• MERCOLEDì 19 MARZO 2025
Recensioni

Il nuovo Jova, la “fioritura” (con i fiori di Tomorrowland), un’arena che balla

Energia e tecnologie da festival nel nuovo show di Jovanotti nei palasport, senza dj ma con tanta gente che balla

Tutte le foto: Michele Maikid Lugaresi. Ufficio Stampa Goigest

Tornare in scena dopo che hai fatto tutto non dev’essere semplice. Ma “tutto c’è da fare”. Nella sua lunga ed entusiasmante carriera, Jovanotti ha davvero fatto tutto: stadi e spiagge, acustico e dj set, tecnologia e sentimento. Tornare nuovo, di nuovo, ogni volta, è una sfida per un artista che ha nutrito il suo pubblico in modo speciale, insegnando a non accontentarsi della liturgia collaudata e rassicurante, della messa cantata. Solo che stavolta è tutto, davvero, più complicato.

Primo, perché dopo uno spettacolo come Jova Beach Party, con tre palchi, le spiagge, i dj, le band da tutto il mondo, le lunghe giornate di musica, il concetto di estate preso, fatto proprio e brevettato, ogni mossa poteva apparire un downgrade. Secondo, perché di mezzo c’è un elefante nella stanza, che Lorenzo non nasconde ma anzi per primo mette, intelligentemente, all’inizio della narrazione: un incidente molto grave che ne ha compromesso per mesi la mobilità, facendo slittare il nuovo tour di un anno. “Buona parte delle idee erano già sul tavolo un anno fa”, dice infatti, “poi questo stop forzato ci ha permesso di mettere a punto molto dettagli nuovi e più a fuoco lo spettacolo. Ma il concept dei fiori, meglio ancora della fioritura, del ritorno alla vita, era già presente”. Fioritura? Di che parliamo?

 

Parliamo di uno spettacolo nei palasport (forse sarebbe ora che iniziassimo a usare il termine “arene”, all’anglosassone, che è un poco più elegante) che rapparesenta il ritorno, prima o poi inevitabile, di Jovanotti a concerti “normali” (tra moooolte virgolette), quelli secchi, di due ore abbondanti, con canzoni nuove e tanti successi, senza format innovativi e gigantismi estivi (che ci mancano, sia chiaro). Jova nel 2023 si fa male, tutto si ferma, poi finalmente i segnali della ripresa, il tempo di preparare un nuovo album – ‘Il Corpo Umano vol.1’, molto bello, il più a fuoco dell’artista da tempo – che a questo punto della carriera non serve a vendere più biglietti (“la maggior parte delle persone che viene a vedermi nei palasport è già venuta, delle prime file conosco tutte le facce, anche se poi c’è sempre un ricambio generazionale che mi stupisce” e in effetti è bellissimo il cartello di una bambina che dice “dalla pancia della mamma a PalaJova con la mamma”) e nemmeno a dare una strada a un tour, ma che è in ogni caso un bel punto di partenza, necessario a dare spinta e non a portare in scena un tour semplicemente “best of”.

Ok, ma i fiori? I fiori sono giganti, meccanici, appesi al soffito delle arene e mobili. Si aprono, si illuminano, si colorano, li fornisce la società che crea le scenografie di Tomorrowland, e come dice il direttore artistico Sergio Pappalettera “loro sono i più bravi del mondo”. I fiori sono il fiore all’occhiello (!) di una scenografia che comprende anche dei grandi oggetti scenici illuminati che si muovono da dietro il palco fin sopra la band e un ledwall, classico, pulito, rettangolare, 22×8, e un palco rettangolare, senza fronzoli, senza forme complicate né passerelle o second stage, con la band in linea e davanti il cantante. Tutto molto tradizionale. Apparentemente. Perché già l’idea di “tradizionale” per Jovanotti è paradossalmente una novità, una cosa mai fatta. E poi perché se il contenitore è classico, il contenuto non lo è. Visual floreali, “epifanie vegetali” (parole di Lorenzo) e l’AI usata in tempo reale (da quel mago di Steve Polli) per generare immagini e per “morphare” il volto dell’artista che mentre canta diventa Bob Marley, Taylor Swift, un santone indiano o un filosofo dell’antica Grecia. A completare il reparto creativo (ma sicuramente non sto menzionando diverse maestranze, chiedo scusa), Peter Josh alle luci, che dopo lo show riceve complimenti da tutta la squadra.

