, come tutte quelle ascrivibili alla ghetto house, si caratterizzavano per l’utilizzo di drum machine e testi che oggi verrebbero etichettati politicamente scorretti. In effetti ripetono in maniera ossessiva frasi come “I wanna fuk dat ass” o “I want titties and beer”… ma lui, così il compianto Paul Johnson, Dj Slugo – che ha dato l’annuncio della scomparsa dell’amico – e Dj Deeon sono stati capaci di fare di questo modo di concepire la musica da club una vera e propria estetica, dove all’uso “basico” della strumentazione e dei suoi suoni si aggiungono ritmi spesso veloci e appunto, frasi molto crude, “da ghetto”, in loop (in maniera anche ironica e parossistica, va detto).
L’infelice parabola di DJ Funk non è dissimile da quella di DJ Alfredo, il dj ibizenco per antonomasia, entrambi deceduti ed entrambi costretti a sottoscrizioni lanciate da familiari ed amici per potersi curare (Alfredo) o per provvedere alle spese funerarie (Dj Funk). Entrambi soprattutto e con pieno merito accompagnati da un rispetto unanime e capaci di lasciare una legacy senza eguali, merito di una reputazione costruita esclusivamente grazie alla propria musica e della quale purtroppo si comprende davvero il valore quando questi pionieri non ci sono più.
07.03.2025