Foto: Gianclaudio Lanzone
Dopo oltre un decennio di silenzio, Gianclaudio Lanzone, un nome storico della scena dubstep e post EDM italiana, è tornato con due singoli che hanno acceso il dibattito sull’uso dell’AI nella musica. ‘Big Dogs’ e ‘Be Your Own Neo’, disponibili su tutte le piattaforme, non sono semplici tracce dance: sono il manifesto di un artista che ha trasformato l’intelligenza artificiale nel suo studio di produzione, collaboratore e persino nel suo alter ego creativo. “Tutto è iniziato su un rooftop a Rimini, durante l’AI Week, ascoltando David Morales”, racconta Lanzone, oggi software architect e AI engineer.
“Quella serata mi ha ricordato quanto mi mancasse il lato sperimentale della musica. Ma senza uno studio fisico – la mia strumentazione è chiusa in armadio da anni – ho dovuto reinventarmi: e l’AI è diventata la mia band, il mio tecnico del suono, il mio videomaker”. Il risultato è un workflow ibrido, dove prompt engineering e algoritmi generativi sostituiscono microfoni e mixer: “Non suono più fisicamente, ma progetto il sound come se sviluppassi un software. Spiego all’AI l’idea, la guido, accetto i suoi ‘errori’ e li trasformo in scelte artistiche”.
Se ‘Big Dogs’ era un test – “un esperimento grezzo, come quei demo che registravo vent’anni fa in camera” – con ‘Be Your Own Neo’ il salto è evidente. La voce AI, ottenuta addestrando modelli su testi scritti a mano da Lanzone, è più nitida e sfumata, il sound unisce bassi granulosi a melodie ipnotiche, mentre il videoclip – creato con Sora di OpenAI – mescola scenari cyberpunk a glitch volutamente non corretti.
“Quei difetti visivi sono una dichiarazione d’intenti: l’AI è imperfetta come noi, e va accettata per quello che è”, spiega. “Se un plug-in analogico aggiungeva rumore, oggi un glitch digitale diventa firma stilistica”. Ma non tutto è automatizzabile: i testi, per esempio, restano umani. “Ho provato a far scrivere all’AI dei versi, ma erano sempre ‘schifezze’ senza anima. Può aiutarmi a limare una rima o a bilanciare le sillabe, ma le parole partono dalla mia esperienza: l’AI non ha vissuto emozioni, non ha fallito, non ha una storia da raccontare”.

Un paradosso, per un artista che della tecnologia ha fatto il suo marchio: “L’AI sta frammentando l’autorialità, ma non la cancella. Se usata come amplificatore della creatività, può aprire scenari incredibili: penso a produttori che generano basi in tempo reale durante i live, o a sperimentazioni sonore prima impensabili”. Critico, però, verso chi usa l’AI per clonare voci o creare artisti fittizi: “È un pericolo per i diritti d’autore e svilisce il mestiere. La mia voce AI, ad esempio, non è un clone della mia: è un timbro nuovo, che esiste solo perché io l’ho programmata per dare corpo ai miei testi”. Tra le sue “regole non scritte”, spiccano trasparenza (“dichiarare sempre il ruolo dell’AI”), sperimentazione (“non fossilizzarsi su un solo tool”) e rispetto per il pubblico (“nessun algoritmo può sostituire l’onestà intellettuale”).
Intanto, i link dei nuovi brani viaggiano sul web: ‘Be Your Own Neo’ è su Soundcloud (ma in forma privata e solo per addetti ai lavori e intimi), YouTube (Be Your Own Neo – videoclip AI) e Spotify (Bring Your own Neo), mentre a fine marzo è atteso il terzo capitolo di questa trilogia AI-driven. E mentre i puristi storcono il naso (“per alcuni, se non sudi in studio, non sei un vero artista”) Lanzone se la ride: “Nel ‘77 dicevano che i synth avrebbero ucciso la musica, nel ‘99 era il campionamento. Oggi è il turno dell’AI, ma la sostanza non cambia: conta chi prende le decisioni, non lo strumento”. Una provocazione? Forse. Ma ascoltando i suoi brani, viene da chiedersi se quei glitch non siano proprio la prova che, dietro ogni algoritmo, ci sia ancora un uomo con qualcosa da dire.
12.03.2025