 

PalaJova è un arena show customizzato ad hoc. E in un tempo in cui anche l’artista uscito l’altro ieri deve dimostrare dimensioni da stadio (poi possiamo dibattere per ore di quanto valgano questi stadi), un top player (e ticket seller vero) dello showbiz italiano che sceglie di fare i palazzetti sembra quasi anomalo. Ma appunto, c’è modo e modo di pensare e riempire i palazzetti, di spettacolo come di pubblico. Che Jovanotti lo faccia, come sempre, meglio di chiunque altro, è cosa scontata da dire. Che lo faccia in un momento della sua carriera in cui ha ancora cose da dimostrare, ma solo a se stesso, ci restituisce la cifra di che cosa significa davvero essere artisti, e non furbi affaristi della musica. In una chiacchiera informale con Maurizio Salvadori, che con la sua società Trident produce da sempre gli show di Jova, emerge che “gli spettacoli di Lorenzo sono di gran lunga i più costosi in giro, potremmo spendere meno, ma poi i risultati di questa cura in ogni dettaglio si vedono, e il pubblico lo percepisce”. Tutto vero. Stavolta non ci sono i dj e gli ospiti mirabolanti, c’è una super band che suona da paura, dal vivo, zero sequenze, c’è un artista che ha imparato a gestire il suo corpo in modo nuovo, e ci sono tante canzoni che sono patrimonio collettivo della nazione: iniziare con ‘Montecristo’, necessaria intro allo spettacolo, e sparare subito ‘L’Ombelico Del Mondo’, è una scelta coraggiosa. Io in vita mia avevo sentito solo i Chemical Brothers iniziare un concerto con ‘Hey Boy Hey Girl’, per capirci.

Due ore e mezza di concerto corrono veloci e senza un momento di stanca, la scaletta è giocata benissimo – a ricordarci che Jova è e sarà sempre prima di tutto un dj con un talento eccezionale nel far divertire il pubblico – e i successi in repertorio sono ormai così tanti che qualche perla resta fuori, qualcosa che mancava da un po’ è ripescato e tutto fila che è una meraviglia. Il filotto iniziale ad alta enrgia lascia spazio a momenti lenti, romantici, al funk, ai grandi classici nei classici e a un finale da tachicardia con ‘Penso Positivo’, ‘Il Corpo Umano’, ‘Ragazzo Fortunato’ e il bis di ‘Se Lo Senti Lo Sai’. Alla fine sì, è un tour “best of”, perché ormai è difficile non dare spazio a un serbatoio infinito di successi amatissimi da svariate generazioni; è Lorenzo che entra in una dimensione senior ma non lo fa con la mentalità di chi tira a campare sul fan service e sul ricco catalogo. È il calibrato ritorno in uno spazio confortevole, l’arena, con uno show che potrebbe essere otttimo anche in uno stadio e che chiunque in Italia si sogna. Da almeno quindici anni i competitor di Jovanotti nei live sono i nomi internazionali, diciamola tutta.

Forse l’unica pecca è l’assenza di qualche brano in più dal nuovo album, che ripetiamo, è pieno di canzoni belle, forti, significative. Magari in corso di tour qualcosa cambierà, chissà. Canzoni come ‘Le Foglie Di Te’ e ‘La Grande Emozione’ sarebbero fantastiche suonate dal vivo. Resta una convinzione: i live sono uno sport dove i cantanti e le band suonano e cantano, e alla fine vince Jovanotti.

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Albi Scotti
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