• SABATO 27 LUGLIO 2024
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Tech in the studio with: Dominik Eulberg e il suono organico

Nella composizione di ogni pezzo del nuovo album 'Mannigfaltig' il tedesco ha tratto ispirazione dal suo studio, immerso nella natura, e ha "immaginato dodici animali"...

Per diverso tempo, musicalmente parlando, non si è sentito parlare molto di Dominik Eulberg. Protagonista dell’ondata techno e minimal dello scorso decennio, è poi uscito da molti radar. È rimasto impegnato a perdersi, coinvolto nella sua seconda passione, la preservazione della natura. Attivista convinto, cresciuto nella regione del Westerwald, in Germania, senza mai accendere una tivù ma dedicandosi incondizionatamente alla natura (“il mio sistema di intrattenimento”), va fiero del suo quinto lavoro da studio, ‘Mannigfaltig’, pubblicato da !K7.

L’appello per preservare, a suo modo, la biodiversità mozzafiato della natura e, allo stesso tempo, per mettere “tutti in guardia contro la minaccia che gli esseri umani rappresentano per essa”, Eulberg forgia un progetto sonoro costruito con mood naturali che si mescolano a synth e pad. Il risultato porta alla ambient, alla downtempo, alla elettronica colta, a vampate di pop e rari attacchi nevrotici di minimal. Il tutto si mescola sempre ai suoni della natura, organici; e il risultato finale è di quelli che trasportano nell’eden e non su una pista da ballo.

 

Il tuo approccio era quello di creare un album… intrinseco?
Volevo che non si guardasse alle tendenze bensì alla strada, non il mezzo ma il fine. Inoltre, il livello pedagogico era importante per me: sensibilizzare i giovani all’importanza e all’esigenza essenziale della biodiversità domestica, basilare per noi umani. Tecnicamente, grazie a nuove apparecchiature, come nuovi trasduttori e metodi di produzione, ho sviluppato ulteriormente il mio modo di produrre e di essere in studio.

Come e quando hai iniziato a lavorare all’album?
Ho iniziato circa due anni e mezzo fa. Ho pensato tra me e me: è di nuovo tempo di fare qualcosa. Personalmente, questo risveglio è stato il mio filo conduttore. Nella composizione di ogni pezzo, ho immaginato dodici animali protagonisti nel loro specifico habitat; poi ho combinato tutte quante le emozioni come un pittore che cerca di entrare in un quadro.

Hai un suono speciale, unico. Come fai?
Cerco sempre di trovare una via di mezzo. Da un lato, non voglio fermarmi a copiare alcuna cosa esistente, tanto meno i suoni; dall’altro, tecnicamente, non voglio nemmeno perdermi nella giungla delle infinite opzioni che oggi hardware e software offrono. È importante gestire con sapienza l’attrezzatura e impostare il lavoro combaciandolo con le proprie visioni, non viceversa. Non bisogna essere schiavi di ciò che ci circonda. Ecco perché cerco sempre nuovi suoni. Deve tuttavia esserci anche una connessione, una relazione, tra i dispositivi che utilizzo e il sottoscritto.

Il suono analogico è il più indicato per arrivare a produrre le tue tracce?
Non è detto. Mi piace usare i suoni analogici per le linee di basso perché hanno un bump reale, non artefatto: strumentale; perché sono caldi, incisivi e morbidi. Ma per i pad, ad esempio, preferisco usare suoni digitali, come il Prophet 12: qui il suono è più pulito e meno impastato in un mix.

 

Sei spesso molto meticoloso e innamorato dei dettagli. È difficile per te lavorare con gli altri?
Mi piace scambiare idee con i colleghi su esperienze, suggerimenti e trucchi, problemi e innovazioni. Ma per dare alla mia musica una certa magia devo immergermi completamente in essa, perdermi tra spazio e tempo. Funziono meglio da solo.

Dove è ubicato il tuo studio?
Fino a pochi anni fa era in un cottage ai margini della foresta. Volevo separare chiaramente la mia vita privata da quello che faccio quando entro nel mio mondo artistico. Nel frattempo, oggi sono diventato più maturo e riesco a trovare più facilmente il pulsante per un arresto mentale. Si chiama autocontrollo. Ora lo studio è a casa mia, sempre in mezzo alla natura, nel cuore del Westerwald. La notte è la mia migliore partner nel processo di produzione.

Come organizzi il tuo lavoro?
Se ho un’idea per un pezzo, di solito ho a disposizione un lasso di tempo limitato per implementarlo. Devo aver organizzato lo studio in modo da poter integrare ogni tipo di lavoro. So sempre esattamente quale sintetizzatore voglio usare e per quale tipo di melodia. Li ho collegati tutti a una grande console analogica e posso usarli direttamente così, con facilità. Per la ritmica standard, nel corso degli anni ho creato un archivio infinito di kit con Groove Agent e Battery.

Inizi a creare sempre nello stesso modo?
So sempre cosa voglio, è come dipingere o scattare una foto. Di solito inizio a suonare delle melodie principali o a “disegnare” dentro la DAW. Abbino armoniosamente il tutto, pad e linee di basso. Infine, programmo cassa e groove in modo che si adattino, si incastrino. Se ho abbastanza contenuti, comincio a sistemare il pezzo. Il mix è approssimativo e lo seguo direttamente nel processo di sviluppo.

 

Come hai organizzato il set-up hardware e software?
Tutti i miei sintetizzatori finiscono nella console Toft e in canali diversi. Qui posso perfezionarli con effetti esterni tramite mandate ausiliarie, come la Bricasti-Hall o l’Eventide H8000. Registro tutto tramite un convertitore Crane Song Held Quantum nella mia DAW. Per i software, lavoro molto con Omnisphere o con vari sintetizzatori VST. Tutti i synth di solito li instrado in un gruppo unico e lascio che i bassi si schiudano con un compressore multibanda adatto alle casse.

Come gestisci gli analogici che hai in studio?
È un bel problema, qualcosa si rompe sempre e devi ripararla costantemente. Ho un Prophet 5 Rev 1, il primo synth polifonico di sempre. Ha un suono incredibilmente caldo, quasi… spirituale. Ma dal momento che ha più di 40 anni al suo attivo, è purtroppo molto delicato. Al momento, purtroppo, ha dei problemi e non lo posso usare. Presto lo porterò da un medico.

Lavori sempre con Cubase?
Steinberg, nella mia DAW, dal 1993. Lo barattai con un paio di scarpe da ginnastica. Il primo Cubase che usai girava su un Atari 1040ST. Da quando lavoro con Cubase, cioè da 26 anni, mi sento a casa, conosco molti trucchi e so come ottenere il risultato desiderato. Inoltre, attraverso tutti gli aggiornamenti, sono sempre stato consapevole delle nuove innovazioni: passo dopo passo, mi sono addentrato nel suo mondo. Non ho dovuto imparare tutto in una volta.

Il tuo mix in the box è davvero la forma più appropriata di lavoro di miscelazione, per te?
Quando si devono operare dei ritagli digitali, con il processo in the box, ci sono più vantaggi che svantaggi. Io abbasso sempre tutti i fader del VCA nella stessa misura, prima del mixdown, in modo che si generi abbastanza spazio per il mastering e non si verifichino problemi successivamente. Inoltre, in questo modo, il grande vantaggio è che puoi sempre ottimizzare i lavoro sui dettagli, e in questo campo sono davvero un maestro.

Oltre a generatori di suoni analogici e digitali, utilizzi anche segnali acustici?
Sempre. Questi danno al pezzo una dimensione extra. Quindi suono sempre nella natura o nel mio studio: da qui, costruisco paesaggi sonori o li uso magari come se fossero una vera batteria. Ad esempio, nell’ultimo album, si può ascoltare un’espirazione subacquea, o dei colpi che partono in un poligono di tiro di un’area di addestramento militare, poi la pioggia su un tetto di metallo, i libri sbattuti su un tavolo o il click di alcuni pulsanti.

 

Hai dei sintetizzatori che utilizzi per compiti speciali?
Il mio basso arriva da dei Moog, Omega 8 o GRP A4. Tutti questi hanno oscillatori molto stabili e quindi producono un suono potente e preciso. Realizzo spesso layer con sintetizzatori come Prophet 12, Prophet VS o Nord Lead. Di solito suono con Jupiter 8, OB-6, Prophet-6. Suoni ed effettistica arrivano anche dal MacBeth Elements. Di solito perfeziono tutti i suoni sull’Eventide H 8000. Sogno un campionatore che intervenga con filtri passa-banda separati e un multieffetto che inneschi catene di effetti solo a determinate soglie e frequenze. Un suono complesso in un istante sarebbe alla portata di tutti.

Si può avvertire l’uso dell’H8000 Eventide in quasi tutte le tue tracce. Perché?
Lo amo. Faccio molto anche con Omnisphere, che ha suoni acustici fantastici. Per rendere la batteria più speciale, sfacciata, ho sempre operato tramite Send con la compressione parallela del compressore dbx. Quasi su ogni traccia uso un filtro molto colorato, il Pro-MB, un ottimo compressore multibanda che permette un sidechain chirurgico. Per me il sidechain è quasi tutto, crea un suono organico e, restando in tema di natura, nidificato.

 

Ecco un estratto dell’hardware dello studio: Crane Song Hedd Quantum, Toft Audio Design ATB 24, Eventide H8000 FW + Eve / Net, Bricasti M7, Roland Jupiter 8, Roland TR-808, Roland SH-101, MacBeth Elements, GRP A4, Black Corporation Deckards Dream Sequence Ciruits Prophet 5 Rev 1, Sequential Circuits Prophet VS, Dave Smith Prophet 12, Dave Smith Prophet 6, Dave Smith Ob-6, Studio Electronics Omega8 incl. Tutti i filtri Moog Voyager, Moog Sub 37, Oberheim Matrix 1000, Clavia Nord Lead 4, Clavia Nord Drum 2, Simmons SDS 5, Acidlab Miami, Elekton Rytm, Electron Analog Four, UAD Apollo, Jomox X-Base 09, Vermona DRM1 MKIII, Ensoniq DP4, TC-Electronics TC 2290, Digitech IPS 33b

 

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Riccardo Sada
Riccardo Sada
Distratto o forse ammaliato dalla sua primogenita, attratto da tutto ciò che è trance e nu disco, electro e progressive house, lo trovate spesso in qualche studio di registrazione, a volte in qualche rave, raramente nei localoni o a qualche party sulle spiagge di Tel Aviv.